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a cura di Antonio Filippetti
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Liberi in poesia: nuova edizione ( i poeti dicono che….) Il progetto “Liberi in poesia” si concentra sin dall’inizio su determinate prerogative strettamente funzionali al proprio obiettivo di fondo, vale a dire : “far circolare l’animus creativo”, “contrastare il livellamento delle coscienze”, “confrontare il libero pensiero”, “sostenere l’originalità dell’intelligenza”. Finora, con tipologie editoriali diverse sono state realizzate quattro edizioni. Per una nuova tornata di “Liberi in Poesia”, intendiamo raccogliere periodicamente sulla nostra rivista la voce dei poeti sulla funzione della poesia nella società di oggi.
-Risponde Antonio Spagnuolo- 1. La prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua personale definizione di poesia? La poesia è il sussurro che delicatamente il subconscio cerca di plasmare diventando inaspettatamente musica e parola , nella vertigine di quei sentimenti alti, che il nostro bagaglio culturale riesce a realizzare . La poesia è legata all’inconscio e l’inconscio è il luogo della poesia, divenendo simbolo della manifestazione trasognante , che prende e attanaglia l’esserci per l’esistenza. 2. Come si diventa (ci si scopre) poeti? Personalmente io non mi sono scoperto poeta , sono nato alla poesia traducendo l’onirico dal quotidiano , e sin dalla gioventù il mio parlare ha acquistato involontariamente il ritmo dell’endecasillabo , insistendo in una natura presemantica che ha ricercato la pronuncia schermata dalla espressività. Il lavorio di ricerca ha quindi caratterizzato la necessità di scrivere in versi, fino a diventarne radice e sostanza. 3. Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? Io penso e credo che il rapporto poeta / società sia sempre stato alquanto difficile , perché il poeta è stato spesso considerato un perdigiorno , con la testa fra le nuvole e l’incapacità di sopportare il travaglio. Ancora oggi il pubblico della poesia è scarso , perché non preparato alla lettura , sia per un deficit famigliare che per una mancanza nel dovere dei docenti. Io non avverto alcun disagio nel presentarmi nell’agone societario contemporaneo , e vivo la mia solitudine con grande impegno culturale. 4. La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? Domanda molto tendenziosa , alla quale difficilmente si può dare una risposta valida. Il cambiamento sociale al giorno d’oggi è illusoriamente affidato alla schiera politica che invade le platee, nel mentre la poesia rimane un tentativo di “urlo nel deserto”. Chi l’ascolta ? 5. Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? Veramente non saprei con precisione collocare la poesia in un ruolo be preciso e determinante. Tra le attività creative (musica, pittura , prosa, scultura , tessitura et simili) immagino che sia la più seguita da una valanga di scrittori che credono di essere poeti . Non offrono nella scuola una ricerca approfondita della “Poesia” , per cui quest’ arte rimane uno scoglio abbrutito dalle onde e dal sole. 6. Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Forse qualcosa è cambiato . Qualcuno accetta il poeta e lo segue , i mass media di tanto in tanto aprono i loro spazi , l’editoria accetta centinaia di tentativi. 7. Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? Ripeto . Leggere la poesia , assaporarne i contenuti , assimilare i ritmi non è da tutti . Manca una cultura di base , che purtroppo la scuola e la famiglia non offre al giovane. Che ci siano poi “tanti poeti” non sono d’accordo . I veri poeti contemporanei si contano sulla punta della mano , salvaguardando la massa informe che mena varsacci sulla pagina. 8. Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia?- La poesia non morirà mai . Non riesco a immaginare nuove e accattivanti funzioni del poeta . Egli sarà sempre un uomo di cultura , con bagaglio invidiabile ,e sorprese inaspettate. Antonio Spagnuolo
-Risponde Ugo Piscopo- 1. Ci può dare una sua personale definizione di poesia? Provo a dare una mia definizione, sapendo che si tratta di una mia proposizione. Per ogni poeta, infatti, c’è una sua definizione. Da Platone e dal Perì upsous (il trattato del sublime attribuito allo Pseudo Longino) in qua è stata tutta una declinazione di definizioni non componibili fra loro, per l’intervento di variabili che di volta in volta hanno cambiato il concetto. Finora non si è arrivati, né si arriverà mai a un’unica e definitiva formula. E, se mai ci si arrivasse, vorrebbe dire che la poesia è morta, che ha scelto il suicidio nel regno del pensiero unico con pretese e certezze imperiali. Per quanto ne sappia io, la poesia è una delle chiavi per entrare nel mondo del possibile dell’impossibile, del dicibile dell’indicibile, un universo incommisurato finora e in espansione, al modo della materia che tensivamente ed esplosivamente forma e informa l’universo. 2. Come si diventa (ci si scopre) poeti? In mille modi, anzi in milleuno. Posso dire un po’ di me. Vivevo con una nonna contadina, di recente vedova, per sua compagnia. La mia famiglia, papà mamma mio fratello le sorelle, erano in un altro paese, non lontano dal villaggio dove stavo con mia nonna contadina, analfabeta, ma che sapeva leggere il reale, come verità e come sogno, e narrava con gran gusto di dettagli le fiabe, recitava con icastica e persuasiva suggestività detti, proverbi, brani di teatro sacro degli “antici”, seguiva sentieri non comunemente praticati per scoprire collegamenti fra cose lontane e buffe asimmetrie fra cose vicine. Era un flusso di vitalità aurorale. Io dovevo andare a scuola (quarta e quinta elementare), portarea pascolare la capra, provvedere a raccogliere l’erba per i conigli, mettere “all’ ammasona” le galline, andare a prendere l’acqua per bere alla fontana, raccogliere le castagne, le noci, le nocciole nella loro stagione, vigilare sull’orto, su un altro fondo di terra e su una selvetta accanto al camposanto. Ma mi piaceva tanto leggere e scrivere. In classe, il maestro si era fatta l’idea che io avessi aiuto e suggerimenti a casa per riassunti e temi. Un giorno, non ne poté più e mi esortò a non contrabbandare come miei lavori non miei, in quanto me li scrivevano dei familiari. Subito insorsero tutti i miei compagni protestando a mia difesa che quello che facevo io, lo facevo io e nessun altro, perché a casa stavo solo con una nonna contadina. Il maestro a quel punto esclamò: “Ma allora tu sei un poeta!”. E da quel momento mi dette il titolo di “piccolo poeta” e mi citava in classe come punto di riferimento. Dovetti, poi, raggiungere la mia famiglia, per continuare gli studi. Ma studiavo di molta malavoglia, perché volevo continuare a stare con mia nonna e fare vita campestre, come gli altri miei compagni del villaggio. Mi portavo appresso una grande tristezza e rendevo a scuola molto mediocremente. Ma poi all’improvviso mi svegliai e cominciai a scrivere e a studiare alla mia maniera. Andavo molto bene in disegno, matematica e inglese. Ma il professore di lettere mi trattava con diffidenza. Un giorno mi appioppò un “non classificato” a un tema, perché era farina non del mio sacco, quella era una poesia. Provai inutilmente a convincerlo che era il contrario. Non ci riuscii e ripresi a fare temini e riassunti mediocri ad altezza delle sue aspettative, o, meglio, non aspettative. Ma capii anche che la poesia è un linguaggio non usuale, di cui gli altri si allarmano come sotto effetto di una scossa. Andai poi al liceo, deciso a fare bene ed ero a riscontro considerato bravo. All’università, mi appassionai del mondo classico, ma puntualmente vedevo che i professori (Brezzi, Arnaldi et alii), quando amichevolmente leggevano delle mie composizioni, cadevano in sospetto verso la mia poesia come impulso verso una vita altra. Da allora capii, sperimentando sulla mia pelle, che la poesia è “vita altra”, una forte tentazione a rompere con ciò che è ordinario, normato, irreggimentato. 3. Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? In un tempo come il nostro, connotato da processi di travolgenti cambiamenti, se non di mutazioni, in un universo liquido, come dice Bauman, tutto diviene commestibile, usa e getta, significativo se ha visibilità ed eccita con la sua immagine-sciock, tutto il resto va rottamato, soprattutto quanto appartiene al Logos o al Verbum. Sì, si continua a parlare di poesia, di arte, di filosofia, di dialettica, di confronto, ma, nei fatti, si tratta di icone del passato, di intrattenimenti diseconomici, di figure inattuali e postume. Soprattutto la poesia è un mondo per persone che hanno bisogno di evasioni, di delicatezze celestiali, di esercizi di autoreferenzialità. Si dice ordinariamente: “E’ una poesia”, per indicare qualche vaghezza sentimentale o qualche visione da libro dei sogni. Questo svilimento delle attività euristiche e artistiche, tuttavia, stimola le medesime a sofisticare le inquisizioni, a inquisire criticamente le proprie ragioni, a ripensarsi, a cercare opportunità di accoglienza presso delle élites, e a prendere casa in isole di minoranze interessate alla poiesi vera,cioè in divenire, non già pregiudizialmente costituita. Intanto, dacché il bisogno di poesia è nel Dna di ciascuno, per vie complesse la ricerca poetica e l’arte entrano in circolo nel presente e nel futuro, costituendosi come punti di riferimento per ciascuna comunità, come beni comuni. 4. La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? La risposta è già in quanto si è detto sopra a proposito del quesito precedente. Aggiungerei, però, la seguente veloce glossa. Dopo un periodo di eccessiva enfatizzazione, dal dopoguerra a tutti gli anni Sessanta del secolo scorso, sulla funzione sociale dell’arte e della poesia, i rapporti fra poesia e arte da una parte e società dall’altra si sono venuti ridisegnando sulla base di una stringente criticità del pensiero debole e di suggestioni provenienti da strutturalismo, stilistica, semiologia, linguistica, psicoanalisi, cinesica, nuova retorica, competenze tecniche, dinamismi postmodernamente concettuali e intenzionali. Tuttavia, se il sociologismo del passato è stato messo tra parentesi in sospensione, fondamentali indicazioni di Lukàcs, di Benjamin, di Adorno,di Williams, di Zmegac, di Escarpit, di Scalia, di Muscetta, di Cases conservano una loro non debole attualità. 