articolo 2384

 

 
 
Crepuscolo dell’io e tenerezza elegiaca
 











Liberi in poesia/Anna Maria Petrova-Ghiuselev
Crepuscolo dell’io e tenerezza elegiaca

La silloge di poesie, Annabelle e le nuvole sotto il sole, Roma, Art in Life Editore, 2019, rappresenta il completamento di una fucina di formazione, orientata verso un empito di essenzialità lirica e una circolarità interattiva linguistico-espressiva.  Le diramazioni dell’attività poetica di Anna Maria Petrova-Ghiuselev traspaiono dal suo “inquieto sentire”, che plaude ad un’armoniosa sobrietà, nel raccontare se stessa, con quella sottile malinconia, che rende magica ed incantevole la sua poesia, con immagini appena sbozzate dal vero: <<… Ma la sensazione splendida, affascinante / di una felicità incantata, / che a volte ci cattura impreparati, / è come una rondine inquieta, con le ali frullanti / pronta in ogni istante a volar via e dimenticare>>.  Il percorso emozionale-evocativo determina l’insorgenza delle accensioni liriche sulle tracce mnestiche degli inganni dell’immaginazione, che dà diletto alle finzioni poetiche: <<Quando la speranza va via/ un terribile freddo nell’anima ti spira, / poiché ogni essere in qualcosa confida / e come la perde, all’istante appassisce. // Il cuore aperto è assetato / - di Musica, Primavera  e Gioia – appassisce in un dolore pungente / quando la porta della vita dischiude. // Alla tua spalla , quasi incollata, /incrollabile e certa sta la tua fede; / e di fronte, prossima ad essa, / dietro al pesante portone t’aspetta da tempo, trattenendo il respiro perché tu non lo senta, /il Nulla / crudele e disperante / agghindato da un impalpabile disincanto. // È così nella vita umana, / è come se tutto fosse predefinito: / il male, sfacciato, ti fissa / con aspetto e maniere rinnovate. // A volte lo vuoi mutilare, / colpendo con ferocia, ma quello / è disperatamente inavvertibile/ e ti ferirà più a fondo. // È necessario che lo scacci lontano; / che liberi l’anima dalla ragnatela / e questo passo inatteso / per te è già una vittoria / su ciò che è doloroso, oscuro e futile. // Quindi munisciti ancora di fede / e leva di nuovo lo sguardo al sole; / che la tua anima percepisce pienamente / la dolcezza nel canto di un uccello / e l’oro delle spighe nel campo d’autunno>>.  Il contatto straniante e rabbrividente co le oscure ragioni del Male trova la sua consistenza nella levità impalpabile della luce solare della Poesia di Annabelle, generando altri moti dell’animo, in un gioco inesausto di epifanie liriche, che risarciscono le ferite di un bilancio comunque in attivo: Poiché è tutto già saldato/per un debito mai pagato: la vita mia …”<< Ho saldato tutto, con un crudele tributo/all’invidia, alla maledizione, / ai perfidi, generosi malauguri. // Ma, vi prego: non ho pagato io per tutto ciò. // Non sono io, per fortuna, defraudata … / Per me han pagato / i miei occhi, / le mie braccia e le mie gambe, / il mio cuore sereno / e l’anima mia focosa>>.  Un’impietosa autoanalisi traspare dall’inquietudine di Anna Maria Petrova-Ghiuselev con risonanze ed echi di solitudine leopardiana: <<Che fa l’aria infinita, e quel profondo / Infinito Seren? Che vuol dire questa / Solitudine immensa? ed io che sono ?>> (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia vv. 87-89). Non va tralasciato il giudizio illuminante di Elio Pecora: <<L’entusiasmo – come forza che muove, anche inconsapevolmente, misteriosamente, sentimenti diversi e incontenibili umori – spinge e significa questa raccolta di versi di Anna Maria Petrova, Annabelle.
