Un noto, affascinante esperimento di psicologia sociale condotto negli anni Cinquanta del secolo scorso dallo psicologo polacco, naturalizzato statunitense, Solomon Asch, metteva, in un gruppo di collaboratori dello scienziato, un individuo ignaro, dimostrando che questi finiva col fare scelte anche evidentemente sbagliate purché in sintonia con gli altri. La conclusione era che l’uomo é animale sociale e per il gruppo di appartenenza sacrifica anche la propria individuale opinione. È un risultato di cui tenere fortemente conto ai fini di una valutazione quanto più obiettiva possibile di miti epocali collettivi, un effetto, quello dell’omologazione acritica del giudizio, che potrà essere mitigato solo dal tempo che passa, quanto più questo tempo sarà lungo. Il pianista Arturo Benedetti Michelangeli è incontestabilmente un mito dei nostri giorni. Nato a Brescia, il 5 gennaio 1920, si spegneva a Lugano trenta anni fa, il 12giugno 1995. Un periodo abbastanza breve per sfrondare l’aura che lo circonda, ma sufficiente almeno per provarci. Indiscutibile la perizia tecnica e riconosciuta la raffinatezza di tocco dell’artista lombardo, virtù preziosissime, ma, sostanzialmente, solo presupposti per quella che poi sarà l’espressività, lo spessore interpretativo. Il maestro deve gran parte della sua fama alla sua maniacale attenzione per la resa tecnica dell’esecuzione, che non risparmiava neanche la messa a punto degli strumenti, i suoi pianoforti, che portava con sé per il mondo, unitamente al suo accordatore di fiducia che faceva letteralmente impazzire prima di esserne pienamente soddisfatto del lavoro. Gli aneddoti al riguardo sono innumerevoli, per non parlare dei tanti concerti disdetti, anche all’ultimo momento, per i più disparati motivi, o interrotti per qualche rumore inopportuno in sala o altro incidente analogo. Repertorio, almeno negli ultimi anni, limitatissimo ed ossessivamenteperfezionato. Un lavoro lungo, faticoso, tormentato, ma probabilmente, impostato su un errore di fondo. La perfezione nell’arte è la mezza misura, giacché la perfezione è assenza di difetti, l’arte è meravigliosa presenza di pregi. Certo anche l’assenza di difetti è un pregio, ma è un pregio solo. Si provi a comporre, ad esempio, un volto, unendo occhi, naso, bocca e quanto più assolutamente privi di difetti. Verrà fuori un viso forse bello, sicuramente freddo ed impersonale. Il risultato artistico di Arturo Benedetti Michelangeli è un pianismo ammirevolissimo, affascinante, finanche sorprendente, specialmente nelle composizioni brevi o nelle prime battute, ma poi, via via, cede il passo ad un senso di statica noia. Viene da pensare ad una magnifica statua, perfetta quanto, ahimè, senza vita. Gran belle perle di pianismo sono le sue esecuzioni della sonate di Domenico Scarlatti, delle mazurche di Fryderyk Chopin, della sonata in do maggiore di Baldassare Galuppi e ditanto altro ancora, con tutto quello che però poi, alla lunga, consegue. Manca nell’arte di Arturo Benedetti Michelangeli l’aristocratica cordialità di Arthur Rubinstein, il piglio frizzante e civettuolo di Vladimir Horowitz, la travolgente passionalità del giovane Emil Gilels, la cangiante, visionaria musicalità di Sviatoslav Richter. Un suonare ascetico, sacerdotale, il suo, nei modi come negli esiti. Alla lunga, divinamente noioso. Se poi si aggiunge che i virtuosi dianzi citati hanno raggiunto i loro risultati senza tanto maniacali pretese… La psicologia sostiene che il perfezionismo è un’espressione di insicurezza, non di una personalità assertiva e calorosamente trascinante. Nel suo libro “Da Clementi a Pollini. Duecento anni con i grandi pianisti”, Piero Rattalino, noto critico musicale specializzato nella critica pianistica, cita un’affermazione, di cui fu testimone, del pianista e compositore Gino Tagliapietra secondo la quale: «Quando si andava ai concerti diBusoni o di d’Albert o di Reisenauer o di altri si sentivano delle personalità; i pianisti di oggi non hanno personalità. E Benedetti Michelangeli meno di tutti». Poche righe dopo Rattalino aggiunge, a quello di Tagliapietra, anche il suo personale pensiero, sentenziando: «Ed è vero che Benedetti Michelangeli non ha personalità». A questo punto, prima di iniziare qualunque polemica, si confrontino, in piena serenità di spirito, le esecuzioni del pianista italiano con quelle delle stesse pagine fatte dai grandi interpreti prima citati, e di altri ancora. Sarà l’inizio di una valutazione equa e spassionata nei confronti di un pianista sicuramente grande, ma, forse, non tanto quanto ci si vuole indurre a credere. |