5.Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? Nell’ambito poietico-euristico, non esistono scale di valore. Tra le arti, corrono interazioni, sinergie, canali di comunicazione, alcuni alla luce del sole, alcuni sotterranei. Tuttavia, tra i frequentatori di questi continenti, operatori o osservatori spesso e volentieri vorrebbero dare il primato a una specifica arte, che sarebbe l’arte per eccellenza. Wagner, per esempio, pur concedendo che ogni linguaggio ha sue specifiche grammatiche e sue specifiche epistemologie, incoronava lamusica come la regina di tutte le arti, assumendola ad archetipo per tutte le altre, una specie di incunabolo ideale da cui sarebbero derivati gli altri linguaggi. Analogamente, gli impressionisti erano fortemente persuasi che alla pittura si dovesse concedere un analogo riconoscimento. Per me, la poesia potrebbe/dovrebbe assurgere ad archetipo delle arti, non solo del dire, dello scrivere e dintorni, ma di tutti i linguaggi espressivi, matematica compresa, in quanto a contattazioni di sentieri incrociati, a disoccultamenti di percorsi inventivi, a sospetti di insorgenze segrete, che attendono di essere riconosciute e accolte e, intanto, stanno dietro l’angolo del tutto ignorate. E in quanto a interrogazioni dalla soglia e a mimesi azzardosa di ciò che ancora non si sa. 6. Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Assolutamente non è cambiata. Ma, in realtà, il rapporto tra poesia e società è stato sempre controverso, se non drammatico. In una bellissima ecloga, Virgilio fa parlare un “migrante coatto”, che è un poeta, sotto le cui spoglie c’è lui in persona, costretto a lasciare i suoi campi e la sua dimora campestre. Dialogando in piena notte con un compagno di via occasionale, un pastore, egli confida con una profonda malinconia che il poeta, di fronte al travolgente sconvolgimento causato dalla guerra, non è che una colomba su cui si scaglia uno sparviero affamato. Certo, nel mondo moderno, entro i nuovi orizzonti di fermentante cambiamento delle interrelazioni sociali, s’è diffusa l’attesadi un potenziamento e di una rivalutazione della poesia in senso universale. D’impulso di tali attese, Majakovskij scrive un vigoroso e ottimistico poemetto intitolato 15000000, indirizzato a tutti gli abitanti della Russia, che ha un respiro pressoché epico. Ma poi, di fronte alle verifiche della dura realtà, egli esce di scena, sbattendo le porte della vita, si suicida. color=red>7. Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? Perché la poesia postula disponibilità totale agli itinerari “in interioremhominem”, come diceva Sant’Agostino, mentre il reale è un rapinoso flusso che non ammette soste interiori, è un vero congegno tritacarne. Ma anche perché, il più degli individui, presso tutte le comunità e presso tutte le culture, rispetta puntualmente la legge della mediocrità, come per un risparmio accorto di energie. Le maggioranze sono costituite da attori che si vogliono collocare al centro, evitando di esporsi sia in senso agonico, per non essere trattati come obiettivi dell’invidia e della gelosia, sia in senso rinunciatario, per sfuggire agli incasellamenti tra quelli che devono essere messi alla berlina. 8. Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? La vedo sempre la stessa, come in ogni tempo e luogo, sulla lama del rasoio. Ovviamente, all’interno delle accelerate e travolgenti situazioni in movimento, che sollecitano flessibilità e inventività nei comportamenti e nei linguaggi. Ugo Piscopo
-Risponde Lucia Stefanelli Cervelli- - La prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua personale definizione di poesia? La Poesia è ascolto profondo della propria autenticità. Pretende l’assoluta onestà del tradurre il rigoroso disagio dell’esserci, trasponendolo in sintesi di linguaggio. Linguaggio emblematico, di ampiezza semantica, che instaura continui rimandi di senso, mentre annega nelle misura cosmica che decodifica l’armonia. Il resto è versificazione. Detto questo, chiarisco che non intendo alludere ad un puro soggettivismo, che escluderebbe la tangibilità e la presenza dell’accadere e delle cose, ma voglio piuttosto richiamare alla responsabilità etica propria del poeta di non sottrarsi a se stesso, di non assumere anticipatamente ideologie da esplicitare o assonanze in convergenze alla moda. La Poesia abita lì dove non ci si difende da Essa e dove non la si ricerca a mestiere. E’ fatta di echi e risonanze: dall’intelletto all’anima, dalla parola all’ascolto, dal singolo all’universale. E’ un dono che si riceve e che si offre alla mensa dell’umano. - Come si diventa ( ci si scopre ) poeti? Assolutamente per caso. Così come è antimetodologico e quasi inconsapevole il percorso di esplorazione nel procedere del Sé, che assorbe dalla vita. D’altronde è in tal modo che si individuano ogni talento, ogni predisposizione. Si inizia leggendo e amando la sintesi e la musicalità della parola poetica; se ne resta ammaliati .Non si decide di sperimentare, ma accade di essere catturati e ci si offre allora all’enigma delle cifre che presiedono al verso. La Parola rivela così tutto il suo potere: ammalia per precisione o vaghezza, per mimesi o unicità. La legge dei contrasti presiede alla volontà del dire ed al fascino del non detto. Un dettato interiore sottrae all’afasia ed al contrabbando dell’inutile. La Poesia possiede un che di oracolare, che affonda in vastità di cultura priva di erudizione e nella potente ignoranza dell’intuito primigenio. - Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? In una società di disvalori, come quella attuale, il poeta avverte spesso ancor più la propria marginalità sociale, ma proprio per questo maggiormente riscatta la sua funzione civile. Diventa testimone dell’etica che si richiama all’autenticità, all’onestà assoluta del pensiero. Declina la visione del mondo come prototipo dell’umano che in tutti vive e che, solo, rappresenta cifra di dignità e di pregio della Persona. Di ogni Persona. Al poeta non interessa alcuna delimitazione di appartenenza: egli parla a nome dell’universale. La sua Parola declina la forma del pensiero e la vivifica con l’immediato dell’emozione. Forma immediata, appunto,catturata e profonda, sobria e governata. Il poeta è sempre un uomo libero che non pretende proseliti, ma propone alla conferma fraterna del consorzio umano la prismatica complessità dell’esserci. Oggi più che mai c’è bisogno della Poesia: antidoto contro la volgarità che deprezza e genera violenza; contro la banalità di un pensiero troppo debole e pragmatico, che immiserisce ogni significato del vivere. - La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? La Poesia certamente può operare per il cambiamento sociale, che fra l’altro è sempre imprescindibilmente preceduto da un mutamento della prospettiva culturale, ma non intraprendendo battaglie con mezzi impropri o facendosi amplificazione di questa o quell’altra ideologia. La Poesia deve accendere in molti – e molti volontariamente se ne precludono - il desiderio di pervenirvi, una tensione verso un’oasi desiderata. Un’oasi di privilegio non come luogo di riposo o, peggio, di fuga, ma piuttosto intesa come approdo alle esigenze più profonde dello spirito e dell’intelletto. Una sorta di terra promessa che appartiene alle profonde esigenze dell’umanità tutta. La Poesia deve farsi ideale di Parola autentica che rigeneri il desiderio di verità e di dignità in tutti gli uomini. Essa ha la forza disarmata e disarmante della testimonianza dello spirito. E’ quella Parola che si rigenera nella verità e scopre potenza di intesa universale. La società ha bisogno oggi di riflettere sulle sue derive culturali, sullo scadimento dei valori, sull’oggettualizzazione della persona, sulla compravendita delle coscienze, sulle nevrosi del consumo e la prepotenza dei mercati. L’Uomo, oggi, condannato ad un prevalente ruolo di produttività economica, deve riscattare la sua possibilità di porsi libero, senza aggettivazioni mortificanti, contro ogni predeterminata ed obbligante funzione. L’Uomo deve ritornare ad avvertire il privilegio dell’umano e l’assoluto rispetto per il suo essere unicità di Persona. - Tra le attività creative, quale ruolo occupa la poesia? Non amo parlare di creatività, vocabolo ambiguo che oscilla fra talento e genialità .. Oggi essere “ creativo” fa moda:quasi incentivazione, dalla validità psicosocializzante, a sperimentare, a”provarci”, così come viene viene, in un’ottica che conduce ad un disinibito dilettantismo. Non nego la libertà di nessuno a cimentarsi come vuole ed in qualsiasi ambito d’arte,ma prima di considerare di “ pregio artistico” la propria produzione e di darle una destinazione pubblica, occorrerebbe valutarne obbiettivamente la reale portata. Valutazione non affidabile alla giustificazione del proprio estro estemporaneo e personalistico. La Poesia - come la musica, la pittura,la scultura, la danza e così via - è Arte. L’Arte, la vera Arte, ha sempre in sé il dato di un’ammaliante “diffida” nei confronti del fruitore, quasi un’ipotesi di suggerita inadeguatezza, che deve spingere ciascuno a riflettere e a valutare le proprie singole capacità, tra spinta di emulazione e umiltà di autocritica. . L’Arte è un raggiungimento, una meta ardua, una macerazione antica ed una gioia improvvisa dell’intuito. Spesso un dono. E i doni indicano un privilegio, una destinazione arbitraria di scelta. E’ stolta demagogia pensare che un dono sia per tutti. Esso stesso perderebbe senso e sacralità. Dobbiamo abituarci di nuovo a pensare a porre distanza di obiettività tra quello che vorremmo e quello che davvero ci è dato fare. Troppo protagonismo, troppo narcisismo, troppe velleità. Troppo desiderio di visibilità. E’ questo l’oltraggio del vuoto e del peregrino che oggi rende arduo il riconoscimento di ciò che, veramente prezioso, possa rifulgere tra molta paccottiglia seriale. A farne le spese, le nuove generazioni che non hanno così, e non avranno, parametri di riferimento proprio nell’età incerta che non consente loro di possedere già un bagaglio autonomo di individuazioni precise per merito e valore. Colpevole anche la scarsa lungimiranza della nostra travagliata storia di continue, destrutturanti e stolte riforme scolastiche. Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Dipende da ciò che si intende per “ considerazione”. Se inquadriamo il quesito negli stessi termini leopardiani, certamente da allora non è cambiato molto, in quanto al credito che si riserva convintamene alla Poesia, e quindi al poeta. Anzi, in tal senso la cosa è peggiorata col prevalere di una involgarita valutazione dei valori, tutti all’insegna del dato economico, della spettacolarizzazione diffusa e celebrati da una condivisa ignoranza che però nega se stessa in modo presuntuoso, spesso con l’avallo anche di svuotati titoli di studio. Un po’ di “considerazione” oggi si attribuisce a quei pochi poeti che godono di una certa visibilità mediatica o perché inseriti già professionalmente nel sistema della comunicazione ( autori tv, giornalisti, dirigenti televisivi, appartenenti a case editrici, università, politica,ecc. ) o perché promozionalizzati dagli specifici interessi economici di qualche importante azienda editoriale. In genere, attualmente si preferisce porre attenzione alla produzione dei poeti ormai defunti,anche se recentemente, i quali più di sicuro hanno già determinato tutta la loro produzione e che, soprattutto, hanno il pregio di non essere più competitori attivi. I posteri vogliono così deporre la loro “ardua sentenza”. Interessarsene prima, quando ancora in vita, fa correre il rischio di pronunziarsi troppo personalmente, di assumerne un padrinato, di smuovere l’ostilità di qualche denigratore, di dispiacere qualcun altro che non è stato prescelto. Il poeta defunto, invece, è voce che viene da lontano, diventa innocuo, acquista l’alone ed il rispetto dovuto ai morti, dà la possibilità al critico ed al lettore di costruire una mito/storia fino all’estremo dell’apologia. Se poi qualcuno non condivide l’entusiasmo e tende a ridimensionare, si è però sempre fatta opera di documentazione storico/letteraria. Considerare il Poeta, vivo o morto, richiede comunque la necessità di riconoscere dapprima il valore della Poesia: cioè di qualcosa che è gratuitamente alta e bella, testimoniale ed integra, non negoziabile nella sua autenticità. Questo, però, è un atteggiamento mentale assai poco avvertito anche per la dura coerenza morale che comporta. Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? Per la semplice ragione che essere “lettore di poesia” dovrebbe precedere l’essere poeta, cosa che invece generalmente non più accade. In realtà, oggi si rifiuta il padre, il maestro, l’esempio. Tutti avvertono l’esigenza di porre la propria voce, senza bisogno di linfa né di confronto, di strumenti, né di netta consapevolezza. Ognuno genera se stesso con la presunzione di porsi impudentemente al centro del mondo, Basta un estro momentaneo, una riflessione riciclata su temi strumentalizzati e fin troppo condivisi, un’immagine di per sé quasi obbligatoriamente lirica citando mare, uccelli, trepidanti cuori ed ecco pronto il menu poetico. Interessa scrivere poesie non individuare la propria coerente poetica e la propria cifra stilistica. Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? Ci sarà spazio per la Poesia soltanto se si ritornerà ad una più reale, severa, approfondita dignità culturale della società tutta. L’Uomo deve riconsiderare se stesso ed il proprio compito nel mondo. Occorre riscoprire il diritto a conseguire una vera dignità consapevole attraverso un iter di istruzione solida e davvero formativa, in grado di fornire strumenti critici che restituiscano l’individuo alla libertà del suo pensiero. Occorre smetterla con questa società dell’intrattenimento perenne che crea sonno della ragione e assopimento delle coscienze. Occorre ripensare ai doveri della reciprocità che impone il vivere nella comunità civile ed all’orgoglio di potersi sentire unici ma cooperanti: individui senza individualismo, presenti a costruire il bene comune. La Poesia allora rinascerà spontanea perché ritroverà accenti universali e forza corale pur nella singola voce. Lucia Stefanelli Cervelli
RISPONDE FABIO DAINOTTI 1).Ci può dare una sua personale definizione di poesia? La poesia è una musica che associata alle immagini produce conoscenza, differente rispetto alla conoscenza data dalla filosofia, e provoca emozioni. 2) Come si diventa (ci si scopre) poeti? Dal desiderio di tradurre in parole e comunicare il proprio mondo interiore e la propria visione del mondo, la Weltanschauung. Spesso nasce dall’apprezzamento di un particolare poeta che ci è particolarmente congeniale e quindi rivela a noi stessi alcuni aspetti, del reale o della nostra psiche, prima sconosciuti, destando una sorta di desiderio di emulazione. 3) Quale rapportoesisteoggitrailpoetaelasocietà? Esiste un vasto gruppo di intellettuali (anche poeti) inseriti nel mondo produttivo: funzionari televisivi, giornalisti, docenti universitari o di scuola media, pubblicitari, dirigenti di case editrici; quindi inseriti nella società. Ma bisogna avere un secondo lavoro per vivere, non basta certo la poesia, purtroppo. 4) La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? La poesia può essere utile per il cambiamento sociale, ma ha bisogno di tempi lunghi, si tratta di contribuire al processo di incivilimento della società, senza la pretesa di orientare subito le scelte, ciò che spetta alla pubblicistica, al pamphlet, alla politica, ai media. 5) Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? Naturalmente i libri di poesia sono meno venduti dei romanzi e di altri generi; ma penso che la poesia abbia un’importanza maggiore sul linguaggio, rispetto al romanzo, ad es., che dà più spazio alla trama e ad altri elementi. Unendo parola, musica e immagini, la poesia occupa un posto privilegiato tra le attività creative; oltretutto la parola poetica si sposa alla musica nel melodramma, nelle operette, nella musica leggera.È bensì vero che la musica è un linguaggio più universale, dal momento che è compreso dai parlanti di tutte lingue; ma anche la poesia ha valori fonico timbrici apprezzabili anche da chi ne può comprendere solo limitatamente il significato. Il significante ha un suo spazio ragguardevole. 6)Secondo Giacomo Leopardi, il poeta era poco considerato dalla società nel suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Se un poeta è affermato, viene anche considerato. Pensiamo ad Edoardo Sanguineti, recentemente scomparso, che faceva anche pubblicità. Certamente oggi si guarda al guadagno. Tanto guadagni tanto vali; lo diceva però già Orazio qualche…annetto fa. Certo altre attività creativeriscuotono maggior considerazione, ma anche per la maggiordifficoltànel comprendere la poesia, e per la maggior facilità, apparentemente , nel comporla. Poi la poesia viene associata solitamente alla ragazzina romanticae innamoratao alla casalinga insoddisfatta, perché può funzionare più facilmente come sfogo, e non richiede l’impegno che richiederebbe un romanzo. 7) Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? Perché scrive, per uno sfogo momentaneoche abbisogna di poco tempo e di nessuna spesa, anche gente illetterata, poco motivata alla lettura, soprattutto di libri complicati, e poco desiderosa di spendere soldi per i libri, che non costano poco, in un periodo di crisi massimamente. Negli anni ‘60 la gente, dopo avere fatto tutte le altre spese, ad es, i mobili, pensava ai libri, e c’era il boom di quelle opere enciclopediche, che spesso servivano ad arredare ea riempite le librerie del salotto. 8) Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? CI vorrebbe la sfera di cristallo, ma ci sarà,credo, sempre bisogno di una cosa tanto più preziosa quantopiù apparentemente inutile ai fini pratici, ma utile perché “salva la vita”, e gratuita, com’è per statuto la poesia. Fabio Dainotti
RISPONDE CORRADO CALABRÒ 1) Ci può dare una sua personale definizione di poesia? Emily Dickinson affermava che “il poeta è colui che distilla un senso sorprendente da ordinari significati”. E per Blanchot “scrivere è portare in superficie il senso assente”. Per me la poesia è un interruttore, un commutatore di banda, che fa sì che appaia sul nostro schermo interiore qualcosa che avevamo sotto gli occhi e che guardavamo senza vedere. Sì, è così. Accade come in amore. Quanti ragazzi hanno guardato quella ragazza senza vedere in lei nulla di più delle altre? Poi un ragazzo s’innamora e vede in lei una bellezza che nessun altro ha visto. La poesia, l’arte fanno lo stesso. La poesia asporta la cateratta dell’abitudinarietà: un intervento oculistico di chirurgia estetica che ci apre gli occhi. Ma non basta che il poeta veda. Una combinazione di parole diventa poesia quando il poeta riesce a comunicare ad altri lo stupore della sua piccola scoperta. Raggiunge il suo risultato quando l’emozione, la percezione del poeta si rigenerano –non per comunicazione diretta, per risonanza- nel lettore, nell’ascoltatore. 