Nella lirica di Anna Maria è esaltato l’amore, come amore per la vita stessa nella sua interezza. Ed è percepito come un bene arduo e incontenibile, toccato dal desiderio e dalla speranza, dall’ansia e dalla trepidazione. Non è assente la malinconia, come misura dell’esistere, come coscienza della limitatezza e della brevità che governano la giornata umana>>.
Non meno interessante è quanto
scrive Walter Mauro: << I singoli nodi tematici che sono al fondo dell’ispirazione consentono all’intero novero espressivo di distendersi, accompagnato da onde non soltanto sonore, bensì in grado di occupare l’intero patrimonio della vita, degli incontri, dei sobbalzi, di tutto quanto insomma appartiene all’universo sconfinato della poesia. Ecco allora che linguaggio e memoria si fondono, fino a costruire un sostanzioso e consapevole spazio unitario e globale, dal quale – e non è davvero poco – una sorta di spirito bulgaro – per come io l’ho conosciuto – emerge, travalicando la finzione della lingua poetica, e situandosi invece nel patrimonio della ricordanza>>.
Il paesaggio interiore si sedimenta al di là di quello esteriore, anche nella breve nota critica di Ubaldo Giacomucci, che rileva in questi versi anche una cantabilità e una forza musicale, che oltrepassa la matrice tradizionale. La pura soggettività del poeta è in quell’oltranza irraggiungibile, scrive Angelo
Sagnelli, e quindi “varia, ma viva e volutamente reale nelle aspettative, nelle attese, nella solitudine, nella difficoltà delle scelte  di vita  e nei richiami del tempo inflessibile”.  L’autrice catalizza la sua memoria involontaria in un paesaggio carico di ricordi e l’area della poesia diventa un’area transizionale-reversibile con il transfert onirico della seduzione dell’altrove. I fantasmi dell’ispirazione vengono appagati dai meccanismi di condensazione, spostamento e simbolizzazione e, in questa trasversalità, viene attivato il disvelamento interno e psicologico dell’ispirazione poetica. La scena riparativa, con le libere associazioni, traspare dalla riappropiazione del Sé e da tutto un percorso emozionale,che viene mobilitato con la pulsione di vita che diventa un impellente impulso allo sviluppo dei processi auto-rappresentativi. La pervasività espressiva veicola emozioni intense e forti, che vengono affidate osmoticamente al sentimento della natura, che si dilata con le immagini e che nella ri/flessione diventa “paesaggio dell’anima”: <<Sono sola qui con i pensieri miei,/con la mente stanca / e la mia follia audace. // Bevo dalla parte dolce della sofferenza, /ardo in un torrente di sentimenti, / conto il misurato andare dei giorni.// Pulso con te nello spazio sospeso.// Ho bisogno di gocce di follia e di risa!/ Di sentire me stessa e te.// Di esistere.// Di danzare.//Senza alcun pensiero, ma solo/con i nostri sopravvissuti sentimenti.// Un ballo della solitudine, che mi ha stordito l’anima.// I sogni, i traguardi,sono fuochi d’artificio.// Mi rianimano con nuova freschezza/ e mi perseguitano,/mi raggiungono/mi vincono.// Sì! Per essi vivo/ e soffoco l’avida solitudine.// Luna nuova …/ Tu sei qui, mi sfiori …/ Tacciamo. // Risuscitiamo i nostri sogni,/ viviamo>> .Nella poesia di Annabelle viene metabolizzato la catulliana risonanza del “vivamus, mea Lesbia, atque amemus”, in quel <<Viviamo, amiamo, soffriamo;/studiamo, sogniamo e … ci affrettiamo.// Fuggiamo, come se inseguiti/dai treni veloci, connessi/in un convoglio di vento>>.   Questa fuga da se stessi propizia il silenzio interiore e mette a nudo il controverso universo psicologico dei diversi stati d’animo e di inquietudini, costellate di ripensamenti e di vane attese: <<Ansanti ci fermiamo,/con gli occhi assaporare il sorriso,/che la vita ci bruci i palmi;/saper tacere nella quiete/e chiacchierare poi nel ritmo.//Ma tutto è ben poco:/ rubiamo il tempo per vivere.// […] E fermiamoci ancora a lungo,/per tacere, per incominciare a vivere,/per insegnare a noi stessi, per fantasticare;/ e indietro non affrettarsi nuovamente,/disegnare a sé stessi/le traversine del rapido-miraggio>>.
