Di Omero - cantore greco storicamente ritenuto autore dei due “eccezionali” poemi epici ILIADE e ODISSEA - non sappiamo nemmeno se sia realmente esistito (forse nell’VIII secolo a.C.), e il dubbio resterà per sempre tale: la tanto dibattuta “questione omerica”! Indubbio, invece, è che sia esistito un autore che abbia raccolto e legato in tutt’uno una straordinaria produzione dell’epoca precedente che la rende ancor oggi maestosa e ineguagliabile ai nostri occhi di moderni. La memoria del testo veniva all’inizio tramandata oralmente, cioè dinanzi un attento uditorio che si appassionava alle eroiche vicende narrate, memorizzandole nel tempo e aggiungendovi di suo. Nel VI canto dell’Odissea - canto “indecifrabile” lo definisce il nostro Autore - Nausicaa incontra Odisseo (Ulisse, re di Itaca) – giunto, come nudo naufrago svenuto, nel regno dei Feaci dove lei è l’unica figlia del re Alcinoo e della regina Arete, onorata e stimata dalconsorte. Questo regno sarà per Ulisse il prologo del rientro nel mondo degli uomini (e poi dei suoi compatrioti), lontano dalle magie, dai mostri, e dai molti pericoli corsi e superati nei tanti approdi precedenti. Omero enfatizza però anche le tante differenze nella vita che scorre nell’isola dei Feaci - Scheria (l’odierna Corfù?) - rispetto alla stessa Itaca. Come sempre nella vita degli umani mai tutto è perfetto, e, d’altro canto, in qualunque narrato la strada del futuro è sempre ardua e disagevole. Così Ieranò sente il dovere di precisare (i Feaci peraltro discendono da Posidone, acerrimo nemico di Odisseo): “Odisseo non sa affatto di essere arrivato in un’isola felice. Tutto, anzi, gli appare ostile e minaccioso. Il mondo dei Feaci non esibisce, all’inizio, un volto ospitale. Certo, la generosa Nausicaa evoca la nobile e sacra regola dell’ospitalità, la legge della xenia: «Vengono tutti da Zeus / gli stranieri e i mendicanti, e un dono anche piccolo è sempre gradito»(VI, 208-209). Ma lei stessa è consapevole che i Feaci sono un popolo superbo e arrogante, non abituato ad avere relazioni e commerci con gli altri esseri umani. Come ribadisce anche Atena nel VII canto (32-33), «questa è gente che non sopporta molto gli stranieri / chiunque venga da un altro paese qui non lo amano».” Ma, non dea né maga, come per precedenti incontri dello sventurato pellegrino, la fanciulla è solo un’adolescente preda dei sogni che da sempre possiedono quest’età: "Tra i Feaci simili agli dei è arrivato quest’uomo... Se solo potesse essere chiamato mio sposo, se si fermasse qui ad abitare, se gli piacesse restare in questo luogo." Parole peraltro ribadite in seguito dallo stesso re Antinoo parlando in privato a Ulisse. Già la ninfa Calipso avrebbe voluto sposare e trattenere Ulisse presso di sé nella fatata isola di Ogigia, e non è stata la sola. Qui invece tra i due, sotto il vigile occhio della dea Atena, si intreccia undialogo che potrebbe sfociare in un sogno ma questo percorso non è nella volontà degli dei, di Zeus (Giove per i romani) in particolare, Signore dell’Olimpo. Atena (Minerva per i romani), dea della saggezza, è colei che protegge Ulisse nel decennale difficile viaggio di ritorno in patria, mentre Posidone (Nettuno per i romani), signore del mare, è il dio che lo avversa, e da lui provengono le numerose tempeste e naufragi che hanno sconvolto il travagliato ritorno. Nella reggia di Alcinoo apprenderemo dal racconto dello stesso protagonista le straordinarie vicende capitategli nei lunghi anni di peregrinazione e come ormai sia rimasto solo, avendo perso tutti i compagni iniziali del viaggio partito da Troia. L’eroe, sfinito dal naufragio e dalle tante veglie, giace coperto di foglie e dormiente vicino alla spiaggia dell’isola e a svegliarlo saranno le grida delle fanciulle - Nausicaa e le sue ancelle - perché giocando a palla (ricco di gesti seduttivi questo gioco prediletto da Eros)questa è