articolo 2556

 

 
 
La decrescita democratica
 











Il flop degli ultimi referendum può onestamente sorprendere soltanto chi non è attento all’evoluzione socio-politica in atto da tempo nel nostro paese e che si può facilmente riassumere della disaffezione dei nostri concittadini per la partecipazione elettorale. È un dato ormai consolidato quello secondo cui ad ogni tornata elettorale, a cominciare dalle consultazioni politiche che rappresentano il momento più alto della partecipazione popolare, il numero degli elettori, di coloro cioè che hanno ancora voglia di recarsi ai seggi, va continuamento calando. Per di più le iniziative referendarie hanno meno appeal di qualche tempo fa (è soltanto un ricordo il plebiscito per il referendum sul divorzio) e in alcuni casi, come è avvenuto ultimamente, i quesiti proposti non sono di largo interesse e soprattutto sono espressi in termini troppo tecnici per un elettorato di massa.
Questa potrebbe essere ovvero è la premessa alla base della
scarsa affluenza. Ma il dato più importante su cui riflettere è un altro. Da alcuni anni ormai l’appello al voto gode di un sempre minore appeal   da parte dei diretti interessati. Secondo alcune ricerche   il motivo consiste non tanto nel disinteresse dei    cittadini  nei confronti delle periodiche consultazioni quanto nella sempre più radicata consapevolezza che i cambiamenti che ogni gruppo offre alla vigilia del voto sono (sono sempre stati) disattesi poi  dai rappresentanti politici. E allora, ci si chiede comunemente, perché votare? Questo la dice lunga sullo stato dell’arte ma al di là di pur fondate giustificazioni si squarcia uno scenario assai critico. Questo progressivo disincanto popolare nei confronti della politica finisce inevitabilmente per consegnare la guida e le decisioni pubbliche ad un gruppo sempre più minoritario che tuttavia incide pesantemente sulle vite di tutti, impoverendo e forse annullando i principi basilari della democrazia. Si apre un grosso problema che tuttavia le classi dirigenti non appaiono minimamente di in grado di affrontare e risolvere.  Si tratta in altri termini di trovare il modo per trasformare i cittadini da passivi ricettori (ed  esecutori)  di volontà altrui in partecipanti attivi in grado di avviare e determinare un autentico cambiamento. L’assuefazione allo statu quo è pericolosa e improduttiva: Albert Einstein diceva che non possiamo pretendere che   le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose.
Antonio Filippetti



2025-07-02