Tutta la sensibilità di Annabelle è orientata verso l’altrove, in termini di essenzialità psichica e in una circolarità interattiva emozionale-espressiva. E della commozione lirica del canto alato di questi versi, con registri di
riferimento diversificati, coesiste una matrice unica, da cui possiamo riscontrare i tratti salienti dell’esercizio ispirativo e  comprendere meglio le motivazioni inconsce della predisposizione alla scrittura poetica di Anna Maria Petrova. In Annabelle non ci si arresta di fronte al limite dell’ossessiva elaborazione del lutto, in quell’attesa senza speranze, ma c’è la pienezza dell’appartenenza di non cedere allo sgomento. Affiorano qua e là tentativi di fuga, ma l’intrepido coraggio della donna bulgara viene fagocitato dal fascino segreto della scrittura; è come se l’artista ritrovasse se stessa e la sua pienezza espressiva nel collegare la vita alla sua poesia e le spie, in questo senso, non mancano a definire la specularità duale di vita/arte, principio di realtà e principio di piacere, pulsione di vita e pulsione di mente.
Un sentimento forte di esulità blandisce l’animo dell’artista, di chi si è dovuto allontanare dalla matrigna amata Patria, per approdare altrove, anche
attraverso lo stato di grazia della poesia. “Ricordi rivelatori” e “ardenti brame verso l’infinito” colmano “l’eco della solitudine,/colmo del respiro della memoria eterna”. L’assenza elabora un sentimento di distanza e di un amore inappagato, nella solitudine inquieta di un tormento senza remissione. L’incrinatura tra immagine e parola allarga il vuoto dell’assenza, incolmabile ed esondante … la frenesia della corsa diventa il dèmone orribile, che si consuma a un ritmo tale, da non consentire il tanto sospirato equilibrio. È il tempo della ricerca interiore, in un momento di crisi, per poter ascendere a nuovi differenziati orizzonti d’attesa, per proiettarsi al di là della storicità del presente e del groviglio della quotidianità, superando il labirinto della solitudine esistenziale. La malinconia, velata dietro la levità delle immagini, maschera la dura realtà del vuoto e dell’assenza, aprendo un varco alla speranza, attraverso il fantasma della poesia: <<Quando sento l’impeto io stessa/d’intonare una melodia,/d’abbandonarmi in un ballo folle/e crollare di dolce stanchezza/in terra quasi senza sensi.// Ma la sensazione splendida, affascinante/di una felicità incantata,/che a volte ci cattura impreparati,/è come una rondine inquieta, con le ali frullanti/pronta in ogni istante a volar via e dimenticare>> . Lo stato di grazia di queste liriche è inteso come liberazione, perché il potere evocativo crea e ri/crea la personale realtà trasfigurata del vissuto di Anna Maria Petrova-Ghiuselev, confermando la valenza encomiabile del suo sentimento poetico, sul versante della “cognizione del vero”. In questo percorso regressivo-emozionale traspare il desiderio dell’oltre e la necessità dell’altrove, per locupletare un’assenza incolmabile e un sentire esorbitante di malinconia, che tenta un inutile approdo verso un irraggiungibile altro. È un sentire vagamente gozzaniano che avvolge un “pensiero poetante”, con scorci improvvisi di folgorante felicità, che scandisce versi, che annichilano il pensiero nel rimosso. La tenerezza elegiaca di Petrova costituisce lo snodo del perturbante, che è sempre in perfetta corrispondenza con un vigoroso amor-vitae: “Eccoti arrivato, birichino Maggio! Hai portato nella mia dimora l’aria inquieta/ del bell’umore di Primavera.// […] Un flusso nuovo, fresco hai donato alla mia vita / e con l’impeto brusco mi hai spinto avanti.