articolo 2151

 

 
 
Ricordando Jannis Kounellis
Artista greco che ha molto amato l’Italia maestro dell’Arte Povera
 







Maria Carla Tartarone




Jannis Kounellis, nato in Grecia nel 1936, giunse alla fine degli anni Cinquanta a Roma per studiare all’ Accademia di Belle Arti. Al termine degli studi, nei primi anni sessanta, espose come pittore, col sostegno di Toti Scialoja, la sua prima mostra nella famosa galleria “La Tartaruga”, utilizzando frecce e lettere stampate su muri con pitture per intonaci e pietre. Ben presto cominciò a utilizzare oltre che i muri (costituiti anche di sacchi ripieni di juta, fagioli o caffè, o formati di pietre o di libri), cavalli vivi legati contro le pareti nella Galleria “L’Attico” di Roma nel 1969, in una mostra replicata poi a New York, ed anche altri animali e il fuoco, come già aveva fatto a Parigi quando nel 1967  aveva esposto del fuoco in orci di metallo.  Fu a Venezia per la sua prima Biennale nel 1972. Il grande pittore, il maestro che egli citava spesso  era Jackson Pollock che con il suo espressionismo materico,
con la sua action painting, fin dagli anni Sessanta lo aveva affascinato e lo aveva condotto a ispirarsi e a realizzarsi nell’Arte Povera. Dopo essere stato in America, tornato in Europa, prima in Germania e poi in Italia a Roma, si volse dagli anni Ottanta  a Napoli che sempre più gli piacque.
Ho cercato di comprendere e di mettere in evidenza le sue caratteristiche in occasione di  mostre fino  dai primi anni Ottanta, presso Lucio Amelio, nella Galleria di Piazza dei Martiri, nota già nel mondo come Modern Art Agency.
Cercando documenti e ricordi, ho consultato “Napoli e Dintorni” una  bella pubblicazione che ebbi da Lucio Amelio  una mattina del novembre 1988 quando, con la cura di Michele Bonuomo, aveva in mostra tre interessanti artisti: George Baselitz, Jeannis Kounellis e Cy Twombly, che avrei poi rivisti al  Museo Madre.  Della mostra in Galleria mi colpirono particolarmente le grandi immagini di soggetti capovolti che  Baselitz
utilizzava dal 1969, spesse nel colore pollockiano, come “la ragazza che ride”;  invece Twombly aveva in mostra due Baia di Gaeta,  assente la realtà, segnata la superficie rettangolare ripetutamente quasi ossessivamente, mentre il colore, pur lieve, sembrava voler coprire le ripetute cancellature,  sottolineando i segni che l’artista voleva emergenti.  Kounellis, riempiva invece una parete con un Senza Titolo 200x400, realizzato in situ, costruito con ferro e tessuto ruvido, senza dimenticare una parvenza di colore azzurro-verde strisciato, egli che  era dedito alla valorizzazione sincera ed aspra dei materiali poveri. Già Germano Celant, nel 1968,  Senior Curator  del Guggenheim Museum aveva definito “Arte Povera”  l’arte di Kounellis e di altri artisti come Boetti, Mertz, Zorio, Pistoletto, Penone, Fabro, Pascali che rifiutavano i mezzi espressivi tradizionali ed accoglievano materiali umili con l’intervento ridotto dell’artista teso solo a metterli  in evidenza. Celebre è, come dicevo, l’esposizione del 1969 presso “L’Attico” di Roma con alcuni  cavalli agganciati intorno alla sala, seguita nel 1972 da una mostra di animali a New York presso Sonnebend.
 Sfogliando poi un  altro numero di  “Napoli e Dintorni”  del 2014 stampato dalla Mondadori Electa per la “Fondazione Donnaregina”,  su Lucio Amelio e i suoi artisti negli anni sessanta-settanta, si  aggiungono altre fondamentali notizie, una ricca raccolta di immagini, dalla genesi di Terrae Motus nel 1965 fino al 1982: dopo l’immagine di copertina,  che raffigura Lucio Amelio fotografato da Mimmo Jodice, la pubblicazione parte con una guache di Heiner Dilly, seguono una serie di immagini, allora investiganti, secondo le nuove tendenze, la fotografia e le sue origini, di Carlo Alfano del 1966, di Dieter Hacker del 1967, una di Agostino Bonalume del marzo 1968 ed una grande foto di Mimmo Jodice raffigurante “Jannis Kounells