2) Come si diventa (ci si scopre) poeti? Come ci si scopre mancini, o daltonici, o musicisti. Un soffio sembra attraversare in certi momenti il nostro stato d’animo e preannunciarci che sta per recarci la rivelazione di qualcosa che ci predispone a un’improvvisa sovradeterminazione. Sì, a volte – in un momento felice che ha del magico – un’immagine, una percezione, un’intuizione si stacca dal film travolgente del quotidiano e s’impone all’attenzione con una suggestione imprecisabile, condensando in sé un significato che ci conquista come una rivelazione, tanto da diventare un’immagine, una percezione, un’intuizione sovradeterminata. E’ questa una sensazione che ho provato già nell’infanzia. Risalgono a quell’età i miei primi tentativi di poesia. Forse l’ambiente mi aveva predisposto. Mia madre recitava spesso delle poesie a memoria; ne conosceva moltissime. Ne sentii la suggestione fin da bambino; addirittura ne avevo imparate alcune a mia insaputa. Ma l’imprinting vero e proprio lo ebbi quando, alla scuola media, appresi alcune poesie in francese: La Fontaine, Rostand, Victor Ugo, Baudelaire, Verlaine, poi Corneille. Ne imparai a memoria varie, senza alcuno sforzo, anzi avidamente. Quando si dice che imparare poesie a memoria fa venire in odio la poesia… Sul momento può darsi costi una certa fatica; ma i neuroni dei ragazzi sono così vergini, così duttili, in attesa di essere attivati! Comunque, quando le poesie memorizzate, a distanza di tempo, ci ritornano involontariamente nella mente, acquistano un senso, un gusto, che ce le fanno risentire con una valenza profonda. Dipende poi dall’attrazione che il testo esercita su di noi e dal modo seducente o repulsivo con cui l’insegnante ce lo propone. Io stesso, che assorbivo come una spugna le poesie recitate da mia madre, ho detestato da bambino Dante, vale a dire il poeta che da adulto avrei poi tanto amato. Il fatto è che c’era in casa uno zio scapolone che conosceva a memoria tutta la Divina Commedia e sapeva recitare tutti i canti dal primo verso all’ultimo e dallultimo al primo. Era una cosa così meccanica, disanimata, che faceva perdere il senso e la percezione della bellezza di quella grande poesia. 3) Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? 4) La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? 5) Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Viviamo in un tempo in cui si parla tanto: al telefono, via sms, whatsapp, e-mail, in televisione. La televisione ha abituato la gente a parlare fluentemente; e non è merito da poco. Ma ci ha abituati ad appagarci di una visione banale del nostro essere al mondo. Per la quotidianità ciò è sufficiente. Ma nel fondo del nostro animo si annida l’insoddisfazione. Noi sappiamo che l’apparenza superficiale non è tutto. Nei mass media, l’ovvietà la politically correctness imperano. Chi parla tende a dire cose che potrebbe dire chi ascolta; e chi ascolta si attende quel tipo di comunicazione. Tutto l’opposto della poesia che è (o dovrebbe essere) novità, sorpresa che zampilla, combinazione inedita di parole che fanno emergere dal profondo, dal preconscio, un senso, un’emozione in incubazione. Ci sono state epoche in cui la poesia ha parlato al popolo e ne ha fatto palpitare gli animi: Manzoni, Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi Giusti, Parini, per limitarci ad alcuni italiani. Ma oggi ad emozionare sono solo le canzoni. Le quali aggiungono sì alle parole la musica, ma (tranne eccezioni) “normalizzano” sia il testo che la musica e annacquano l’impulso creativo nella corrività di quel tanto da piacere ai molti. E la sensibilità della gente si appiattisce sempre più. Quanti oggi si sintonizzano, emozionandosi nel profondo, con la musica sinfonica, con la musica lirica? 6) Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? “Siano liberi come rondini i poeti” sente dire Hörderlin.Ma questa libertà non è arbitrio senza vincoli, desiderio capriccioso, bensì suprema necessità»(Heidegger,La poesia,p.54). La poesia cresce dentro come un embrione nel poeta ingravidato, matura come un frutto finché il poeta sente che non può più cambiare un verso, una parola, un’interpunzione, a pena di guastarla, di falsarla, di tradirla. È come se ci fosse per la poesia (per l’arte) una legge naturale tutta sua che rifiuta al tempo stesso la casualità degli accostamenti e la predeterminazione della loro ricerca. Come se esistesse una scala cromatica che il poeta deve scoprire a occhi chiusi. È solo quando quello che il poeta “vuole dire” corrisponde (in accettabile misura) a quello che “deve dire” la creazione prende forma.Altrimenti è un aborto. 7) Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? L’impulso a poetare nasce dal sentimento dell’inadeguatezza di tutto quel che è stato detto ad esprimere quel personalissimo lampo di bellezza che ci ha abbagliati. Quella cosa così nuova richiede un’espressione inedita. Solo che la poesia è una scommessa in qualcosa di estremamente difficile: dire qualcosa di nuovo, di non detto, forse d’indicibile usando le parole, vale a dire il mezzo più usato, più sciupato, più abusato che ci sia. Il tentativo di scrivere una vera, autentica poesia è quindi destinato a fallire la maggior parte delle volte. Ma il poeta (rectius: il poetante) non vuole ammetterlo. Trasmuta allora il suo testo inespresso in una forma artificiosa, lo rende incomunicabile, persino indecifrabile. A lui quelle parole, disarmoniche, inconiugabili, continueranno a ricordare l’emozione provata quando lo scriveva, come le mollichine lasciate cadere da Pollicino gli avrebbero ricordato la strada al ritorno. Ma per gli altri quelle mollichine sono soltanto pezzetti di pane, non segna-sentiero. D’altra parte, un po’ per limitatezza di visione, un po’ per ipertrofia dell’io, le poesie degli altri restano estranee al velleitario poeta. Il che si comprende se si considera che la maggior parte delle poesie altrui sono come quelle da lui scritte: non poesie o, al più, poesie embrionali, farfalle rimaste bruchi. 8) Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? L’interdipendenza degli approcci caratterizza oggi, più che mai, la cultura. La scienza, nella sua ultima proiezione, si sovrappone all’arte e alla filosofia. Può la letteratura, la poesia, rifiutare l’osmosi della scienza senza autocondannarsi all’estinzione come i Catari? Accanirsi letterariamente sul linguaggio ne anemizza la vitalità espressiva. Un linguaggio fine a se stesso, un linguaggio ripiegato su se stesso avvizzisce sé e con esso le nostre strutture mentali. Ma non per questo si può rinunciare al linguaggio; a un linguaggio che si alimenti di conoscenza e ne sia tramite. La poesia non parla col linguaggio della scienza, ma deve dire, suggerire, qualcosa che ci protenda oltre noi stessi. Una poesia senza messaggio è fatua, derisoria e al tempo stesso pretenziosa fino alla megalomania, come l’imperatore della fiaba di Andersen che se ne andava in corteo in mutande a farsi riverire e ammirare dai suoi sudditi, convinto di essere rivestito sontuosamente da un abito visibile solo dagli intelligenti. È la forma estrema del cerebralismo impotente e tuttavia in preda a delirio di onnipotenza, perché vorrebbe con una parola -una parola qualsiasi ma uscita da quel cervello superiore- ricreare il mondo. Attenzione, però! La poesia non tollera un messaggio voluto. La comunicazione poetica è intuitiva, non discorsiva, non concettuale. Dice un vecchio proverbio arabo che chi non capisce uno sguardo non capirà mille parole. Ai primordi del senso artistico si trova innanzitutto la gioia di capire ciò che un altro vuol dire, d’immedesimarsi nel suo stato d’animo, più che nelle sue parole. La poesia (al pari della scienza e della stessa religione), per rarefatta che sia, non può restare confinata in un limbo d’incomunicabilità, di reciproca inaccettazione. Sebbene la poesia non comunichi in modo diretto, non faccia esposizioni o ragionamenti. La poesia illumina con un flash, la poesia –come dicevo- ci rivela qualcosa che guardavamo con gli occhi di ogni giorno senza vederlo. Lo fa attraverso una combinazione originale di parole consuete. Per lo scultore la materia prima e lo scalpello sono sempre gli stessi, ma la forma ch’egli modella è sempre nuova. Con i mezzi usuali egli realizza una scoperta della capacità espressiva che, come diceva Michelangelo, è racchiusa, imprigionata nel marmo. Così fa il poeta adoperando le parole. Quando per una piccola magia il tentativo ha esito felice, il primo a stupirsene è l’artista. Corrado Calabrò
Risponde Enzo Dall’Ara Una personale definizione di poesia? La poesia è la voce dell’anima, l’urgenza dell’essere, la sintesi del concetto. Come si diventa (ci si scopre) poeti? Si diventa poeti o ci si scopre poeti, concedendo libertà e immaginazione alla propria anima, ma anche creando una struttura compositiva e musicale che sia armonia di parola e di pensiero. Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? La poesia, oggi, è quasi sconosciuta, quindi, di fatto, non esiste alcun rapporto tra il poeta e la società, se non casualmente o fra addetti ai lavori. La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? La poesia può essere uno strumento utilissimo per trascendere l’oscurità contingente e, quindi, elevare la propria vita e quella sociale. Purtroppo, oggi, la poesia sembra davvero essere destinata a rimanere isolata in un ambito prettamente personale, senza proficua diffusione e positivo confronto. Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? Tra le attività creative fondamentali, la poesia riveste, oggi, un ruolo molto marginale, una frequentazione prevalentemente di nicchia. Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Dal tempo di Giacomo Leopardi la situazione è sicuramente cambiata, ossia è drasticamente peggiorata. Allora, la voce del poeta era certamente rivolta a un pubblico numericamente limitato, ma si elevava verso menti di grande spessore culturale. Oggi, il poeta è sovente considerato un autore obsoleto e avulso dalla realtà. Perché ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? Oggi si annoverano tanti poeti per un’intima esigenza di riscatto da una realtà sempre più confusa e oscura. Si contano, invece, così pochi lettori di poesia per scarsità di cultura e mancanza di sensibilità verso le attività creative. Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? Il poeta, in futuro, potrebbe avere una funzione molto importante per risvegliare gli animi da un pericoloso letargo civile ed esistenziale. Ma, per dare forza al poeta, è indispensabile che evolva il bagaglio culturale di ogni individuo e dell’intera società. Purtroppo, dubito fortemente in un’ascesa imminente dei parametri fondamentali che dovrebbero contraddistinguere individuo e società, ossia quei valori che risultano informati a bellezza e verità. Enzo Dall’Ara