// Hai svegliato in me anche la natura-/per risuonarmi intorno e ovunque sia -/ contagiare con il ritmo suo le genti/ ed inviargli il sonetto suo solare.// Ti amo, mio birbante splendido, Maggio,/ perché tutto quel che sfiori/ si trasforma e diventa nuovo, fresco, limpido-/gli occhi che mi accolgono sono caldi/come il soffio della brezza serale/ che riceve nel suo mantello mille sospiri marini,/ quale richiamo terrestre al sole splendente!” . Lo stato d’animo dominante è l’aura crepuscolare, che coglie la diafana atmosfera di un mondo onirico, che traspare dalla misurata prosodia del verso. In questo laboratorio di poesia, il forte disincanto rinvia all’ “occhio interiore” e ad una studiata compostezza che supera resistenze o inibizioni. In limine, tutto appare, attraverso questa carica implosiva, per inseguire spazi illimitati di un’inesprimibile oltranza. La temporalità frantumata collide con un’identità in espansione, che da sola occupa il milieu dell’immaginazione. La dilacerazione io-mondo si teatralizza in un registro che indulge all’afasia e a quella beata condizione di silenzio che propizia la visione e l’estasi. La sintassi si disarticola, perimetrando scenari ora realistici ora evocativi: l’io si estranea nel chiuso della coscienza e la crisi della rappresentazione del reale traspare dalla cifra esistenziale dell’alterità. Un forte smarrimento, sapientemente dissimulato, è a fronte di un rispecchiamento malinconico, dove risaltano immagini di purissima naiveté: l’io perplesso ripiega su se stesso e si disloca verso una memoria liberatrice che sfiora l’auto-confessione autoanalitica: “Attimi…/che ti fanno saltare/dalla sedia,/ tremare, affannarti…/ Attimi…Unici!/ Quando mi stai accanto…/Quando il tuo sguardo/mi arresta il fiato…/Attimi nostri…” . Quando il materiale rimosso affiora, la poetessa ci restituisce un malessere sfuggente di un universo disarmonico; quasi non si riconosce più, perché la sua presenza è proiettata in una realtà “autre”, disancorata dal milieu dell’io e soffocata da un amore inesausto e dalla grigia realtà esperienziale. Un presentimento perturbante di morte agisce sotteraneamente e l’imago degli affetti domestici pervade la scena con un piacere supplementare, quasi un atto di riparazione. “La dissimmetria amorosa” diventa epifania dell’altro e l’autoconfessione ingloba ogni esperienza di rinuncia con la dimensione immaginaria; il non-detto e il senso cifrato vengono improvvisamente alla luce: “La vita… Le sono passata accanto/ma non me ne sono accorta.// Sono passata vicina ma non troppo.// Ho sfiorato il bello e il brutto/ma non sono entrata.// C’era il freno,/l’impedimento,/il muro di gomma…/ Non ero destinata ad assaporarla davvero,/mi è stato solo permesso di passare oltre.// Anche se Dio mi ha battezzata in scena,/anche se vivevo per dare via/il fuoco ardente che avevo dentro,/ anche se… ma non importa!/ Ho visto i mondo solo così sfiorandolo… e basta!/ Il mondo non si è concesso di più,/non l’ho espresso di più,/ non l’ho vissuto di più,/non era mio di più!” .
È una logica di pensiero inconscio non sempre e completamente dominato dal controllo cosciente, perché una formazione di compromesso modella i contenuti della finzione e depotenzia la coscienza, che sovente entra in conflitto con se stessa. Quando il materiale rimosso riaffiora, la poetessa ci restituisce un malessere sfuggente di un universo psichico in espansione, la cui immagine viene trasfigurata dai ricordi  e dal sortilegio di un’intensa attività onirica, che esorcizza la minaccia della grigia quotidianità del
presente.
