articolo 2431

 

 
 
Se l’infodemia è peggio del covid e della guerra
 











Uno degli aspetti fondamentali della globalizzazione è la possibilità di ricevere informazioni in tempo reale da ogni parte del pianeta. Si è trattato e si tratta di una straordinaria rivoluzione giacché consente  di  stare per così dire  dentro  ciò che avviene  nel mondo  intero e di avere nel contempo la possibilità di conoscere  pensieri, attività, problemi di  uomini e donne di qualunque parte del globo terrestre. Non solo, ma grazie all’esplosione dei social media,  tutti possono anche  intervenire, far conoscere e diffondere la propria opinione  e diventare in qualche modo protagonisti   di quello che accade.
Ma come insegna la saggezza popolare ogni medaglia ha il suo risvolto o meglio in questo caso possiamo dire che  la rivoluzione progressista impone un alto pedaggio da pagare i cui effetti, appaiono  deleteri e negativi e  controbilanciano
massicciamente  i “meriti” dell’osannata contemporaneità. Ormai il diluvio informativo che ci investe ha superato qualsiasi possibilità ricettiva, poter avere cioè il tempo di valutare il flusso di comunicazioni, di metabolizzarle e orientarsi di conseguenza. Viceversa non si fa nemmeno in tempo a selezionare dati e informazioni che già siamo sommersi da ulteriori torrenti di notizie. Paradossalmente la globalizzazione informativa che ci doveva rendere più atti a comprendere ciò che avviene nel mondo finisce per “rincitrullirci”, per farci perdere in un mare magnum d’informazioni dove non si capisce più nulla. E’ l’effetto della cosiddetta infodemia, altro neologismo  appartenente alla famiglia dei vocaboli cosiddetti macedonia (formati cioè dalla fusione di due termini, in questo caso info – informazione  -   e demic – pandemia-) che l’Accademia della Crusca cosi definisce correttamente: “abnorme flusso di informazioni di quantità variabile su un argomento, prodotte e messe in circolazione  con estrema rapidità e capillarità attraverso i media tradizionali e digitali  tali da generare  disinformazione, con conseguente distorsione  della realtà ed  effetti potenzialmente  pericolosi sul piano delle reazioni e dei comportamenti sociali”.
In siffatto panorama ci sono anche altre anomalie.   L’informazione cosiddetta tradizionale, formata cioè da quotidiani, settimanali, e reti televisive dovrebbe avere  l’obiettivo di tenere la barra diritta, vale a dire puntare su una piattaforma  informativa  attendibile e fidelizzando in questo senso i suoi lettori/fruitori. Il che non avviene, succede anzi esattamente il contrario se è vero come è purtroppo vero che  la stampa tradizionale, ad esempio,  arretra paurosamente perdendo, senza eccezioni, copie e lettori a profusione  al  punto tale che qualcuno insinua che fra  non molto  i giornali non li stamperanno più
le rotative bensì le fotocopiatrici. Di questo c’è anche una spiegazione facilmente plausibile. I canali informativi tradizionali, giornali e televisioni, sono quasi tutti  appiattiti su una versione mainstream  dove le voci cosiddette dissonanti sono inglobate e spesso  coccolate non per  ampliare il dibattito delle idee ma per  aumentare  per un po’  audience e tirature che rientrano inevitabilmente  non appena gli improvvisati  soloni del nulla vengono abbandonati al loro destino. Senza considerare poi che sono scritti male, come i blog e i  post che si susseguono sulla rete  la maggior  parte dei quali  non supererebbe un  serio esame  di terza media. Molti osservatori si chiedono perplessi e anche un  po’ impauriti quale possa essere la via di uscita: ma anche qui fa capolino l’aspettativa rassegnata di sempre, che cioè una volta toccato il fondo non si può fare altro che risalire. E avanti così.
Antonio Filippetti



2022-05-02