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Il bar dello sport è quel luogo nel quale si radunano e incontrano pressoché ogni giorno gli appassionati delle discipline sportive, in particolar modo del calcio, per commentare i fatti dell’attualità, i risultati di un incontro ovvero scovare indiscrezioni sul futuro di questo o quel giocatore, avanzare previsioni e/o auspici per le vicende a seguire e così via. Nell’intrecciarsi delle opinioni, spesso decisamente colorite, ognuno dice la sua e quasi sempre molti ne “sparano” a più non posso e a tutta velocità. Ma in quel contesto è perfino consentito, anche perché le idee per così dire hanno vita breve, nel senso che, come ebbe a dire una volta Umberto Eco, vengono sopraffatte ben presto da una sonora “spernacchiata”. E tutto finisce lì, almeno fino al prossimo appuntamento.
La metafora del bar dello sport si addice tuttavia sempre più al nostro vivere civile, nel senso che rappresenta ormai un modello per tutto ciò che ci coinvolge nella vita di ogni giorno, dalla politica all’economia, dallo spettacolo alla comunicazione fino ovviamente allo sport e al tempo libero.
Il bar dello sport, infatti, può contare ora su diverse filiazioni, tutte perfettamente in linea con la “filosofia” del benemerito progenitore. Il bar dello sport si replica quotidianamente e a tutte le ore nelle trasmissioni televisive anche in quelle che si auto qualificano come di approfondimento nel senso che i diversi “avventori” non disdegnano di scagliarsi l’uno contro l’altro ma soprattutto di sostenere posizioni che lasciano esterrefatti tanto sono banali o decisamente stupide. E nella gran baraonda che si crea nessuno ricorda poi quello che ha detto magari il giorno prima e che è esattamente l’opposto di ciò che viene spifferato in quel dato momento. Alla faccia della coerenza o finanche di un necessario residuale senso del pudore.
La “filosofia” dei social assesta ora per così dire il colpo mortale a questa pratica del vuoto mentale. Un attimo si sostiene una determinata supercazzola e pochi secondi dopo la stessa viene cancellata o sostituita con altra farneticazione che in genere è perfino più ridicola dell’altra veicolata in precedenza. Un esercito di cosiddetti followers insegue come da definizione non si sa bene cosa se non il vuoto pneumatico del pensiero. E già, proprio il pensiero che ha mandato avanti l’universo sembra ora scomparso o confinato nel nulla. Quei seguaci imperterriti (followers) fanno venire in mente, ahimè, un’immagine dantesca, quella degli ignavi nel terzo canto dell’Inferno la cui condanna consiste nel dover correre per sempre dietro un’insegna (uno straccio insignificante) inseguiti senza sosta da vespe e mosconi e non avendo avuto in vita una vera passione, una propria idea, un sogno da coltivare sono ora condannati a inseguire il nulla, per di più senza alcuna speranza di successo.
La differenza tra il bar dello sport tradizionale e quello più recente ha tuttavia una ricaduta drammatica, giacché non si discute più (o soltanto) di un fuorigioco o di un rigore non concesso sibbene dei destini della società, dell’avvenire delle generazioni più giovani che dovrebbero essere appunto guidate da menti “attive” nel campo della politica, dell’economia, della cultura e così via. Ed è proprio la cultura a farne le spese in un universo popolato da internauti senza memoria e privi di futuro. Non è più sufficiente allora nemmeno spernacchiare chi si atteggia a nume tutelare di questo o quel settore giacché perfino lo sberleffo ha ricadute deleterie sul destino degli stessi antagonisti.
Antonio Filippetti |
2024-04-01
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