stata volutamente da Atena fatta cadere in mare… “Nausicaa, in fondo, sembra vivere in una dimensione ancora virginale in cui però già si annuncia il fantasma dell’eros. Il gioco della palla sembra quasi inserirla in un momento chiaroscurale di transizione tra l’adolescenza e l’età adulta.” Il naturale spavento dello scorgersi finalmente dei due – immaginiamo lo stato apparente di Ulisse dopo il naufragio – sarà ovviamente lenito da Atena che ben sa preservare il suo protetto, ringiovanito e imbellito ad arte dopo che si sarà lavato, unto e vestito con quanto la fanciulla gli offre (VI: 235-237): “così la dea gli versò la grazia sulla testa e sulle spalle. Poi lui andò a sedersi in disparte sulla riva del mare, rifulgendo di grazia e bellezza. Lo andava rimirando la ragazza” E come attestano le parole che Atena (Omero) gli pone in bocca, è una supplica rivolta a un cuore già ben predisposto (VI: 149-152):
“Mi inginocchiodi fronte a te, Signora: sei tu una dea, o una creatura mortale? Perché se sei una degli dei, padroni del cielo infinito, a me tu appari simile ad Artemide, figlia di Zeus dal grande cuore: per bellezza, altezza e figura davvero sei a lei molto simile.”
Artemide è la Diana dei romani. E, a chiudere divinamente il discorso, Atena suggerisce all’uomo l’augurio di soddisfare il maggior desiderio segreto di chi gli sta di fronte (VI:180 – 185):
“Gli dei ti concedano quanto il tuo cuore desidera: un marito e una famiglia, e la concordia, generosa compagna. Perché non c’è bene più grande e più saldo di quando vivono insieme con pensieri concordi l’uomo e la donna: così danno dolore ai nemici, gioia agli amici, ed essi si conquistano un buon nome.”
Giorgio Ieranó è saggista e traduttore - ordinario universitario di Lingua e Letteratura Greca a Trento - con molte pubblicazioni all’attivo nel campo. In questolavoro appare davvero rilevante, e certo fuori dal comune, l’enorme quantità di agganci storici e letterari alla narrazione omerica vera e propria – taluni vicini ma molti davvero remoti, fatti sulla sola base di situazioni sociali affini o di frequenza di vicende - con autori, loro citazioni e riferimenti precisi di repertorio, segno di una conoscenza vastissima e quanto mai profonda dell’opera in questione e dei suoi numerosi celebri studiosi (tra i moltissimi anche Carducci e Pascoli). L’Autore, dunque, sviscera appieno in quest’opera ogni aspetto del contatto diretto – anche breve – tra l’eroe e la fanciulla, e altrettanto nei riflessi conseguenti accesi nei personaggi più o meno direttamente coinvolti. Al lavoro personale sono aggiunti anche i canti VI e VII dell’Odissea, tradotti dallo stesso Ieranó. Altrettanto preziose sono le note bibliografiche finali, l’indice dei nomi e dei personaggi e, infine - gemma gradita - la piccola ma incisiva rassegna di figure di antichi manufattiartistici attinenti alle vicende narrate. Tra questi pregevole il quadro “Nausicaa” (1878) di F. Leighton, e c’è financo la locandina del film “Ulisse” (1954) di Mario Camerini. Nei fitti agganci viene anche ricordato – con riferimento all’inglese Samuel Butler (1835 – 1902) - una possibile presunta autrice (?) delle peregrinazioni ulissee sulla base di diverse preminenze femminili sparse nella trama dell’opera giunta sino a noi. Né manca il cenno all’”Odissea” televisiva degli anni 60, di enorme successo al tempo, con Bekim Fehmiu come Ulisse e la bellissima Barbara Bach come Nausicaa. Nelle parole di Atena, apparsa a Nausicaa - quando sta per scoprire Ulisse - sotto le sembianze di un’amica fidata, balena un’adombrata prospettiva di matrimonio lesta a catturare la mente della “teenager”, ma la principessa sarà soltanto “la pedina di un gioco deciso dagli dei”: “Se pure avesse avuto presente un pattern tradizionale, Omero lo ha comunque riscrittocon la consueta sapienza e finezza, immergendo i suoi personaggi in un’atmosfera di