I classici, come si sa, sono quei testi che non smettono mai di dirci quello che hanno da dirci, sono proprio per questo intramontabili perché ad ogni (ri)lettura propongono nuove e sempre attuali sorprese. Nel caso del governo in carica, per restare nel mondo della letteratura recente, il riferimento è stato spesso fatto a “Il Signore degli anelli”, la saga di Tolkien tanto amata da “Fratelli d’Italia”. Appare viceversa ben più circostanziato il richiamo al capolavoro di George Orwell, “La fattoria degli animali”, il romanzo che il grande scrittore pubblicò nel 1945 con chiari riferimenti al modello politico staliniano. A ben guardare sono tuttavia sorprendenti alcune peculiarità di quel libro che sembrano possano essere riferite anche all’attuale Premier e al suo governo, a conferma – anche questo un riscontro attualissimo– che il potere, qualunque sia il colore che incarna, si comporta sempre alla stessa maniera. Le affinità con la storia del libro di Orwell sono lampanti: gli animali (i maiali in questo caso, scelti come guida perché sono gli unici animali a non camminare all’indietro), si ribellano alla sfruttamento che subiscono nella Manor Factory del fattore Jones e ne assumono alla fine il controllo, affidando il potere dirigenziale al maiale “Napoleon”, con la fervida speranza di un avvenire diverso e felice. In molti ci credono come, in particolare, lo storico maiale “palla di neve” (“Snowball” nell’originale) che ha animato l’insurrezione o come “Boxer”, il cavallo che crede fermamente nella dignità del lavoro. Ma gli eventi non vanno come auspicato dagli insorti. Pian piano le cose si deteriorano e rovinano tragicamente. “Napoleon” tradisce le idee e le speranze della riuscita rivoluzionefacendo via via fuori i sostenitori della prima ora (“Boxer” viene addirittura mandato al macello) e arruolando intorno a sé i lecchini di turno, come “Squealer” (piffero o clarinetto) che canta le lodi del capo o “Minimus”, classico esempio di intellettuale asservito al potere. Il risultato della rivoluzione alla fine è avvilente giacché “Napoleon” non solo comincia ad intrattenere rapporti d’affari con i vecchi usurpatori ma anche fisicamente assume sempre più sembianze tali che rendono quasi impossibile differenziarlo dai padroni di un tempo. Orwell definì il suo romanzo una fiaba (“a fairy story”) in cui aveva “tentato di fondere scopo politico e scopo artistico” ma si tratta certamente di una satira che ha un valore universale. La possiamo applicare infatti a quanto è avvenuto e sta avvenendo nel nostro paese (ma probabilmente anche altrove) allorquando chi va al potere finisce sempreper tradire i propositi con cui si è proposto per quel ruolo sconfessando tutto ciò che è stato detto e promesso. Con intorno un apparato plaudente che non conosce ritegno e vergogna. Viene da trarre forse un’amara riflessione: se tenessimo più in considerazione, ovvero se facessimo tesoro della lezione della grande letteratura, potremmo se non altro capire meglio il senso autentico degli avvenimenti e, probabilmente, comportarci di conseguenza. Antonio Filippetti |