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LA MOSTRA RIMARRA’ CHIUSA FINO A NUOVE INDICAZIONI
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Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria
Dal 7 Marzo 2020 al 7 Giugno 2020
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Il pittore, la pittura, il progetto Nel 1400 Taddeo di Bartolo (circa 1362-1422) aveva circa quarant’anni ed era un pittore rinomato anche oltre i confini di Siena, sua città natale. Vi fece ritorno nel 1399, dopo aver lavorato per un decennio in Toscana e in Liguria, e in breve tempo si affermò a capo della bottega più importante della città, ruolo poi mantenuto fino alla morte, una ventina d’anni più tardi. Taddeo dipinse affreschi nei luoghi simbolo della città, il duomo e Palazzo Pubblico, guadagnandosi un meritato posto tra le fila della celebre generazione di pittori senesi di primo Trecento: Duccio, Simone Martini e i fratelli Ambrogio e Pietro Lorenzetti, anche se a causa della tradizione storiografica ottocentesca è meno famoso di loro. I risultati raggiunti nei dipinti su tavola furono altrettanto, se non addirittura superiori, a quelli nella pittura murale. Fino agli ultimi anni fu straordinariamente produttivo nell’una e nell’altra tecnica, a Siena e altrove, quale ambasciatore della sua città. Taddeo di Bartolo è un titolo volutamente generico per una mostra, la prima mai dedicata a questo pittore di prim’ordine, incentrata sui suoi polittici: dipinti composti da più scomparti in legno di pioppo strettamente uniti tra loro in modo da formare strutture che si autosostengono sugli altari. Vere delizie per gli occhi, tali dipinti sono ricchi di colori, di ornati e sfavillanti d’oro. Raffigurano santi del Paradiso e spesso raccontano come lo hanno raggiunto. La costruzione in più parti, imposta dalla natura stessa del legno, facilitava l’assemblaggio, lo smontaggio e il trasporto dei vari elementi che lo componevano. Nella loro complessità i polittici erano micro-architetture. È probabile che Taddeo collaborasse con il legnaiolo quando disegnava le pale d’altare, soprattutto quelle di grandi dimensioni, e lo stesso deve aver fatto durante le prove di montaggio. I pezzi arrivavano nella sua bottega già forniti di cornici, l’artista si occupava, con l’aiuto degli assistenti, di preparare il legno per la pittura, trasferirvi i disegni, dipingerli e aggiungere ulteriori decorazioni. Avvolgeva poi i pezzi finiti in coperte, e li spediva a destinazione per mezzo di carri. Nel caso di opere di grandi dimensioni soprintendeva personalmente al montaggio, un obbligo a volte esplicitamente richiesto dal contratto. Considerate le difficoltà pratiche nel dare stabilità a queste strutture alte, larghe ma allo stesso tempo sottili, Taddeo doveva prestare particolare cura nel congiungere gli elementi tra loro e nell’ancorare le pale collocate sull’altare. Era esperto nel suo mestiere se la sua memoria è arrivata fino a noi. Quest’esposizione nasce da un graditissimo invito da parte del direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria. Durante i molti anni di studio dedicati da parte nostra al pittore mai avremmo immaginato una mostra dedicata a Taddeo e ancor meno di esserne i curatori. La proposta iniziale di Marco Pierini era esibire la stupenda pala d’altare del 1403 che aveva consacrato Taddeo quale ‘ingegnere’ del più importante polittico del suo tempo. Per mostrare l’eccezionalità del dipinto, che costituisce il fulcro dell’iniziativa, era necessario riunire le parti smembrate in modo da dare un’idea del suo aspetto originale: il nostro obiettivo era dunque ricostruire la pala. Con l’ineluttabile evoluzione del gusto, i polittici furono rimossi dalle loro sedi originarie e raramente sfuggirono allo smembramento. Già nel 1506 la celebre Maestà di Duccio del 1308-1311 fu smontata dall’altare maggiore del duomo di Siena, mentre lo straordinario dipinto bifronte di Sassetta del 1444 per San