L’atmosfera di languore e di tenera sensualità viene giocata su sottili allusioni, che lasciano dietro di sé rimpianti e perdita di un amore che non c’è più, ricostruito nostalgicamente attraverso il tenero ricordo. La cifra di questa silloge di poesie va collocata al di là di ogni scuola o corrente, all’interno di una crisi esistenziale, che si entifica sul versante della consapevolezza dell’inutilità delle illusioni e delle speranze. L’accostamento delle immagini è un indicatore trasversale, che attraversa il sentimento amoroso e il languore, alla maniera di Marino Moretti o il pianto desolato del Corazzini con varie suggestioni neocrepuscolari: erompe, dai continui richiami inconsci e da una pervasiva malinconia, il recupero memoriale di un mondo del tutto disincantato e distante, ma perduto per sempre, reso vivo e vitale dalla disarmonia interiore. Il fascino di questa poesia è determinato dalla tristezza del distacco, e, poi, dallo stupore di una condizione di
solitudine essenziale, resa ancora più forte dal cono d’ombra di ogni sogno di fuga e di evasione, di un verso che si lega al flusso delle emozioni: l’immagine della felicità è sempre in agguato, in Annabelle, sempre inseguita e mai raggiunta; per la poetessa, è bello tutto ciò che è remoto nella memoria…: è una luce aurorale, a cui tende il “vagar breve” del beffardo destino umano. La ri/nascita propizia una nuova vita: <<Estate… Oh, estate mia!/ sono io! Amo l’estate, l’amo proprio!/ Quando l’aria di fuori/è come quella dentro-uguale.//Un’unità esatta,/bella,sconvolgente!/ Quella che non puoi sentire sempre.// Estate bella,/estate ovunque,/ estate mia,/quella che sembro io!>> . La sedimentazione del “discorso amoroso” deflagra sulla base del disvelamento delle altre sfere rimosse, che sono al di là del principio di realtà, nella pacificazione di un’incerta armonia interiore: “Sì, mi sento di essere/una parte di questo nostro universo.// Minuscola ma esistente …/  E nonostante tutto –/essere come trasparente,/essere ignorata,/quasi inesistente …/Ma io ci sono!/Eccomi, a dispetto di tutti/che lo temono!/ […] l’entusiasmo che mi contagia./il tuo sorriso e la convinzione/di stare insieme da mille anni …” . A stordire il disagio dell’identificazione, l’ipertrofia dell’io dirompe, nell’impaccio di una vita tra inesorabili tensioni e “ameni inganni”. Dalle ragioni profonde della poesia di Anna Maria Petrova traspare la forza d’urto del sentimento traumatico dell’essere, dove i frammenti dell’io designano l’autenticità di quella enorme ricchezza di un’esistenza in fieri. L’intero tessuto poetico ed espressivo calma lo iato tra la vita vissuta e la non-vita dell’arte, nella perfetta circolarità dell’essere e della poesia. Nel viaggio accidentato della memoria e nella nudità tersa e limpida della parola, l’amarezza dell’esistere viene superara da questo percorso emozionale di “un’attesa inviolabile”, che è nella penombra del sé, che si conclude, in un bilancio in attivo, senza consolazioni illusione o segreti autoinganni: <<Occhi mieti stupiti e innamorati,/di bealtà affamati,/guardate, guardate, rubate e vivete la vita/rinchiusa nel cristallo dei nostri giorni!/ Assorbite tutto – occhi-ricordatelo all’anima,/conservate i granelli d’oro/del nostro oggi condannato a noi.// E a noi domani donate/la memoria eterna di noi oggi!” . Superato il lutto per la scomparsa di ciò che si è amato, Annabelle tenta di ricostruire il suo presente su una speranza fondata, quella della poesia, che, nella sua sintesi magica, compone il passato con il presente, al di là dei contrasti e dei contrari in un insieme infinito matteblanchiano.
