Non accade spesso d’incontrare nel panorama editoriale contemporaneo proposte come questa di Edmond Jabès, se non altro perché il lettore si trova di fronte ad un testo di quasi duemila pagine, frutto di una lunga fatica di traduzione e sistemazione critica da parte di uno studioso come Alberto Folin che non si è per così dire lasciato intimorire dalla mole di lavoro richiesta da un testo per tanti aspetti affascinante ma sicuramente gravoso. Ma ovviamente non è soltanto la quantità dell’impegno che il volume richiede anche al lettore a determinare l’unicità dell’impresa. Si potrebbe persino affermare che, nonostante tutto, questo è l’aspetto minore della “fatica”. Il problema più accattivante, certamente una sfida intellettuale, risiede nel fatto che il libro volutamente sfugge a qualsiasi classificazione in quanto come dichiara apertamente l’autore l’intento è quello di realizzare“un’opera che non rientri in nessuna categoria, che non appartenga ad alcun genere, ma che li contenga tutti: un’opera difficile da definire, ma che si definisca precisamente per quest’assenza di definizione: un’opera che non corrisponda ad alcun nome, ma che li abbia assunti tutti : un’opera senza sponda né riva: un’opera della terra nel cielo e del cielo nella terra: un’opera che sia il punto di riunione di tutti i vocaboli disseminati nello spazio di una solitudine e di uno smarrimento inimmaginabili: il luogo, al di là del luogo, di un’ossessione di Dio, desiderio inappagato di un desiderio insensato: un libro insomma che si dia per frammenti ognuno dei quali sia l’inizio di un libro”. Questa confessione è per così dire sufficiente per respingere il libro o soggiacere alla sua contagiosa seduzione. Ma è questo è poi l’orizzonte nel quale si muove Jabès, il grande pensatore di origine egiziana ma trasferitosi a Parigi negli anni cinquanta e divenuto amico edinterlocutore dei maggiori intellettuali francesi, da Blanchot a Derrida. E’ la prima volta che appare in italiano l’opera completa di Jabès, una lunga e sofferta meditazione sull’assoluto composta da sette volumi e realizzata nell’arco di dieci anni, dal 1963 al 1973. La riflessione è a tutto tondo: “Tu sei colui che scrive e che è scritto” a suggello della supremazia della pagina scritta ovvero del libro nel quale tutto si compone, ed in cui si ritrova e rianima tutto ciò che conta. Alberto Folin si è fatto carico di un compito non comune, mettere insieme tutta questa molte di riflessioni e proporla, passo dopo passo, anche al lettore italiano con uno scrupolo certosino. In appendice al volume viene ripescata anche l’intervista che lo stesso curatore realizzò nel 1985 ed apparsa sul numero 225 di Reporter. In questo vis-à-vis Jabès fa alcune precisazioni sul senso e il valore della parola e della scrittura di particolare momento:“La parola è fatta sì per l’istante , ma dietro di essa c’è tutto il vissuto precedente. Essa perciò è sempre diversa perché cambia sempre come noi cambiamo: essa è ciò che noi proviamo nell’istante in cui la pronunciamo: Allo stesso modo, noi siamo oggi quello che siamo perché c’è in noi il ricordo della nostra infanzia” Così in fondo, ci suggerisce, è fatto l’uomo, che non smette d’interrogare e interrogarsi perché “nella domanda c’è sempre una speranza. Se noi viviamo è perché sempre attendiamo qualcosa : e questo qualcosa si può conoscerlo solo attraverso la domanda”. Le riflessioni di Jabès, o meglio, le sue incessanti “interrogazioni”, rappresentano come detto una sfida affascinante soprattutto per il lettore esigente che chiede al libro di confrontarsi con valori profondi e assoluti. L’opera che si avvale tra l’altro di un penetrante saggio introduttivo di Vincenzo Vitiello, sarà presentata all’università Suor OrsolaBenincasa, mercoledì 20 aprile, alle ore 16. Con Alberto Folin dialogheranno sui contenuti del pensiero di Jabès, Lucio D’Alessandro, Vincenzo Vitiello, Antonio Prete, Corrado Bologna e Massimo Cacciari. Antonio Filippetti
Edmond Jabès: ” Il libro delle Interrogazioni” A cura di Alberto Folin, Bompiani Editore pp. LIII - 1750, euro 60,00 |