Risponde Anna Maria Petrova La prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua personale definizione di poesia? La poesia è l’epressione dell’anima. Ma la poesia è anche l’estratto personale artistico di ogni autore sui tempi attuali in qui lui si espone. Come si diventa (ci si scopre) poeti? Ti arriva il richiamo: Come per i credenti in Dio... Io mi sono scoperta, ho avuto il bisogno di esprimere le mie emozioni e sensazioni all’età di 17 anni. Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? Il raporto è difficile e a senso unico... Perchè se la società ascoltasse di più quello che i poeti dicono e non dicono, forse sarebbe una società molto migliore. Ma forse i poeti si dovrebbero far sentire con più forza... La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? Si, la poesia può e dovrebbe rappresentare lo strumento che indica la strada per migliorare la persona e la società e d’altra parte fornire un sostegno importante alla crescita intelettuale degli individui. Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? La poesia ha un ruolo di prim’ ordine e una parte importante nel processo della creazione, ma anche nello sviluppo culturale dell’ individuo e della società. Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Il grande poeta aveva ragione e purtroppo non è cambiata molto la situazione oggi. Ma senza i nostri grandi poeti che ci hanno sorretto l’anima nei secoli chi sa dove saremmo rimasti ancora... Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? Perchè a mio avviso c’è una grande neccessità di esprimere dei sentimenti e delle emozioni che tormentano la nostra mente in questi tempi non facili. Leggono in pochi perchè manca la buona educazione e l’abittudine alla lettura che c’impone la società di oggi e tanti si sono lasciati tentare dalla facilità dell’informazione che c’inonda da internet. Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? Il poeta ha avuto e avrà sempre il grande compito di sostenitore dell’anima umana e la poesia serve per tenere sveglia sia l’anima sia la coscenza e la mente! Senza la poesia e senza i poeti, grandi e piccoli che siano, la vita nostra sarà ancora più difficile e sarà molto meno bella! Anna Maria Petrova
Risponde Marisa Papa Ruggiero La prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua personale definizione di poesia? Temo che l’idea che io coltivo di poesia non stia troppoagevolmente in una definizione precostituita poiché ritengo, la poesia, piuttosto vicina a un processo creativo in continuo divenire, in grado di inventare e superare ogni istante se stesso. Un processo atto a produrre senso tramite il corteo molteplice, in qualche modo scenico e metamorfico delle figure, ad attraversare tutte le visioni possibili e i deserti del silenzio per tentare di raggiungere quella zona liminale che è il luogo di origine della parola. Che riesca a riscattare, se non il suo mistero, la sua straniante enigmaticità...Poesia, per me, non è che un modo di essere, più che un modo di scrivere. Tutto ciò che essa richiede al linguaggio è attuare il rovesciamento di un luogo reale in un luogo altro della conoscenza...come ad esempio: sentire appartenenza reale col proprio corpo immerso in una polla d’acqua sorgiva, per scoprire, nello stesso istante, che quell’acquanon ha alcunché di reale, è un’acqua che esiste solo nella nostra idea, è un’acqua metafisica.Ecco, avviene che la poesia sia qualcosa di simile e sai che non c’è che lei a detenere le parole per dirsi. Come si diventa (ci si scopre) poeti? Se accade, accade senza preannunzio e senza un apparente perché. E’ già lì, al centro di tutto, inaspettata, si fa presenza, respiro.Accade che la visione di qualcosa mai apparsa prima prenda parola. La poesia non è soggetta, secondo me, a una legge unitaria, ordinatrice, a un programma utilitaristico, funzionale: essa è propriamente l’ente che disdice quell’ordine, pronta ad aprire, di volta in volta, un diverso panorama semantico del tutto nuovo in assoluta libertà e dove l’utopia inventa da sé lo spazio in cui esistere, il modo per entrare nel possibile... Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? Entra in circuito, con la poesia, un potenziale dell’umano che aspira all’espansione laddove tutto cospira, invece,a un riduttivo appiattimento... un afflato dell’umano, dunque, più ampio che fa tutt’uno col rapporto tempo-spazio in cui hanno sede le tensioni esistenziali, il senso dell’essere, il luogo in cui prendono forma i miti egli archetipi come figurazioni del quotidiano, come del trascendente. Dove le vediamo, tali spinte vitalistiche, nella società in cui viviamo? La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? Strana domanda. Se la poesia si degrada ad espressione meramente "edonistica", allora è chiaro che ha già rinunciato ad essere se stessa e con ciò il discorso è in sostanza giàchiuso. Se, viceversa, la tensione costante dell’animus poetico, servendosi del linguaggio, aspira a farsi voce, come ho cercato di esprimere nelle risposte precedenti,se aspira a farsi veicolo di invenzioni, di conoscenze, di scoperte,al fine di entrare in contatto attivo con la nostra profonda umanità, allora, direi, che ciò è il massimo che il poeta possa fare affinché siano poste le condizioni - ma solo le condizioni - per raggiungere un certo equilibrio più sano tra le coscienze. L’obiettivo, d’altro canto, di un reale cambiamento della società potrebbe, forse, concretizzarsi se l’insieme delle conoscenze culturali cooperasseseriamente all’insegna del bene comune e non della cieca e ottusa sopraffazione. Tuttavia, non mi ritengo affattoun’appassionata sostenitrice della "poesia civile": la poesia che amo è senza aggettivi, senza manifesti e senza ruote di scorta di alcun tipo.Mi piace qui citare Derrida che raccomanda di: "lasciar parlare la parola da sola"... Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? Più che mera attività creativa, considero la poesia un’esigenza esistenziale, coscienziale, che sottende un respiro metafisico, la cui struttura, che ha sede nell’immaginario, è atta ad ospitare una problematicità complessa. Sempre se ci riferiamo alla poesia in quanto tale, ovvero a una delle manifestazioni più profonde dell’animo umano: una poesia capace di mostrarci il nostro vero volto, al di fuori di generiche rappresentazioni informative, o enfaticamente descrittive, ma attraverso la sottigliezza sensibile di visioni, intuizioni ed espressioni non codificabili, che si danno quasi, vorrei dire,per trasfusione... Ovvio che in una società indifferente e superficiale come la nostra, un simile ruolo sia poco considerato. D’altronde, tale marginalità in poesia, non può che essere garanzia di validità, di libertà, di necessaria autonomia culturale in grado di affrancarsi da un desolante asservimento di espressioni, come di contenuti. Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Non credo di sbagliare dicendo che la situazione oggi, sotto tale profilo,non sembrapoi molto cambiata. Aggiungerei, tuttavia, che se il poeta non gode oggidi adeguata considerazione, ciò non èsempre attribuibilead esclusivo suo demerito, quanto ad un declassamento generale della scala dei valori adottati da questo tipo di mentalità sociale. Il cultore della lingua, ma più ancora l’autore di versi, sono visti dalla massa con malanimo e con sospetto per il semplice fatto che essisi trovano ad operare in un settore non mercificabile, al di fuori delle logiche del profitto, poco inquadrati, in sostanza, a gareggiare coi parametri della moda del momento.É il discorso che investe quasi tutte le minoranze, quasi tutte le marginalità. Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? A livello di massa, non è detto che i due aspetti rientrino in vasi comunicanti come ci si attenderebbe. Il "perché" credo sia riconducibile, in larga misura, come già ho avuto modo di accennare, aun dato oggettivamentesociologico, che poco ha a che vedere con la ricerca linguistica in senso stretto,con le sue richieste di senso sopra le righe, con le sue aperture pluridirezionali. Da un punto di vista per l’appunto sociologico, viene da osservare che solitudine e incomunicabilità siano aspetti, come sappiamo, molto presenti nella nostra società, responsabili di un diffuso stato di insoddisfazione, di disagio,di ripiegamento nel privato, i cui esponenti, in genere, preferiscono rivolgersi, per bisogno di compensazione,versouna pratica pseudo poetica di stampo intimistico-confessionale, per desiderio, cioè,di colmareuna zona spenta, una zona deserta. A conferma di ciò, tale esigenza compensativarisulta, nella maggior parte dei casi, lontanissima dainteressi di natura intellettuale. color=red>Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? Può bastare una sommaria osservazione a volo d’uccello per notare che in questa nostra società tutta impostata, come sappiamo, su interessi di consumo immediato, sul concetto di utile, sul più effimero conformismo, non sembra esserci posto, in effetti, per la poesia. Ma proprio per questo, a mio parere, la poesia non può e non deve venir meno!E le ragioni si evidenziano ampiamente da sole: l’universo poetico è l’unico in grado di costruire dei significativinessi relazionali altrove introvabili, è quello più interessato a diffondere, negli ambiti di un linguaggio originale e non riciclato, dei contenuti e delle immagini che altri media non saprebbero da che parte attingere, né, tantomeno,sono in grado di trasmettere. Basti il fatto, evidente, che la cura e il rispettodella lingua costituiscano da sempre ineliminabile garanzia di civiltà. Purtroppo, succede che, paradossalmente, siano proprio il talento, la passione, il rigore indispensabili ad una ricerca linguistica degna della sua funzione, ad essere lasciati sotto silenzio, ad essere troppo spesso apertamente o subdolamente boicottati. Nel migliore dei casi, trascurati, ignorati, non valorizzati dai media e persino, dispiace dire, in larga misura, dalle Istituzioni stesse. Ci si augura che la poesia, per quanto così debolmente sostenuta, continui a farsi presenza attiva, e non contemplativa, adaprire un cammino,un passaggio praticabile,se possibile alternativo, per cercare di contrapporre proprio all’interno di contraddizioni relative al nostro attuale stato di precarietà e di lacerazioni, la visione di una forte esperienza interioreche sappia farsi parola. Ciò non può non essere sentito fondamentalmente come un dovere nei confronti nostri e delle future generazioni.