sospensione quasi magica. Nausicaa rischiava di entrare a pieno titolo in quella galleria di donne abbandonate e dolenti (le relictae, come le chiamavano i latini) che punteggiano il mito e la letteratura antica: Arianna, Medea, Didone. Ma, alla fine, quello che il VI canto descrive non è un abbandono: è un idillio mancato, un amore vagheggiato ma irrealizzabile, un incontro tramato di esitazioni e reticenze che si risolve infine nel racconto di un’occasione perduta.” Sarà molto toccato da questa vicenda anche il grande J. W. Goethe che mediterà di scrivere un dramma su quest’idillio mancato. Nucleo primario dell’attrazione sarà il suo visitare a Palermo un giardino vicino al mare (nel 1787) che gli apparirà “qualcosa di incantato” descrivendolo poi nel suo “Viaggio in Italia” (1816) come “impresso nell’anima” e considerando come tema più incisivo “la commozione di un animo femminileall’arrivo di uno straniero”. Egli fornisce anche una trama dell’opera, ma il progetto non verrà poi sviluppato e ne restano solo pochi frammenti. “La principessa dei Feaci appariva a Goethe un personaggio insuperabile e inimitabile, assai più affascinante e complesso di altre grandi figure della letteratura antica: «Quanto le sono lontane, anche nell’antichità, Medea, Elena, Didone, quanto sproporzionatamente inferiori alla figlia di Alcinoo!». Goethe ha già in mente la trama del dramma e la descrive nel Promemoria (Erinnerung) inserito nel Viaggio in Italia nella cronaca dei suoi giorni in Sicilia…” In effetti il candore e la saggezza incredibili di Nausicaa sono affidati a due soli versi dell’opera omerica che, nella loro profonda semplicità, testimoniano il possesso, nonostante la giovanissima età, di una grandezza d’animo inattesa e imperscrutabile: “Del resto non c’erano state promesse infrante: nessuna parola definitiva era mai statapronunciata. A Odisseo, Nausicaa dirà soltanto (VIII, 461-462): «Sii felice, straniero, e quando sarai nella tua terra ricordati di me, perché a me per prima devi la vita». Nausicaa è destinata a vivere nella memoria: una ragazza rimasta sulla riva, ai margini di una grande avventura. La sua figura si dilegua nel ricordo, evanescente e luminosa come l’immagine di un sogno.” E la risposta del re martire suona all’altezza di questo “congedo” augurale: “Figlia del generoso Alcinoo, Nausicaa, così mi conceda Zeus, lo sposo di Era, il signore del tuono, di vedere il giorno del mio ritorno. E anche laggiù allora ti invocherò come una dea, ogni giorno, per sempre: perché tu mi hai salvato, fanciulla».” E Atena stessa, nelle dimesse vesti di una ragazza che trasporta una brocca, guiderà l’eroe al palazzo reale, una volta entrato in città, celandolo agli occhi estranei dei cittadini: alla mescolanza di uomini e dei Omero ci ha largamente assuefatti. Gliconsiglierà di rivolgersi per prima ad Arete cui Alcinoo rende “onore più che a ogni altra donna sulla terra”. (VII: 75): “Se anche tu sarai caro al suo cuore allora hai una speranza di rivedere chi ami e ritornare alla casa dall’alto tetto e alla tua patria”. “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno” – mette in bocca al mago Prospero un altro eccelso, W. Shakespeare, ne “La tempesta” (1610) – per raggiungere vette che restano per sempre celate anche alla semplice vista della gran parte di noi… Nausicaa, dunque, nel ricordo dell’eroe, resterà a campeggiare al fianco di Atena, come una dea e tale egli la venererà nei ricordi. Secondo tradizioni antiche posteriori, Ulisse estinguerà il suo immenso debito verso la splendida fanciulla abbandonata - colei che gli garantirà, supplicando il padre, nave ed equipaggio per il ritorno immediato in patria - concedendo a Nausicaa come sposo il figlio Telemaco… LuigiAlviggi
Giorgio IERANÒ : Omero, Nausicaa e l’idillio mancato IL MULINO, 2023 – pp. 168 - € 14,00
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