in barca”, ancora una del 20 dicembre del 1969.  Fu in quegli anni, tra il sessantotto ed il sessantanove che il nostro artista partecipò presso gli antichi Arsenali di Amalfi alla rassegna “Arte Povera+Azioni Povere” in cui assieme ai disparati materiali poveri vi si aggiungevano i cavalli ed altri animali appena messi in mostra in America e a Roma nella Galleria di Fabio Sargentini.  Nell’ampia pubblicazione seguono ancora pagine dedicate a molti fotografi, giovani studiosi negli anni Settanta:  vi si annoverano altre foto di  Mimmo Jodice che ricordano opere di Michelangelo Pistoletto e di Pino Pascali e fotografie  di Ernesto Tatafiore. Del 1971 gli scatti fotografici di Fabio Donato, di Méret Oppenheim (di un’opera di Vettor Pisani), di Bruno del Monaco, nuovamente di Mimmo Jodice dal titolo “La rivoluzione siamo Noi”. Nelle pagina dedicata al 1972  vi si trovano inchiostri di Vito Acconci, Dan Graham, Bruce Nauman, Dennis Oppenheim, e poi ancora una fotografia di Marcel Broodthaers, e una di Pier Paolo Calzolari, insieme ad un lavoro di Joseph Beuys e ad uno di Cy Twombly. Del 1973-74 troviamo immagini riguardanti Gino De Dominicis, Christo, Giulio Paolini, Luigi Ontani, Jasper Johns, Luciano Fabro, Robert Rauschenberg, Joseph Beuys,  Cy Twombly.  Del 1975 segue una grande fotografia a colori  di Cy Twombly alludente proprio alla Modern Art Agency  di Amelio e alla Baia di Napoli.  Al 1975 appartiene l’opera “Boody Life”, uno splendente contrasto dei colori rosso e nero, di Gilbert&George;  segue un’opera di John Baldessari e un’immagine di Andrea Cadere nonché la citazione di una Collettiva svoltasi a Villa Volpicelli, a Posillipo, folta di un numero di artisti tornati alla definizione del quadro, alla pittura, nel pieno della Transavanguardia la corrente artistica sostenuta da Bonito Oliva, con Chia, Nicola De Maria, Mario Merz,  Francesco Clemente, Mimmo Paladino, seguendo James Lee Byars, Robert Kleyn, Remo Salvadori, Van Schley, Ilija Soskic, Ettore Spalletti, Ernesto Tatafiore, Dolores Wyss. Del 1976 sono ricordati 4 quadri dal titolo “Il turista” di  Gerard Richter, “The red sculpture” di Gilbert&George. Del 1977 vi si ricorda “l’eredità” di Wilhelm von Gloeden.  Nelle pagine successive troviamo ancora immagini riguardanti Joseph Beuys, Mimmo Paladino e  una di  Francesco Clemente scultore; sono citate undici sculture di Cy Ttwombly, di cui se ne vede una. Leggiamo come nel 1980 venga riassunta la “Nuova Creatività del Mezzogiorno” con la citazione di un folto gruppo di artisti, alcuni quell’anno anche in Biennale a Venezia raccolti nella Sezione “Aperto 80”: Maria Antonietta Barnaba, Biagio Calarelli, Maurizio Cannavacciuolo, Ernesto D’Argenio, Franco Dell’Erba, Nino Longobardi, Paolo Lunanova, Ernesto Tatafiore esposti già da Lucio Amelio.  Sempre del 1980 vi si ricordano le mostre di Luigi Ontani e di Andy Warhol con le sue immagini su Joseph Beuys; ancora è ricordato il party in onore di Andy Warhol e Joseph Beuys al “City Hall Caffè” di Napoli. Del dicembre 1981 è un’immagine di Mario Merz. Tali erano le personalità che affluivano a Napoli in risposta all’attività culturale ed artistica del Sud d’Italia. Il 1982 ricorda la catastrofe naturale del  novembre 1980 e la costituzione della mostra “Terrae Motus”, con opere di 50 artisti, da esporsi nei principali Musei del mondo e da conservarsi poi in Campania. Oggi  quelle opere si conservano nella Reggia di Caserta. Il “volume” si chiude con alcune serigrafie su tela della prima pagina del Quotidiano “Il Mattino” dal titolo “Fate Presto”. 
