articolo 2277

 

 
 
LO SPECCHIO DI CELESTINO
Archeologia etrusca a Modena nella prima metà dell’Ottocento
 






Galleria Estense,Modena
Dal 25 Maggio 2019 al 1 Ottobre 2019




Celestino Cavedoni
Celestino Cavedoni, nato a Levizzano di Castelvetro nel 1795, si distinse per la sua conoscenza antiquaria, frutto di una solida formazione umanistica ed ecclesiastica, avvenuta tra Modena e Bologna. Formatosi preliminarmente su materie propedeutiche alle scienze antiquarie come le lingue antiche e la paleografia, in seguito Cavedoni approfondì i temi dell’archeologia e della numismatica. A Bologna, dal 1816 al 1820, frequentò le lezioni dell’archeologo e numismatico Filippo Schiassi e dell’erudito cardinale Mezzofanti, bibliotecario e linguista noto per la sua padronanza di numerose lingue e dialetti. Un altro importante contatto di Cavedoni fu il numismatico ed epigrafista Bartolomeo Borghesi, con cui ebbe una significativa corrispondenza epistolare.
Consolidata così la sua formazione, vivificata costantemente dagli stretti contatti mantenuti con molti tra i maggiori antiquari, numismatici ed
archeologi del tempo, dal 1820 Cavedoni divenne custode d’eccezione delle raccolte dei Duchi d’Este a Modena. Si applicò con dedizione allo studio dei reperti che emergevano dalle campagne di scavo o pervenuti per acquisizioni, come la pregevole raccolta di Tomaso Obizzi del Catajo, guadagnandosi il titolo di curatore del Museo del Medagliere e anche quello di Bibliotecario Ducale, alla morte di Antonio Lombardi (1847).
Un punto di vista privilegiato per lo studio delle vicende cavedoniane è rappresentato dal suo carteggio. Senza mai spostarsi da Modena, Cavedoni coltivò una fitta rete di contatti epistolari con importanti eruditi del tempo, non solo modenesi: intrattenne infatti rapporti con personalità come Auguste Emil Braun e Theodor Mommsen, con Desiré Raoul Rochette e raggiunse persino l’Impero di Russia conversando con il tedesco naturalizzato russo barone Bernhard von Köhne.
Il prezioso nucleo conta al suo interno circa 5300 lettere e copre un arco cronologico che va dal
1817 al 1865, anno della morte del bibliotecario ducale. Questa straordinaria testimonianza è conservata alla Biblioteca Estense universitaria, secondo le disposizioni testamentarie di Cavedoni che nel 1848 scriveva: «Alla R. Biblioteca Estense permanente in Modena lascio il mio Carteggio letterario ed archeologico, le schede de’ miei studi letterarj ed antiquarj, tutti gli esemplari delle mie operette stampate che trovinsi postillate di mano mia, e la Doctrina num.vet. dell’Eckhel pure da me postillata, a condizione che siano riposte tra’ Manoscritti, e non possano giammai alienarsi o portarsi fuori del locale della Biblioteca medesima».
Fino al 2016 le lettere erano legate in corposi volumi che ne rendevano difficoltosa la consultazione, soprattutto a causa della stretta cucitura che impediva la completa lettura dei fogli. Per questo motivo nel 2017 è stato portato a termine un intervento di restauro mirato al recupero dell’aspetto originario del materiale, con il condizionamento
finale delle lettere in scatole in tela. È stato compiuto un restauro minimamente invasivo delle carte, con rimozione delle polveri e deacidificazione localizzata delle parti bisognose, integrando le piccole lacune con carta giapponese di adeguato spessore e colore. Le singole lettere sono state così riordinate conservando il vecchio criterio della successione alfabetica, mantenendo l’integrazione della Appendice, ma recuperando l’inventario e tutte le informazioni ad esso connesse.
Questo intervento, effettuato dal Laboratorio Restauro San Giorgio di Roma sotto la guida della dott.ssa Milena Ricci, finalizzato anche alla futura digitalizzazione, consente una migliore fruizione per gli studiosi che potranno così delineare i percorsi incrociati dell’archeologia ottocentesca, grazie alla presenza nel carteggio di numerose notizie su campagne di scavo contemporanee, di richieste di stime e consulenze da parte di collezionisti, e di testimonianze su accesi dibattiti
sull’identificazione dei reperti e sulle nuove discipline.
La fitta rete di relazioni epistolari rappresenta quindi una preziosa fonte di informazioni sulla storia del territorio e dei suoi ritrovamenti archeologici, ma non solo.
Altrettanto preziosi sono i numerosi interventi che Cavedoni era solito pubblicare sui periodici specializzati nazionali ed europei, le note manoscritte aggiunte a integrazione delle proprie pubblicazioni, le sue minuziose schede di lavoro e alcuni piccoli schizzi di reperti che, con il carteggio, completano l’eredità antiquaria che egli lasciò alla Biblioteca Estense.
Un esempio dell’importanza di queste testimonianze è il caso della Galassina: Cavedoni ricevette notizia di alcuni reperti dai Vandelli, proprietari terrieri del fondo in cui avvenne il ritrovamento nel gennaio 1841, intrattenendo in particolare un fitto rapporto epistolare con Gaetano, che lo informava di diversi ritrovamenti archeologici nell’area di Castelvetro. Nello stesso anno
Cavedoni pubblicò questa scoperta e l’anno successivo gli «Annali dell’Istituto di corrispondenza archeologica» ospitarono il primo rilievo dei manufatti, in particolare dello specchio, del bacile e di due frammenti della cista. In questa occasione Cavedoni commentò il ritrovamento dando come da prassi una propria lettura dei reperti: in particolare, per una sezione dello specchio graffito, interpretò come scena legata a un rito funebre una raffigurazione erotica. Primo fermo oppositore di tale dubbia interpretazione fu Emil Braun che in cinque lettere tra il maggio 1841 e lo stesso mese del 1843 comunicò le sue perplessità a Celestino Cavedoni. Nonostante questo disaccordo, Cavedoni, molto attivo nell’area tedesca, riscuoteva l’apprezzamento di Braun, che lo riteneva uomo di «vasti mezzi d’erudizione e molteplici talenti».
In conclusione, il carteggio di Cavedoni permette di seguire lo sviluppo del ritrovamento e della discussione relativa al sito della Galassina, ma molteplici
sono le possibilità di studio che questa straordinaria fonte ancora deve offrire.
Nadia De Lutio ed Erica Vecchio-Biblioteca Estense Universitaria Modena
dal catalogo SAGEP

