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E’ un disco ascoltolato mille volte, un film visto e rivisto. A intervalli regolari siamo invitati a prendere atto delle ricorrenti analisi che ci vengono propinate da molteplici organismi sul grado di vivibilità nelle diverse città del mondo e puntualmente dobbiamo registrare il collasso delle città del Sud Italia. L’ultima indagine realizzata dalla Commissione Ue su 79 città europee ci fa sapere che soltanto Atene sta peggio di Napoli e Palermo per quanto riguarda la qualità della vita e più dettagliatamnte il grado di soddisfazione dei relativi abitanti. A parte la considerazione basilare secondo cui i risultati sono sempre espressione degli indicatori scelti per ottenere i responsi in questione (cambiando i quali si ottengono evidentemente risultati diversi), la reazione a queste impietose diagnosi sono principalmente di due tipi. La prima sottolinea con feroce intolleranza ( e spesso con una punta perfino di disprezzo) i dati emersi lasciandosi andare a valutazioni sentenziose e mortificanti; la seconda si industria per trovare anche in un panorama così desolante spunti in qualche modo autoreferenziali e/o autoassolutori. Mi permetto di segnalare che entrambe le posizioni appaiono in concreto destinate a restare pura “letteratura” e non consentire che si possa, al di là del mero giudizio di valore, arrivare poi ad un risultato utile almeno in termini dialettici. Se nel primo caso infatti, vista la reiterazione di dati impietosi e diagnosi negative, è come sparare sulla croce rossa, aggiungere cioè benzina sul fuoco, senza rendersi conto che ormai tutto è stato bruciato e non c’è più nulla da spaccare, nel secondo atteggiamento fa sempre capolino un atavico sentimento di consolazione, il volere a tutti i costi trovare motivi per contraddire l’evidenza e continuare in qualche modo ad andare avanti come se nulla fosse successo o stesse per accadere. Il problema più urgente semmai è capire cosa si può fare, ammesso che ci sia ancora qualche possibilità d’intervento, per invertire la rotta e riprendere o avviare un cammino diverso. I dati certamente, almeno quelli che ci vengono forniti, non possono essere contraddetti. Il livello di vita, inultile nascondercelo è quello che è, e non si può dare torto a chi si mostra insoddisfatto del presente, vale a dire dei servizi forniti, della situazione dei trasporti e dell’educazione, dello stato delle strade, della micro criminalità invadente e in ascesa e non può essere motivo di sollievo sufficiente richiamarsi al fatto che il nostro Mezzogiorno, malgrado tutto, ancora alleva e produce cultura. Secondo le ultime stime dei rapporti ufficiali dell’AIE (Associazione Italiana Editori) diffusi alla vigilia della Fiera del libro di Francoforte, registriamo che per due cittadini meridionali su tre il libro è tuttora un oggetto sconosciuto. Il che poi si inquadra in una situazione più generale di crisi della cultura come testimonia la caduta del fatturato per quanto riguarda appunto l’editoria nel suo complesso così come si evidenzia un pericoloso arretramento per altri settori culturali di primo piano quali il cinema ed il teatro.Le risorse culturali vanno non solo incoraggiate ma meglio ancora distribuite ed incanalate nelle giuste direzioni chiamando a far da traino le istituzioni preposte allo scopo. Ricordando in questo che la cultura è fonte non solo di arricchimento spirituale ma anche volano di sviluppo e di crescita economica. Tenuto conto che - contrariamente a quanto è stato detto in passato in maniera pedestre - con la cultura si mangia, tanto è vero che essa rappresenta, pur nella situazione descritta ed in cui ci troviamo, quasi il 6 per cento del pil nazionale. Sostenere e promuovere la cultura significa aiutare il paese ad uscire alla crisi e a dare ai cittadini quel senso di “felicità” individuale che l’indagine della Ue prima ricordata ha indicato quale obiettivo predominante della propria ricerca. Antonio Filippetti |
2013-10-31
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