Francesco a Sansepolcro, ispirato a quello di Taddeo del 1403, fu rimosso tra il 1578 e il 1583. Entrambe le opere furono divise in pezzi. Lo stesso Taddeo con il suo polittico del 1403 fu responsabile della precoce rimozione del dipinto che si trovava precedentemente sull’altare, il dossale del 1272 circa, giunto a noi solo in parte. La pala di Taddeo rimase sull’altare fin verso il 1535, per poi essere smontata in fasi successive: l’intera cornice andò perduta e nel corso del tempo numerosi elementi, molti dei quali non resta più traccia, furono alienati. Le varie parti che formavano i polittici potevano essere modificate e riadattate per renderle più moderne (mutilate, avrebbe detto Taddeo!) oppure distrutte. Fortunatamente nel nostro caso non sono state compromesse gravemente dalle alterazioni. Molte pale d’altare sono state smembrate per ragioni economiche, fatto che spiega la dispersione in tutto il mondo di elementi appartenenti a polittici italiani. Una volta montato, il capolavoro di Taddeo raggiungeva approssimativamente una larghezza di 450 cm e un’altezza probabilmente ancora maggiore. Comprendeva sette scomparti verticali (era un eptittico) e almeno tre registri orizzontali, se non addirittura quattro o cinque, il tutto racchiuso da un’incorniciatura che consentiva all’opera di autosostenersi. Eccezionalmente dipinta su entrambi i lati, si trattava di una macchina spettacolare, che comprendeva almeno quarantadue campi figurati senza considerare la decorazione dei sostegni laterali (pilieri). È quasi certo che Taddeo dipinse l’eptittico nella sua bottega senese, fulcro della sua attività e centro di distribuzione, per poi trasferirsi a Perugia in modo da soprintendere al montaggio, città che doveva aver visitato più volte per discutere con i committenti ed esaminare gli spazi dove si trovava l’altare. La scelta di Perugia quale sede per una mostra dedicata al grande pittore senese, apparentemente anomala, ci è sembrata ovvia: l’eptittico del 1403 è un’opera perugina in tutto e per tutto. Taddeo l’aveva installata sull’altare maggiore della chiesa francescana della città, San Francesco al Prato, centro nevralgico dell’ordine, seconda solo alla basilica di Assisi nella gerarchia delle comunità francescane. Le immagini di Taddeo, meticolosamente orchestrate dagli stessi frati forse fin dal 1398, equivalevano a un manifesto della loro identità collettiva e dei loro principi; un documento fondamentale per i seguaci di Francesco all’approssimarsi del secondo centenario della sua morte. Significativa era stata la scelta del pittore di raffigurare il santo fondatore come si presentava sul sigillo tardo-trecentesco del convento di Assisi, che sorgeva a pochi chilometri di distanza. Nonostante la dispersione e la scomparsa di varie parti, il nucleo centrale del polittico è rimasto a Perugia. Le tavole più importanti, dodici pezzi del registro principale su un totale di quattordici, con raffigurazioni di santi a figura intera, si trovano nella Galleria Nazionale, al pari di una delle cuspidi. Rispetto a qualsiasi altro luogo, Siena compresa, la Galleria risulta quindi il museo che possiede il maggior numero di tavole di Taddeo, ospitando tredici componenti del polittico e altre due opere. Due elementi dell’eptittico che servono a completare il registro principale sono stati rintracciati non molto lontano, ad Assisi e a Gubbio, e siamo felici di poterli ricongiungere ai loro compagni. Altre tavole sono state invece recuperate in luoghi lontani. Dalla Germania e dai Paesi Bassi arrivano sette piccole scene che costituiscono il registro narrativo collocato al di sotto dei santi. A conferma dell’importanza attribuita al nostro progetto i conservatori del museo di Hannover hanno voluto inviare tutte le loro sei tavole. Da Napoli è giunta una piccola figura di santo che ci consentirà di verificare la sua pertinenza a uno dei pilieri. Ai prestatori, che con la loro disponibilità hanno contribuito