È un attraversamento che ci fa pervenire allo snodo fondativo della scrittura di Annabelle: la dolorosa identificazione con l’effimero, che va superato non solo, in chiave freudiana, ma con Rainer Maria Rilke, che, dopo l’ascesa, trova una gracile felicità, nella caduta. Si riverbera, in queste liriche, 
il dissolvimento magico del lutto;  si disvela demiurgicamente da sé la sfera cosciente dell’io, il cui rispecchiamento, in un’immagine interiore, è correlato all’interrogarsi continuo, che precede e accompagna la decodifica di una scrittura poetica dissepolta dal rimosso: “Eccomi qui,/viandante assente,/arrivata da questa parte dell’Adriatico/infreddolita, solitaria …/Sono io,/ con lo sguardo/che vola insieme al vento leggero/e va di là, dove sei tu.//Eccomi,/nel mio oggi azzurro,/tenero, innamorato.// Quello che aspetta di mostrare/la vita a me stessa…/Sono io,/con la testa in fiori avvolta,/ con la corona di stelle/nel cielo immenso/e dalla luna baciata.//Eccomi,/a prendere in mano/ il mio cuore incredulo,/a guidarlo, incoraggiarlo.//Sono io,/ad imparare di nuovo a volare,/di nuovo a sognare,/di nuovo a vivere la vita.// Ora mi vedo attraversare/il mare, il cielo, tutto lo spazio,/mi vedo rinascere, ritrovare le ali/e con loro la voglia di arrivare a te!” . L’area cosciente non cessa di sottolineare la tensione su un asse fondamentale che è quello della positività e non su quello dell’ontologia negativa dell’essere. La sicura affermazione di sé non tarda a venire alla luce, nel cerchio magico della poesia; il tempo non è più quello della memoria che ricorda, ma quello dell’attesa e della speranza, in un impasto linguistico di grande suggestione e musicalità.  La purezza e il candore innocente connotano l’io lirico, in una perfetta simmetria di essenzialità stilistica. In modo trasversale, un nuovo scenario psicologico si apre ad un’evidente sensibilità, che rinvia a stati d’animo profondi: ritmi brevi, sincopati, delineano una rappresentazione dal vivo, dei luoghi del cuore e dei rimpianti, mai del tutto sopiti. Lineare e solare, la poesia di Annabelle, il cui flusso vitale trasfigura gli eventi del passato, in una sorta di “percorso a ritroso” del ricordo e di una “commozione lirica” di grande efficacia espressiva. Per riappropriarsi del proprio Sé, la poetessa tenta un’evasione fantastica, talvolta, dolente; il segreto di una vertigine che fa seguito all’incantamento si correla con il teatro della mente come un testo su cui scrivere la grande avventura della vita, in un isolamento narcisistico, non immune da tentazioni solipsistiche e con approdi salvifici di liberazione. È il volo libero di un airone che tende verso l’infinito, veicolando una sorta di transfert delle “ragioni del cuore” che non conoscono “le ragioni d’amore” della poesia: <<Quando tu ci sei è sempre l’alba.//Nei miei occhi accesi di luce frizzante/la gioia l’anima rinforza/ e splendidi versi le sussurra.// Quando so che tu ci sei/i campi sono verdi e lievi,/i ruscelli giovani scherzosi/ e il cielo nitido/fa festa ai nostri sensi.// […] Quando so che tu ci sei/la Terra balla una danza musicale, tenera;/con l’aria leggera mi avvolge/e mi fa sentire unica, beata>> . L’erranza delle immagini ingenera la divisione dell’io; l’immagine potente del verso si regge da sola; diventa simulacrum ed è soggetta alla trasformazione nella dinamica del tempo interno. La rifrangenza dell’io costruisce un universo eidetico, che viene trasmesso agli altri con il dono della  poesia. È di Kahlil Gibran l’immagine di questa riflessione: “Il piacere del fiore è concedere all’ape il suo nettare”. L’inganno del profondo è avvolgente e significativo, nell’ordito poetico di Anna Maria Petrova, perché il tormento della procreazione visionaria è lo stato magico della dimensione più eletta del dettato poetico. L’autoanalisi diventa un setting introspettivo, un autoinveramento di una catarsi, per un’immersione in toto della propria vita, con un’impressionante capacità d’urto: “Momenti ora, momenti ieri,/persi, sfuggiti, mancati-./vi vorrei qui con me per sempre, per placare il mio domani sconosciuto,/ in agguato …” . Questa scrittura si muove lungo il versante di nuovi investimenti; in questa fase, si attiva <<il sentimento della caducità che svilisce>>, secondo Freud; è “il tempo ritrovato”, che legittima “la coazione a ripetere”, anche quando la realtà precipita in un’entropia irreversibile. L’effetto straniante si tramuta in monologo interiore, in una sorta di monodia lirica, sul discrimine della memoria e del ricordo, sempre appaganti e piacevoli: <<L’acqua quieta candida,/la carezza del vento amico,/l’azzurro sospirato, lontano e vicino.