Risponde Giuseppe Vetromile La prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua personale definizione di poesia? Lungi da me dal voler definire la poesia e farla aderire ad uno schema preconfigurato. Non esistono definizioni valide, lo sappiamo tutti. Ma posso dire che, per me, la poesia è comportamento. E’ l’estrinsecazione della persona, il suo apparire artistico e creativo, il suo “biglietto da visita” che denota particolare propensione alla ricerca, alla verità ultima, all’essenza delle cose. Lo scrivere poesie non è un diletto né un passatempo, né un vezzeggiarsi o un divertirsi in pubblico. La poesia resta un fatto molto intimo, che mette a nudo il proprio sentimento e quindi la propria anima. Se, in seconda battuta, il frutto di questo rovello, di questa profonda ricerca creativa, si estrinseca in forma artistica scritta, cioè in poesia, e “commuove” in qualche modo il lettore, allora possiamo dire che la poesia è servita pure a qualcosa. E’ diventata “comunicazione” pura, essenziale. Come si diventa (ci si scopre) poeti? Posso esprimere una mia opinione personale al riguardo, che certamente potrà essere condivisibile ma non da ritenere valida per tutti. Premesso che la capacità creativa è naturalmente innata in tutti gli esseri umani, ora si tratta di vedere se questa capacità creativa possa svilupparsi maggiormente in una persona rispetto ad altre, oppure che possa svilupparsi nella stessa persona però ad una certa età, a poco a poco oppure in seguito ad una improvvisa "fulminazione". Ecco, nel mio caso è nata a poco a poco, in età adolescenziale e poi si è sviluppata fino alla maturità. Ma quello che è maggiormente importante, e qui mi riferisco direttamente alla poesia, ma lo stesso discorso penso che possa valere anche per qualsiasi altra attività artistica, è lo studio di ricerca, lo scavo pertinace nella propria intimità, le interrogazioni, le frequentazioni fruttuose del mondo letterario e artistico. Poeti un poco si nasce, ma si può diventare con queste caratteristiche peculiari che risultano in seguito ad una "selezione" formativa e volontariamente indirizzata. Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? Secondo me, non esiste un rapporto ben definito tra il poeta e la società odierna. Direi che il poeta è "immerso" nel consesso civile, ha il suo posto nella società, il suo lavoro (o la sua pensione), le sue abitudini, la sua vita familiare. E’ uno come tanti. La maggior parte dei poeti, credo, svolge questa attività per mera passione o passatempo, per integrare in modo creativo la sua quotidianità. Altri, e credo siano una minoranza, fanno della poesia la loro principale attività, anche professionale, di studio, di comportamento. Ma sono poche eccezioni. "Carmina non dantpanem", si sa! Per cui, l’essere un letterato, un poeta, un artista, rimane sempre un qualcosa che sta a margine della vita produttiva dell’uomo nella società attuale, pur influenzandone il comportamento, certe volte, e in modo significativo! La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? In teoria la Poesia potrebbe effettivamente condizionare gli orientamenti culturali e anche politici di una società. Nel mondo classico era così. E poi si pensi al contributo che la poesia ha sempre dato al rinnovamento della lingua. Certo, parliamo naturalmente della Poesia autentica, quella professata con impegno e studio continuo. Però, attualmente, data la "dispersione" e l’assenza più o meno evidente di correnti letterarie rilevanti (post-novecento) di riferimento, nonostante l’indiscussa bontà e valore di molte Voci, credo che l’influenza sulla società sia minima o piuttosto irrilevante. Per cui la Poesia resta essenzialmente una espressione artistica-culturale-professionale che investe unicamente la sfera personale. Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? Penso che al giorno d’oggi la poesia occupi uno spazio piuttosto ampio rispetto ad altre forme d’arte. In effetti per "praticare" la poesia, per essere un creativo in poesia, è sufficiente avere a disposizione una penna e un foglio di carta, o anche un semplice computer, mentre per tutte le altre espressioni artistiche bisogna attrezzarsi con maggiore difficoltà e avere a disposizione ambienti adatti (si pensi allo studio di un pittore, ad esempio, o di uno scultore…). Il problema è, piuttosto, che è proprio questa "facilità" di espressione e di pratica della poesia, che porta spesso ad un suo "fraintendimento". Nel senso che non è proprio oro tutto quel che luccica!... Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Credo che questa considerazione del grandissimo Leopardi sia ancora attuale, ma grazie ai tanti movimenti culturali, a molti operatori volenterosi, a Case Editrici piccole ma con tante buone idee, ai blog specifici e siti letterari seri e molto seguiti, sembra che la poesia, e il poeta, stia acquistando abbastanza credito nell’attuale società, specialmente tra i giovani. Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? E’ una conseguenza del punto 5 dell’intervista. Scrivere poesie pensando che vada bene mettere un verso dopo l’altro, a volte senza neanche una figura retorica, che so, un ossimoro, una semplice metafora (a dirla come Neruda nel grandioso film "Il Postino" di Troisi…), e senza ritmo né sonorità né il minimo di musicalità, ma confidando semplicemente sull’"ispirazione" che viene dall’immagine, dal cuore, dal sentimento…è facile per tutti. Come è più facile usare carta e penna invece del pennello o dello scalpello o dei tasti di un pianoforte… Leggere, e leggere poesie, è invece più impegnativo, forse meno "divertente", occorre concentrarsi, entrare nell’anima dell’autore, ascoltarlo in profondità… Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? La Poesia, come del resto tutte le altre espressioni artistiche, proprie della creatività innata dell’essere umano, non potrà mai mancare. Accompagnerà sempre la vita dell’Uomo, finché l’Uomo potrà definirsi Uomo, creatura creata e in grado di ri-creare. Al di là di ogni tecnicismo, al di là di ogni decadimento, imbarbarimento, guerre, nefandezze, di cui purtroppo è capace l’uomo. Giuseppe Vetromile
Risponde Gerardo Pedicini 1.2.3.4.5.6.7.8 La poesia è chiamare a sé le cose. Un chiamare che è anche un corrispondere al linguaggio, abitare in esso e dargli voce: la voce intima e segreta dell’anima. Ciò è il risultato di un costante esercizio, di un continuo interrogarsi, di un perenne stato di allerta capace di non cedere alla realtà fenomenologica così com’è, ma di trascenderla. La parola poetica vive costantemente questo stato di intimità, questa incessante ricerca di autenticità. Essere cioè dentro le cose e, nello stesso tempo, situarsi nella quiete della dif-ferenza perché, come dice Nelo Risi, “la poesia in sé non conta nulla, conta ciò che sta dietro la poesia e in segreto l’alimenta”. Un alimentarsi che è anche un riconoscersi nella propria essenzialità fisica e spirituale, un darsi continuamente alle cose per cogliere le istanze interiori e le vibrazioni profonde dell’inconscio. A questa dichiarazione, scritta per presentare alcuni mie poesie sul portale de La stanza di Nightingale nell’aprile 2010, poco o nulla avrei da aggiungere, ma necessita di alcuni chiarimenti. Nella prefazione alla raccolta Verso sera, in corso di pubblicazione, Elio Pecora scrive che la mia poesia “fa dell’esistere un altrove dov’è possibile conoscersi, forse pacificarsi. Accede al mistero, lo affronta, lo valica, per tornare alle giornate brevi del mondo”. Non diversamente si esprime Carlo Di Lieto quando afferma che la suggestione dei miei versi “nasce dalla rarefazione di un mondo in frantumi”, sofferto “tra realtà e sogno”, come scrive Franco Loi recensendo Buthos (2003) suldomenicale Il sole 24ore o da “un eracliteo fuoco perpetuo”, secondo l’illuminante giudizio di G. Battista Nazzaro o, ancora, dalla condensazione immaginativa dell’esserci di cui parla Corrado Calenda, volto a dare “figure” e “simboli” ai continui “insiemi” che popolano la mente per dare voce e forza alla lettura del profondo sospeso “tra il tempo del mondo e l’eterno della fantasia”, secondo quanto scrive Aldo Masullo nella prefazione al libro. Questo continuo ricercare tra “anfratti e detriti” “le radici e le ragioni delle cose” (F. D’Episcopo) ha avuto in me una infanzia e un suo preciso inizio ieratico. Ricordo che, da piccolo, in paese (si era durante la guerra e la miseria era nera come la pece), l’unico spazio vitale concessomi dagli eventi bellici era starmene confinato nel piccolo giardino di casa, in rialzo rispetto alla polverosa strada provinciale. Nel chiuso e circoscritto