al successo del nostro tentativo di ricostruzione, rivolgiamo i nostri sentiti ringraziamenti. Un riconoscimento speciale va al curatore e al direttore della Landesgalerie di Hannover, e in particolare alla restauratrice Kirsten Hinderer che ha condotto con grande impegno analisi diagnostiche parallele alle nostre. Manca purtroppo all’appello un ultimo dipinto riconosciuto come parte integrante della pala del 1403: il precario stato conservativo non ha consentito di farlo viaggiare dalla Yale University Art Gallery (New Haven, CT) fino a Perugia. Numerose sono state le sfide che abbiamo dovuto affrontare per ricostruire il polittico. L’assenza delle cornici, la divisione degli scomparti, poi segati nel mezzo per ottenere due facce, la rimozione delle scene narrative poste al di sotto dei santi, la rifilatura dei bordi delle tavole, come pure altre modifiche hanno compromesso il senso di omogeneità della ricostruzione, ma ancor più determinante è stata la necessità di includere box climatizzati per proteggere i dipinti. Per ragioni di sicurezza tra le tavole che avrebbero dovuto essere montate ‘dorso contro dorso’ si è dovuto inserire un pannello che non rispecchia la situazione originaria. La presenza di una sola cuspide, e di un unico santo probabilmente proveniente da un piliere, ha poi confermato quello che avevamo previsto sin dall’inizio: vi sono ampi spazi vuoti nel registro delle storie e soprattutto a livello delle cuspidi. Abbiamo ritenuto essenziale ricostruire i pilieri, per i quali abbiamo scelto forme semplici con una larghezza che ci sembrava corretta, mentre si è preferito lasciare spoglio il registro delle cuspidi. Si sarebbero potute adottare altre soluzioni, ma nessuna ci è sembrata fondata. Il più grande problema che abbiamo dovuto affrontare, e purtroppo rimasto irrisolto, è stato l’abbinamento fra le storie della vita di San Francesco e i santi sovrastanti. Le scene, attualmente sette di un gruppo originario di dodici, erano state dipinte sulle stesse tavole a doppia faccia insieme alle figure dei santi, ma dopo essere state separate e divise non è rimasta traccia della loro disposizione iniziale. Sei tavole narrative che in origine formavano tre coppie si trovano ora a Hannover, mentre una è a Huis Bergh (Paesi Bassi). Per riuscire a collegare correttamente le storie con i santi, abbiamo eseguito radiografie sia delle scene sia dei santi perugini, ma le analisi non hanno fornito risposte definitive. Vana è stata anche la speranza di stabilire i rapporti sulla base degli anelli di accrescimento del legno. Ci auguriamo che ulteriori studi, anche in occasione della mostra, diano risposte alle questioni rimaste aperte, permettendo una definitiva ricomposizione, che sarà per forza di cose digitale. I grandi pregi della nostra ricostruzione sono certamente, ci permettiamo di dirlo, il mostrare solo le parti originali, lasciando lacune dove non è stato possibile colmarle, e l’aver riunito tutte le tavole tranne una, occasione certamente irripetibile. Prima o poi sarà realizzato un modello digitale accurato della chiesa dove si trovava il dipinto. San Francesco al Prato è un edificio compromesso, già danneggiato da problemi di stabilità all’inizio del Quattrocento e per questo ricostruito nei secoli successivi. L’edificio, a lungo rimasto inaccessibile, è stato di recente restaurato dal comune e adibito ad auditorium. In mostra uno schermo elettronico presenta alcune fotografie e una pianta che indica la posizione dell’antico altare, oltre a un’approssimativa ricostruzione virtuale dell’interno. Il nostro augurio è che in futuro si possa ricostruire con precisione l’edificio così come si presentava nel 1400, lavoro che richiederà indagini architettoniche e archeologiche al di là delle nostre competenze. Gail E.Solberg-Curatrice della mostra Perugia, 5 marzo 2020 * Estratto dal testo in catalogo Silvana Editoriale |
2020-04-30
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