articolo 2264

 

 
 
BERENICE ABBOTT
TOPOGRAPHIES
 






LECCO - PALAZZO DELLE PAURE
DAL 20 APRILE ALL’8 SETTEMBRE 2019




Berenice Abbott. Tra documento e racconto. L’importanza dei maestri

La vita e il percorso di Berenice Abbott si svolgono attorno ad alcuni temi che si intrecciano e si sviluppano nel tempo facendone una figura di rilievo nella storia della fotografia.
In un’epoca come la nostra dove sembra che l’uomo possa “farsi da solo”, Berenice Abbott diviene un interessante punto di riferimento per analizzare il complesso processo di formazione che vede in gioco la ricerca personale, con tutta la sua indispensabile forza, e la capacità di individuare dei maestri, delle figure autorevoli dalle quali apprendere un modo di esprimersi e relazionarsi col mondo.
Il primo periodo di formazione di Berenice Abbott, a New York, la vede impegnata nel tentativo di dedicarsi alla scultura, e forse, già in questa primissima fase, si può scoprire l’origine della sua meticolosa attenzione alla forma, alla struttura, cioè allo scheletro portante che si nasconde dentro ogni immagine.
Berenice Abbott si sposta poi in Europa, a Parigi, che nei primi anni del ‘900 era un punto di incontro per tutti i più grandi artisti, dove ha la possibilità di conoscere, in particolare, Man Ray, con cui riuscirà a lavorare prima come assistente di camera oscura e, in seguito, nello studio dei ritratti. Man Ray rappresenta sicuramente un altro importante tassello della sua formazione: linee, forme e grafica, studio dei materiali, insieme ad un inedito aspetto creativo, sono il fondamento delle sue ricerche e delle sue opere, elementi che rimarranno impressi nello sguardo di Berenice Abbott e che, in qualche modo, sembrano affiorare persino nelle immagini a carattere scientifico scattate molti anni più tardi. Anche i ritratti, che in Francia avevano trovato in Nadar un grande autore capace di ricercare e sottolineare la personalità dei soggetti, trovano in Man Ray quella straordinaria intuizione di lasciar esprimere liberamente i propri soggetti davanti alla fotocamera, un’attenzione che anche Berenice Abbott saprà dedicare ai protagonisti dei suoi ritratti.
Un ulteriore capitolo di fondamentale importanza l’avrà l’incontro con Eugène Atget.
La sensibilità e l’intelligenza di Berenice Abbott consisteranno nel saper riconoscere tutta la genialità di questo altro grande autore della storia della fotografia, capace di ritrarre Parigi descrivendo il volto di una città che si svela dietro l’apparente, rapida, trasformazione; un Atget capace di togliere la maschera dell’effimero per entrare in un’altra dimensione del tempo, una fotografia, la sua, che va oltre l’istante e che sa leggere e descrivere il continuum della storia lo stratificarsi del tempo in un intreccio tra passato e presente. Da qui Berenice Abbott seppe trarre l’ispirazione per il lavoro sulla New York che stava cambiando. Ma il grande merito sta anche e proprio in quella presa di coscienza del ruolo fondamentale di Atget così da volerne
salvare e tutelare le immagini e la memoria sino ad attivare una serie di iniziative perché quel fotografo, morto nel 1927 assai poco conosciuto, potesse essere riscoperto e rivalutato. Anche Walker Evans, un altro grande autore, protagonista della campagna fotografica della Farm Security Administration, si ispirerà ad Atget per raccontare gli anni della grande depressione. Come lui diversi altri fotografi condivideranno la scelta di un apparecchio di grande formato, un tipo di fotocamera che implica una modalità di lavoro lenta e contemplativa, in controtendenza rispetto all’avanzante uso di piccole fotocamere e di un rapido sguardo.
Proprio la dimensione di uno sguardo che diventa narrazione sarà la costante di molti autori come Eugène Atget, Walker Evans, Dorothea Lange, oltre a Berenice Abbott che per vari motivi vorranno utilizzare lo strumento della fotografia per documentare città e paesaggi, coscienti dell’importanza di stabilire una memoria visiva della realtà in rapido cambiamento e nello stesso tempo fornire un racconto che aiuti a cogliere e decifrare il presente. Il linguaggio delle immagini fotografiche, con loro, vive quel fantastico equilibrio tra l’idea e la convinzione di uno strumento oggettivo, in qualche modo figlio della scienza, e la possibilità di uno sguardo che interpreta e, appunto, crea una narrazione. Forse un compimento di quella rivoluzione che Alfred Stieglitz aveva iniziato sul volgere del secolo con l’idea di una “straight photography”, una “fotografia diretta” senza più effetti, di qualsivoglia genere, e che aveva trovato anche Paul Strand, sulle pagine di Camera Work, un sostenitore.
Il lavoro di questi grandi autori, successivamente, diverrà, a sua volta, punto di riferimento per altri fotografi che già negli anni seguenti inizieranno a descrivere, in America, i nuovi mutamenti sociali e del paesaggio; in effetti Berenice Abbott, con il progetto sulla Route 1, contribuisce a creare il mito di quell’America “on the road” che sarà condiviso anche da scrittori come Jack Kerouac o fotografi come Robert Frank, Diane Arbus, Lee Friedlander, fino alla riscoperta di Vivian Maier.
Infine l’ultima parte del lavoro di Berenice Abbott dove lo sguardo scientifico e oggettivo diviene arte. Si avvertono gli echi delle indagini già svolte nell’ambito del Bauhaus su oggetti e materiali con Moholy Nagy, così come i primi esperimenti di Man Ray.
“Immagini-documento” che, ancora una volta, esplorano nuovi mondi e nuovi modi per poterli rappresentare, come poi farà anche il fotografo Andreas Feininger. Queste sperimentazioni certo non dimenticano la ricerca estetica ma, anzi, sembrano proprio voler unire la visualizzazione di fenomeni ad una composizione assolutamente proiettata anche sul piano formale.
Proprio questo intreccio tra tecniche e linguaggio dell’immagine, tra la scoperta di vecchi e nuovi maestri fanno dunque di Berenice Abbott una figura di grande interesse nel mondo della fotografia.
PIERO



2019-04-30