Francesco IV d’Austria-Este e il collezionismo archeologico
La formazione classica impartita al giovane Francesco IV d’Austria-Este tra le corti di Milano e Vienna fu sicuramente l’origine di una viva passione per l’antico, ed in particolare per la numismatica, che segnerà non solo il linguaggio estetico e ideologico del futuro duca di Modena, ma anche i suoi interessi più personali, di cui restano tracce tangibili nelle raccolte estensi di antichità.
Un primo indice di questa personale curiosità per l’archeologia e la cultura classica è dato dal resoconto autografo del suo viaggio verso la Sardegna, attraverso la Grecia, le isole dello Ionio e il sud Italia, precedente all’insediamento come sovrano di Modena. L’itinerario ricalca in parte le
mete già esplorate dai viaggiatori del Settecento, delle quali Francesco lascia accurate descrizioni. In più occasioni sembra anche farsi parte attiva di una sorta di percorso esplorativo e formativo, prendendo contatto con eruditi, annotando impressioni sugli usi e i costumi delle popolazioni locali e finanche scoprendo reperti che entreranno a far parte della sua collezione, come la moneta che ebbe «la sorte di trovare» tra le rovine di Pergamo ed Efeso.
Giunto a Modena nel 1814, in seguito al Congresso di Vienna, il nuovo duca trovò la collezione estense di antichità estremamente depauperata. L’illustre passato delle raccolte di arte antica, che ebbe origine già a partire dal Quattrocento, fu più volte minato, dal Cinquecento e Seicento, da periodi di ingenti dispersioni. La ricostituzione dell’importante patrimonio artistico perduto fu sicuramente tra i primi obiettivi del duca per gettare le basi del riconquistato prestigio della casata estense, facendone uno dei fondamenti
della restaurazione del proprio potere.
Francesco IV cercò dunque da subito di inserirsi in questa secolare tradizione collezionistica, concentrandosi dapprima sul Monetiere e Medagliere Estense, del quale al suo arrivo trovò certamente solo «un misero avanzo». Già nel 1815 furono recuperate le opere prelevate dai commissari francesi nel 1796 ed i primi rinvenimenti fortuiti nel territorio modenese portarono all’acquisto di diverse monete provenienti da ripostigli e tesoretti di età romana. Lo stesso duca ritrovò sulla vetta del Monte Cimone una moneta dell’imperatore Massimiano, che depositò nella sua collezione, accompagnata da una orgogliosa nota autografa che testimonia dell’interesse personale e privato del duca per la numismatica antica.
La viva attenzione per l’antico accomuna anche il fratello di Francesco, Massimiliano, che suggerì al duca di nominare Celestino Cavedoni, erudito, numismatico ed archeologo ante litteram, quale “Aggiunto” alla Biblioteca Palatina, perché
si occupasse della tutela e dello studio del Medagliere e delle circa mille opere pervenute in eredità a Modena dalla collezione di antichità di Tommaso Obizzi, tra le quali figurano alcuni capolavori tuttora esposti in Galleria Estense. Questo primo nucleo di opere, perlopiù bronzetti e oggetti di ornamento, dall’età protostorica a quella romana, contribuì alla nascita del Museo Estense, annesso alla Biblioteca. Si tratta ancora di un ambiente semiprivato, al quale trovano accesso, su richiesta, studiosi e appassionati, ma già concepito come luogo deputato allo studio della storia e della scienza dell’antichità. Inizia infatti ad allontanarsi quella visione meramente antiquaria dell’opera, tipica del secolo precedente, per lasciare spazio ad un approccio più archeologico all’arte antica sempre più concepita, al pari dei libri, come documento indispensabile per la conoscenza del passato.
È in questo contesto che vanno inquadrate molte delle iniziative culturali volute da Francesco
IV, come l’allestimento del Museo Lapidario nel 1828, primo vero istituto museale aperto al pubblico di Modena, e la Società Archeologica fondata nel 1844 di cui il duca fu attivo socio contribuente.
Francesco IV si fa insomma promotore dell’illustre trascorso storico della propria città, trovando in esso legittimazione e prestigio, ma non solo: nella sua attività collezionistica sembra intravedersi una sincera curiosità per la storia, che sfocia nella promozione, nella divulgazione e nell’incremento delle proprie raccolte, anche al fine dell’interesse pubblico e al servizio della nascente disciplina dell’archeologia.
CHIARA MARASTONI
Modena, 24 maggio 2019



2019-06-30