mio piccolo mondo avevo come compagni un fico, un ulivo e un melo. Per non farmi scorgere dai soldati nemici che andavano e venivano sulla rotabile coi loro strumenti di morte, mi nascondevo tra i rami del fico o dietro il tronco dell’ulivo. La loro presenza era per me una costante minaccia. Impersonavano il male, il lato oscuro della vita, il confine da non oltrepassare. A farmi compagnia, oltre ai tre alberi, c’era il buco nel muro cieco della parete laterale di casa, memoria – forse – dell’alloggiamento di una trave di sostegno durante la costruzione. Mi attirava come un vortice, e vi proiettavo le mie paure. Questo, finché non mi accorsi che le piogge abbondanti avevano dilavato la parete del terrapieno in cui erano incassati giardino e casa mettendo a nudo, nel rialzo della costa, nel tratto di strada che dalla carrozzabile saliva verso il casale del Palazzo, un ammasso più scuro rispetto alla granulosa consistenza del terreno circostante. Ne estrassi un buon quantitativo. Sotto l’azione delle mie mani l’ambrato sedimento di argilla, da ruvido e granuloso che era, divenne uno strato liscio e morbido come pasta per il pane. Iniziai a modellarlo come avevo visto fare agli artigiani di pastori a Napoli. La mia fanciullesca sensibilità vi impresse, inconsciamente, ma con euforia e trasporto, i segni, le angosce e le tensioni del mio stato di povertà e di solitudine che sono tuttora presentinell’esercizio della mia poesia. Motivi che si ritrovano anche inMarame (Introduzione di Mirella Bentivoglio con i disegni di Cosimo Budetta, De Luca editore, Salerno 1988) e inDodici sonetti ancipiti per dodici capricci incisi (Laboratorio dadodue/etra/arte, Napoli-Salerno 1986), uscito con le incisioni di Antonello Scotto. Infatti, nell’esergo, a centro pagina, per testimoniare la scomparsa di mia moglie, da poco morta, ho trasposto il verso di Hölderlin: Was du suchest, es ist nahe, begegnet dir schon. Il titolo della poesia, da cui è tratta la frase, è Ritornoa casa. Il poeta tedesco descrive le emozioni e i sussulti che gli agitano il cuore nel rivedere da lontano la propria terra. “Ciò che si cerca” e “che è già vicino” di cui il poeta parla, secondo Heidegger, non nascono da una mera contemplazione paesaggistica ma dalle infinite connessioni che si aprono nell‘aver-luogo del linguaggio; sono cioè l’atto d’amore che porta memorie e cose a ritornare sé stesse; un nominare teso a ricercare nel nostro inconscio tracce, frammenti e macerie di un mondo che avevamo dimenticatoche, secondo Ignazio Matte Blanco, sono gli aspetti più significativi che alimentano la dinamica della parola poetica. Come critico d’arte molto devo al sodalizio con amici artisti, su tutti Antonio Baglivo e Cosimo Budetta, con cui ho realizzato moltissimi libri d’arte per le edizioni di Ibridilibri, Laboratoriodadodue, etra/arte e Ogopogo. Un ruolo non meno importante è stata l’amicizia con alcuni architetti, tra cui Massimo De Chiara, con cui ho contribuito alle pubblicazioni dei cataloghi dell’Archimass Laboratorio. Gerardo Pedicini
-Risponde Lorenza Rocco La prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua personale definizione di poesia? Poesia è… la parola. Un giorno lo scultore Degas apostrofò il poeta Mal-larmè: “Ho capito che la poesia è qualcosa di speciale, ma mi sfugge come si fa. Ho tanti pensieri, forti emozioni. Ho tentato di renderli in versi. Sempre ho finito per gettare i foglietti nel cestino”. E Mallarmè sorridendo: “Mio caro Degas, i sonetti non si fanno con le idee, ma con le parole”. Condivido in pieno. Poesia è laparola portata alla luce attraverso un pa-ziente e sofferto lavoro di scavo… Parola allusiva ed evocatrice della vi-tanella coralità, che le è propria. Come si diventa (ci si scopre) poeti? Non si diventa. Ci si scopre poeti. La parola, San Paolo docet, è LETTERA e SPIRITO. Ovvero: Vocazione – Ispirazione e mestiere. Senza vocazione-ispirazione è solo tecnica. Senza mestiere è solo velleità. Poesia come iter dal silenzio… alla parola, sulla base di una nativa sen-sibilità lirica. Gli impulsi del sentimento vanno coniugati con l’esercizio e lo studio. Basti considerare le carte autografe di Leopardi per evidenziare la quan-tità e la complessità di vincoli metrici, cui è sottoposta la poesia, solo apparentemente la più immediata e spontanea tra le arti. Un verso di Dante rende il travaglio della creazione poetica. “Non vi si pensa quanto sangue costa” (Paradiso XXIX, vs 91). Il cammino della Poesia è acciden-tato ed impervio: occorre che la lingua diventi “parola” con misteriosi echi semantici, che produca il bello e susciti stupore lirico, nell’universalizzare stati d’animo. Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? Già Leopardi, con prodigioso volo nel tempo, si chiedeva come la Poesia potesse rispondere alle esigenze dell’uomo moderno, dominato dall’economia. A distanza di 200 anni e più, l’uomo tecnologico, insegui-to dal demone della fretta, proteso alle categorie dell’utile e del profitto, guarda con malcelata ironia tutto ciò che non è produrre, in termini e-sclusivamente economici. In una società che privilegia l’avere all’essere, che ha fatto dell’urlo la propria evidenza o del rumore come variazione acustica del disimpegno, è difficile comprendere la “sublime inutilità della poesia”, che nasce dal silenzio della coscienza, dal ripiegamento interiore, che presuppone un viaggio verso l’essere, alla ricerca del senso della vita, alla riscoperta dell’essenziale, dell’autenticità. La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? Lungi dal rinchiudersi in una “turris eburnea”, il poeta ha, come sotto-linea Umberto Saba, il compito di “rifare l’uomo con la poesia onesta”. Compito non solo utile per il cambiamento sociale, ma indispensabile a rifondare la desanctisiana “pianta-uomo”. Tra le attività creative quale ruolo occupa la Poesia? Un ruolo importante. Il poeta, sottolinea Giovanni Paolo II, nella “Lettera agli artisti”, è il più vicino a Dio, compartecipe del mistero della crea-zione, attraverso la “parola”. Lo scultore ha bisogno del marmo, il pittore dei colori, il poeta, per dirla con Dante, “nepote di Dio”, con la parola aggiunge all’essere qualcosa cui dà forma e significato. Etimologicamen-te poesia, ????O significa fare, creare.Un atto di creazione immateriale, attraverso la parola, che restituisce all’uomo le profonde radici dell’io, lo stupore, la meraviglia. Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla so-cietà del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Cambiata in peggio, come abbiamo sottolineato nella risposta alla 3ª domanda. Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di po-esia? Viviamo in un paese schizofrenico, in cui si scrive più di quanto si legga. Un famoso politico ebbe a vantarsi di aver scritto più libri di quanti ne avesse letto… Giovanni Raboni ci invita a riflettere: “È indubbio che nell’hic et nunc il numero di quanti leggono poesia sia inferiore a quanti leggono romanzi di successo e testi di divulgazione storica. Usciamo dalla contempora-neità dall’ossessione della contingenza. La prospettiva muta radical-mente. Da quanto tempo si leggono e per quanto tempo si continueran-no a leggere Saffo, Catullo, Virgilio, Dante, Petrarca, Leopardi, Baudelai-re, Whitman o Rimbaud? Per quanto tempo si leggeranno i romanzi in cima alle classifiche dei libri più venduti? È vero i lettori di poesie non si calcolano nella dimensione dell’attualità, ma in quella della continuità. Per un poeta non possiamo parlare di volgare audience, cioè di ascolto istantaneo, ma in tempi di durata, ovvero di un ascolto che si rinnova nel tempo. Come vede la funzione del poeta nel futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? Nel 1975, in occasione del Nobel, nel discorso tenuto a Stoccolma, Mon-tale dichiarò: “Non c’è morte possibile per la poesia”. Con aria sorniona aveva esordito: “Son qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolu-tamente inutile ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di no-biltà”. Cosa sarebbe il mondo senza la poesia? Senza Omero la guerra di Troia sarebbe giunta a noi come un fumetto giapponese disanimato. Tutti i personaggi hanno trasmesso, attraverso i secoli l’emozione che incarna-vano: l’eroe sconfitto e valoroso, l’amor patrio, la forza, la prepotenza, la lusinga, l’astuzia, l’inganno. In Omero convergono il sangue e i sogni di tutti i popoli, tutte le civiltà del Mediterraneo vi si specchiano, ieri e an-cora più oggi. In più un verso di Omero, di Pindaro, di Dante, di Petrar-ca, di Leopardi, di Baudelaire, di Rimbaud è per sempre. Non può essere scambiato con nessun altro! Esiste una scienza delle emozioni? Solo la Poesia, attraverso eserciti di parole. Lorenza Rocco
