articolo 2415

 

 
 
Il circo Alfred Nobel
 











Tra le tante attività che si avvicendano nel corso dell’anno ve n’è  una che non conosce  cadenze stagionali nel senso che è attiva  per tutti i 365 giorni ed è quella dei premi letterari (ma non solo)  che vengono elargiti e assegnati a ritmo pressoché continuo, senza sosta. Il mese di ottobre è quello per così dire più canonico ma anche agognato poiché  vengono  conferiti i riconoscimenti Nobel.   E naturalmente anche questa volta il rito si è puntualmente ripetuto. Debbo confessare in premessa che sono da sempre contrario ai premi poiché li ritengo  inutili oltre che dannosi. Il motivo di tale contrarietà è semplice. Il riconoscimento alimenta più che altro un pericoloso narcisismo nel senso che il premiato s’illude di essere entrato, grazie al riconoscimento avuto, in una specie di élite del pensiero, dell’arte, della cultura, ecc., il che induce il personaggio in questione, ingannando anche  se stesso, a continuare nella sua opera alimentano un circolo vizioso senza posa. Difatti si darà da fare con l’obiettivo di meritare sempre nuovi allori. In seconda  istanza   i premi alimentano, com’è noto,   una situazione di scambio, un  do ut des, nel senso che premiati e premiatori si alternano continuamente nei  ruoli in una farsa  da teatrino di quartiere. O piuttosto come quando al circo due clown si scambiano finte martellate sulla testa.
Ma non si tratta soltanto di queste amene ingenuità. Chi gestisce quel poco o tanto che resta dell’attività editoriale  si adopera per  la propria scuderia, anche qui  seguendo ovviamente il gioco delle parti, e poiché lo show must go on  si assegnano riconoscimenti anche quando  manca la materia prima (il che  avviene sempre più spesso essendo tutti,   chi più chi meno, schiavi della velocità produttiva imposta dai social on line).
E veniamo al
Nobel. Il premio dell’Accademia svedese è da sempre un misto (ovvero un pastrocchio) di equilibrismo  geo-politico che segue il vento del momento e non  le vere ragioni per cui fu creato. La prova più eloquente si ottiene scorrendo l’albo d’oro dei vincitori. E’ tutto in ossequio agli “umori” del momento insieme, si direbbe, con una spocchiosa buona dose di ignoranza. Del resto non si spiegherebbero diversamente le “straordinarie” assenze in quell’albo prima ricordato. In effetti, mancano all’appello tutti i più grandi scrittori del Novecento: Proust, Joyce, Musil, Kafka, Borges cui si è aggiunto più recentemente anche Philip Roth (ma anche uno come Leone Tolstoj avrebbe fatto in tempo a conseguire l’ambito riconoscimento essendo morto nel 1910 quando il premio era già alla decima edizione). In una disamina seria verrebbe da chiedersi cosa abbiano mai letto (e inteso) i giudici del Nobel. A riprova della confusione con cui l’Accademia ha sempre operato può accadere anche che una nostra autrice, Grazia Deledda, ottenga l’ambito riconoscimento a discapito di altro scrittore designato come Roberto Bracco  cancellato dall’elenco in quanto  grande oppositore del “regime” (siamo nel 1926). E l’autrice  di Canne al vento   segnò  per di più anche il record, rimasto finora  imbattuto, di essere la sola italiana donna ad avere ottenuto  il premio (oltre ad essere la seconda donna in assoluto dalla costituzione del Nobel). E a proposito di scrittura al femminile non è secondario il fatto che la maggior parte dei riconoscimenti sia andata al genere maschile quasi come se le donne non sapessero scrivere, salvo poi che negli ultimi venti o trent’anni, sotto la spinta del femminismo dilagante, ogni tre o quattro anni l’alloro viene conferito   ad una donna.  E in quest’ ambito  non è mancato nemmeno lo scandalo legato alle problematiche diremmo del movimento MeToo. Per definire il Nobel basterebbe poi andarsi a rileggere le considerazioni rabbiose di Giuseppe Ungaretti quando apprese che il riconoscimento nel 1959 era stato attribuito al suo “avversario” Salvatore Quasimodo.
C’è poi da segnalare lo sconcerto  che suscita  spesso l’attribuzione del premio, vale a dire  il fatto che ci si trova davanti a “perfetti sconosciuti” anche per un pubblico qualificato  e non di  rado, come nell’ultimo caso riguardante lo scrittore africano Abdulrazak Gurnah ,  anche gli addetti ai lavori hanno dovuto faticare non poco per  scovare  le qualità   letterarie del Carneade di turno.
Ma  probabilmente l’amarezza di fondo consiste nel pensare a come si potrebbero utilizzare i fondi del premio. Quanto sarebbe proficuo utilizzare ad esempio il milione di euro del premio stesso per iniziative a favore della promozione della lettura, per poter  cioè allargare il mercato degli utenti, prevedendo semmai delle borse di studio per ricerche  e
approfondimenti  su temi e argomenti inerenti la creatività artistica e letteraria. Tante altre iniziative potrebbero essere realizzate con i fondi dell’Accademia, con il vantaggio  se non altro di evitare ogni anno la recita circense che suscita non tanto allegria ma più che altro delusione e compassione.
Antonio Filippetti



2021-11-01