// Lo sguardo immerso là,/ oltre l’affanno di sottocosta.// Stralci di memoria,/scorci di vita, lampi di felicità condivisa/che non tornano mai.// Quadri di storie uniche,/irripetibili.// Poi interrotte e rinchiuse /nello scrigno dei ricordi.//Un tesoro custodito solo/in fondo al cuore>> .Le vistose condizioni della scena onirica e dell’esame di realtà diventano una propaggine  dei moti pulsionali; il lutto e la malinconia sono invariabilmente legati alla reazione della perdita e dell’assenza; il disincanto è in funzione del mondo fantastico e viene totalmente affidato al fantasma della poesia: “Un giorno di pieno autunno/immersa nel silenzio dell’ozio,/ cullata dallo scivolare delicato/di una pioggia di foglie-/l’addio tenero agli alberi e all’estate-/ mi sono svegliata di bellezza/e di immensa voglia di vita.// Ho posato gli occhi stanchi/ sulle falde maestose di Vitosha,/avvolte in strascichi di seta colorata/e ho sentito il respiro di eterna gioia…” . Nel gioco infinito delle concatenazioni associative, l’Irreversibile diventa un “atto illuminante”, forza propulsiva di una potente metamorfosi: “Il mare ha il tuo ricordo// Ha il sapore della tua gioia perduta.//Ha la luce come una vela colorata/di quella barca della tua vita misteriosa.// Il mare respira con i tuoi sospiri/e lo sguardo velato dal soffio del vento.//Il mare conosce la tua memoria/e riempie i sogni di speranza perduta.//Il mare mi porta il tuo ricordo,/il tuo sorriso e il tuo coraggio.//E non mi lascia mai sola!/Il mare” . Si adombrano le ideali “Stanze” di un viaggio affettivo, che ha il suo epilogo in un puntuale paradiso o in un legittimo inferno,assecondando un misterioso disegno , la cui trama resta inspiegabile e il cui varco è negato ad ogni uomo. In senso filosofico, ogni  scrittura poetica è la mutazione dell’io poetante, che agisce sul pensiero , laddove la realtà è irremovibile e indecodificabile : <<Piano piano scivolo fuori/da ossessioni, pensieri, obblighi…/L’aria dolce mi consola,/la brezza lieve sveglia i sensi.// Mi accoglie Halkidiki- amica/come le acque morbide verdi dell’Egeo/ come l’olio spremuto a freddo/e accarezzano il mio spirito sfinito…/Mi abbandono a me stessa,/allontano ogni pensiero,/ riempio i polmoni assetati/e lo sguardo mi porta lontano/dietro quell’azzurro del cielo/ove oso librarmi quieta/ con l’anima di nostalgia colma>> . Il canto lirico di Anna Maria Petrova-Ghiuselev si autoimpone, e deliberatamente, di cambiare rotta, attraverso il suo stesso rivolgimento interiore: prende le dovute distanze  dalla fenomenicità dell’esserci, per poter cogliere gioiosamente l’essenza dell’essere al mondo, dopo essersi esposta coraggiosamente alla dura lotta della propria storicità. La ricomposizione dell’io avviene sotto la forma della rivelazione verbale e del dettato poetico; nel lasciare il lettore ammaliato, fa intravedere le ferite e le lacerazioni del proprio destino burlone: “Tiriamo avanti nelle nostre tane illusorie,/rimpiccioliti, imprigionati…/ Sognando un futuro rosa su Marte…/ Ma chi siamo?/Briciole…” . La specularità dell’io viene investita comunque nell’oggettiva caducità del reale e nel rimpianto di un mondo dorato, fatto di ricordi sfuggenti e impalpabili, quando i tempi dell’incoscienza sedimentavano innocenti illusioni. La poesia di Annabelle è uno stato mentale, affidato all’innocenza di un “inquieto sentire”, che disvela la dolce allegoria delle immagini, che cercano un tu assente e perduto per sempre… La verità è nel cuore delle cose; è in questa profonda mascherata mestizia e nel gorgo strozzato della vita nuda, senza orpelli, né travestimenti. In questa poesia, si fondono le paure e i tormenti, le ansie e le speranze; il labirinto della solitudine diventa una difesa della propria intimità violata, della nudità dell’essere: una ricerca inesausta di viversi totalmente, senza infingimenti o autoinganni, <<malgrado il sentiero coperto di spine…>>.