-Risponde Nicola Prebenna La prima è una domanda che può sembrare ovvia o banale, ma ci può dare una sua personale definizione di poesia? -Per poesia, tra le tante e pur vere - sia pure parziali -definizioni che si sono date nel corso dei secoli e ad opera di addetti ai lavori, si può intendere il disperato bisogno di dar corpo alla propria solitudine, nella speranza, con l’auspicio, che la consapevolezza della propria condizione di isolamento possa aprire opportunità di relazionarsi con gli altri, di recuperare la dimensione della coralità, della socialità, della comunità. Fare poesia vuol dire scandagliare nelle viscere della propria sensibilità, che si nutre di pensiero, affetti, desideri, attese, progetti, ovattarli con la parola, che non sia “stanca ed inutile ripetizione del reale”, ma che si faccia grimaldello per penetrare nel regno inesplorato dell’inespresso, che diviene conquista per propria ed altrui gratificazione. Parola che si fa musica, armonia, canto. Laddove la poesia rinuncia all’armonia non vive più, è morta, si riduce ad aborto. Come si diventa (ci si scopre) poeti? -Si nasce con la predisposizione a rapportarsi con la realtà avvertendo il bisogno della scoperta di ciò che va al di là di essa; naturale è procedere ad associazioni immediate con ciò che pullula nella mente, con quanto il cuore intuisce o coglie con l’immediatezza che gratifica e induce una condizione di appagamento. Non sono lontani dalla verità tutti coloro che sostengono che la poesia, come condizione di partenza, sia “naturaliter” connaturata all’uomo; tutti gli uomini sono potenzialmente dei poeti. Il primo passaggio verso la condizione di poeta è dato dallo scoprirsi poeta, che è cosa ben diversa dall’essere poeta. Il poeta è chi è in grado di operare il salto dallo scoprirsi poeta, dall’avvertirsi predisposto alla poesia, all’operare come poeta, ed essere perciò poeta nel senso vero della parola. Per operare da poeta occorre, da buon artigiano, possedere gli strumenti adatti e avere un progetto chiaro. Gli strumenti adatti sono padronanza della lingua, conoscenza di ciò che i poeti conclamati hanno prodotto, ricerca di nuove modalità operative, una ricca vita interiore e passione per la scrittura. Avere un progetto chiaro vuol dire non inseguire, come capita, ciò che frulla per la testa, ma avere bene individuato cosa fare o dire con la parola, intesa come opportunità creativa e usata a fini poetici, ossia non legati all’immediatezza dell’utile e dell’economicità, ma obbedienti alla logica del lusus, gioco, creazione, piacere. Quale rapporto esiste oggi tra il poeta e la società? Oggi, come ieri, imprescindibile è il rapporto tra poeta e società: il poeta non solo vive nella società, ma è con essa in costante rapporto dialettico, ora di consonanza, ora di divaricazione. Anche quando il poeta pare assorto nella sua interiorità, immerso nelle fantasticherie più strane, lontano mille miglia dagli altri e dalla comunità, è pur sempre figlio della società in cui è sbocciato, maturato, cresciuto. La società è per il poeta l’aria che si respira, è il nutrimento che garantisce la vita, è l’acqua che permea ogni strato, è l’humus da cui si origina sia il poeta che la poesia. E poi, anche quando il poeta è concentrato sulla propria interiorità, non cessa mai di raccordarsi con il contesto di cui è parte, e le sue intuizioni hanno senso pieno se presuppongono il mondo degli altri, la società, e con essa ingaggia una competizione che favorisca la ricerca del miglior bene possibile per sé e per la comunità tutta. Dopo tutto, è quel che la storia della poesia ci consegna da circa tre millenni. Se, per assurdo, la società non esistesse, parlare di poesia non avrebbe senso. La poesia può essere uno strumento utile per il cambiamento sociale o è destinata a rimanere in un recinto esclusivamente personale, quando non edonistico? La poesia è strumento di cambiamento, di se stesso, degli altri, anche della società, oltre che del linguaggio. La poesia che non pretenda ricreare il linguaggio rinuncia alla propria vita. Certo, la poesia nasce da un bisogno soggettivo, personale, da un’ansia di appagamento interiore, intellettivo, etico, è anche occasione di piacere, ma o in maniera esplicita e consapevole o implicita e non pienamente avvertita, con modalità talvolta oscure, essa può farsi strumento utile al cambiamento anche della società. Non conta che sia programmaticamente definita, conta che sia onesta e che sia sincera: inevitabilmente costituirà l’occasione per indicare, proporre, suggerire piste che invogliano al cambiamento, al miglioramento. Tra le attività creative, quale ruolo occupa oggi la poesia? La poesia, o almeno il desiderio di fare poesia, è un esercizio della mente che alletta e seduce, e che, purtroppo, rimane voce inascoltata, esercizio solipsistico che poca attenzione merita dal pubblico, piccolo o grande che sia, anche quando i suoi contenuti si rapportano ai problemi concreti e drammatici del presente dell’umanità e del pianeta. Il ruolo della poesia oggi è quasi insignificante: in un mondo dominato dalla tecnica, dalla ricerca dell’utile e del successo economico, tutto ciò che pretende invitare l’uomo alla meditazione, alla concentrazione su ciò che più conta, sui valori che non obbediscono alla logica delle mode, la poesia insomma, diviene un orpello di cui volentieri fare a meno. Molto marginale è il ruolo della poesia: ciò è, forse, determinato anche dal fatto che molta produzione che viene presentata come poesia in buona sostanza non lo è, e che anche quella produzione di qualità che circola in ambienti ristretti, quasi da carbonari, non ha il respiro profondo che collochi l’intuizione soggettiva in una dimensione universale. La poesia parte da un fatto naturale, da una situazione delle più comuni, ma deve sapersi aprire ad una dimensione assoluta, universale: Leopardi insegna! Secondo Giacomo Leopardi il poeta era poco considerato dalla società del suo tempo. Si può dire che oggi la situazione sia cambiata? Il destino della poesia e la considerazione dei poeti, al di là di effimeri successi dettati ora dalla moda, ora dalla qualità della proposta poetica, sono stati sempre molto modesti, sia nell’età contemporanea del recanatese, sia ai nostri tempi. Oggi è anche più difficile orientarsi nell’universo della produzione poetica, per sovrabbondanza di prodotti modesti, per una molteplicità di opere di sicuro valore, per il ruolo dell’editoria non sempre in grado di riconoscere opere di qualità; e ancora, il pubblico non è in grado di penetrare nel vivo della poesia, privo di coordinate critiche sufficienti e sensibile spesso alle sole sirene dell’immediato e della moda. Perché, a suo giudizio, ci sono tanti poeti e così pochi lettori di poesia? L’uomo, confermando la sua natura, è sempre più preoccupato di sé, della propria vita, ed è sensibile al desiderio di sfuggire alla precarietà dell’esistenza, di attingere una superiore coscienza di sé, che lo induce a dare corpo ai fantasmi che si affollano nella sua mente, e che gli danno l’illusione di essere poeta; finisce così che si diviene lettori di se stessi, senza conoscere cosa fanno e come operano i tanti compagni di cordata, ed ognuno fa parte per se stesso. Già i poeti sono spesso concorrenti accaniti a reclamare spazi contesi, l’invidia o l’indifferenza determinano scarsa condivisione di poetiche e di ricerca, e il clima di esibizione forzata e talvolta prezzolata, nel senso più nobile del termine, non favoriscono una circolazione ragionevole delle opere di poesia. Accade così che opere spesso di qualità non siano conosciute e opere più modeste, ma opportunamente proposte, conquistino consensi più consistenti. Come vede la funzione del poeta in futuro, ci sarà ancora spazio per la poesia? Il poeta continuerà anche per il futuro ad avere un ruolo, una funzione importante nella società del domani; lo spazio per la poesia non sarà circoscritto. Il problema è quale poesia riuscirà a catturare l’attenzione del pubblico, almeno di quello colto. A nostro avviso, ci sarà sempre una parte di pubblico e di autori che privilegeranno la poesia intesa come occasione di cogliere aspetti della soggettività che ci conforta, ed una parte che superando la sfera intimistica si proponga come opportunità per coniugare consapevolezza del sé e coscienza della vita comunitaria, come inverazione dell’umanità più autentica e vera. Nicola Prebenna
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2018-01-31
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