Il ricordo di questa pubblicazione del 2014 mi è sembrato utile per il riscontro puntuale sia  dell’attività di Amelio, sia per la storia dell’Arte nel meridione d’Italia che seppe attrarre artisti ed attenzione da tutto il mondo. Mi è sembrato utile ricordare tutta l’attività vissuta da  Jannis
Kounellis con Lucio Amelio nei vari siti, fin dal primo Studio di Parco Margherita, negli anni in cui l’artista si spostava nel mondo, come a Parigi nel 1980, a Chicago nel Museo di Arte Contemporanea,  a Madrid nel 1996 e ritornò a Napoli ad adornare per il Natale Piazza del Plebiscito. Fu a Colonia nel 1997 e poi a Napoli. Si fermò a Città del Messico nel 1999, nel 2000 a Buenos Aires, nel 2001 a Montevideo, nel 2002 a Londra, a Roma e al Museo Pecci di Prato. Seguirono altre mostre altrove pur dimostrando l’artista di vivere sempre più piacevolmente a Napoli. Nell’arco degli anni 2000 i rapporti con la cultura napoletana si strinsero partecipando alle mostre promosse dall’Accademia di Belle Arti per i giovani, come fu nel 2009  per  “Chiamata all’Arte”, la mostra collettiva a cura dei giovani di “Largo Baracche” esposta nella Sala Gemito e il protagonista fu certamente Kounellis. Fu anche l’anno in cui, in febbraio, Kounellis  espose a Catania in una Collettiva “Costanti del classico nel XX e nel XXI secolo”, in cui si constatò come non avesse mai accettato l’abbandono totale dell’arte classica e che per lui “la trasgressione partecipa del classico” come dichiarò alla intervistatrice Francesca Bonazzoli sul “Corriere della Sera” il 20 febbraio 2009, ritornando alla sua intervista del 1999 su “ L’Espresso” in cui aveva dichiarato di essere un “custode”: ”l’origine della composizione è una custodia e per quanto composizione conserva nell’ordine  e unisce il presente al passato. E il pittore moderno, come in ogni epoca, è un uomo antico”. Alla Galleria di Alfonso Artiaco nello stesso 2009 espose  “Tragedia Civile”, già esposta nel 1975, lì dove lo avevo visto con Lucio Amelio nel 1988. Fu  la lettura dello spazio che l’artista volle realizzare occupando con Senza Ttitolo un’intera parete (cm. 405x581)   rivestita di legni dorati, reti metalliche, travi in acciaio, ganci, cappotti appesi, insieme ad altre opere minori sparse, realizzate con gli stessi materiali. Vittorio Sgarbi  ricorda invece le difficoltà che egli ebbe ad inserire Kounellis nel gruppo per la Biennale di Venezia del 2011 avendo chiesto ai critici tradizionalisti un parere. Ancora ho seguito l’artista nello stesso luogo divenuto la Galleria Casamadre di Eduardo Cicelyn, quando nella primavera del 2014 vi espose una serie di opere realizzate in gran parte con binari ferroviari. Ancora una mostra nella nuova Galleria Artiaco, nel Palazzo del Principe di San Severo nel 2015, quando nel settembre anche “La Lettura” del Corriere della Sera volle dedicargli il numero 200 (a cura di Gianluigi Colin)  con la pittura sintetica intitolata “Libertà” revocante per motivi contrari “La zattera della Medusa”. Ma molto ancora c’è da ricordare: Mentre rammentiamo le vecchie installazioni in Piazza del Plebiscito con duecento mobili appesi “Offertorio” o con i fuochi ad illuminare la Piazza, possiamo studiare  le sue opere esposte nel Museo di Capodimonte, nella Stazione dell’Arte di Piazza Dante,  nel Museo Madre dove l’artista ha creato, senza  imitazione alcuna, la sua realtà moderna “piena di classicità che è come un’identità stabile, è come una radice”, come egli sosteneva.                                            Maria Carla Tartarone 



2017-04-08