Il rapporto vitale di Annabelle è con i luoghi del suo vissuto, un rapporto empatico di naturale confluenza emotiva, in perfetta armonia con la natura e con il cosmo: <<Acqua, onde lievi, eterno orizzonte,/una brezza amica e l’immensità dell’Oceano Indiano.// Pieno di vivi ricordi e di calore dimenticato…/Mi tuffo lentamente nelle sue acque purificanti/e sogno la luce sublime dell’eternità.//Dove sei tu sole della felicità, dove sei vita?/Mi nutre la voglia di rivederti, oh immensità azzurra!/Mi è rimasto nel cuore il mal d’Oceano Indiano,/ il suo calore caldo che mi
avvolge/come il tuo sorriso lontano>> . Il pervasivo sentimento dell’assenza interagisce con il discorso d’amore, nell’ambito del “romanzo familiare”, con una redenzione positiva alla solitudine essenziale, che non prescinde mai da un’avida voglia di vivere e di operare. Ed è proprio questo vivere in pectore, che consente alla poetessa il manifestarsi di una forza d’animo avvolgente e sincera. L’esperienza dell’estraneamento è ormai alle spalle, i momenti della lacerazione e delle ferite, un ricordo del passato. Il riscatto è alle porte con la bramosia di un famelico bisogno d’amore, che reclama con più vigore la nostalgia della presenza e la carica incontrollabile, per inseguire altri sogni ed altri fantasmi: “Ho gli occhi pieni di Roma. Come sempre.//Il pino, la luna piena, Porta Pinciana, Caracalla…/Me li godo con questi occhi avidi.//[…] ,/passano, corrono, ricordano e mi sfuggono.// Così come sfugge tutto intorno…/Come te che mi guardi dall’alto della tua vita passata.// […] La notte delle nostre esistenze,/la notte buia del mondo fragile è questa/che ci siamo costruiti intorno…/Un raggio di luce nuova delle nostre vite soltanto/la potrà svelare e colmare di vero senso.//Bisogna avere in serbo il raggio di vita nuova/per salvarci e poterla ancora celebrare!” .
La scena psichica è la proiezione di un processo interno, che, nel contenuto del pensiero, viene regressivamente trasformato in una fantasia di desiderio. In quest’aura di giustificazione, si rinviene il piacere della realtà esterna: città amate da sempre, che vivono in simbiosi con l’animo inquieto della poetessa, facendo dimenticare, per un attimo, la perdita dell’oggetto d’amore e l’avvilimento del sentimento di sé, che culmina, talvolta, nel magico disincanto della poesia. Il fantasma poetico è, per Anna Maria Petrova-Ghiuselev, l’appagamento di un forte desiderio d’amore, che, in uno slittamento di nuovi scenari, costituisce una fuga dal mondo, nell’inconsistenza di un altrove
irraggiungibile. Questa funzione liberatrice si allontana dalla fascinazione del tempo e dello spazio e si emancipa dal mondo visibile e dal principio di realtà, dove il divenire del flusso della storia non consentirà mai di cogliere il lato oscuro e misterioso delle cose.
Carlo Di Lieto



2021-01-05