articolo 1704

 

 
 
RITORNO IN ITALIA DA UN LUNGO PERIPLO DEL MEDITERRANEO ANTICO
 







di Emilio B E N V E N U T O




Il nostro lungo peregrinare per il Mediterraneo volge alla fine,  Stiamo per fari ritorno in  Italia e questa volta ben più che alle città costiere che il  “Mare nostrum” bagna, è ai popoli che l’hanno abitata e dei quali siamo discendenti ed eredi, che rivolgiamo la nostra attenzione.
I t a l i c i   è il termine con cui i Greci designarono le popolazioni non greche dell’Italia peninsulare  con cui vennero a contatto dopo la  colonizzazione delle coste della Magna Grecia e in seguito questo termine fu adoperato per contrapporre queste popolazioni ai Romani. Questi Italici si distinguevano in diverse stirpi: Sabini, Sanniti, Umbro-Sabelli, Volsci, etc. Ma  accanto a questi altri popoli v’erano altri, che né Greci né Romani ardirono  chiamare Italici: Liguri, Etruschi, Japigo-Messapi, etc. Invalsero, inoltre, i termini Italioti  e Sicilioti con cui si designarono i Greci abitanti  delle città costiere della Magna Grecia e della Sicilia.
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Il nostro viaggio ci ha portato dalla Provenza in L i g u r i a, la regione così detta dai L i g u r i (Ligures), che in età remota occupavano larga parte dell’Europa occidentale, Spagna, Francia, Italia, prima delle immigrazioni dei Celti, Umbri, Oschi e Sanniti, dai quali furono costretti a ritirarsi sulle coste del Tirreno, dove in età storica li troviamo dall’Etruria al Rodano. Non è ancora chiarita la loro posizione etnografica: dalla lingua pare che si debbano ritenere indoeuropei. I Liguri della Gallia furono sottomessi a Roma tra  il 154 e il 118 a.C. e il loro territorio contribuì a formare la provincia Narbonensis; quelli d’Italia opposero più tenace resistenza, ma furono vinti la prima volta da P. Lentulo Caudino e definitivamente sottomessi al tempo di a Cesare Ottaviano Augusto.
Di G  e  n o v a (Genua), città capoluogo della regione, centro ligure e poi romano, restano oggi pochissime tracce, all’infuori dei ritrovamenti di una necropoli del sec. IV a.C.
Il Museo Civico di Archeologia Ligure di Genova-Pegli, sito nella Villa Durazzo-Pallavicini, espone materiale di scavo della  città (ceramiche greche e italiote  della  necropoli  di  Genova)  e  della regione (specialmente delle caverne
reistoriche, come  quella delle Arene Candide).
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La confinante E t r u r i a, regione dell’Italia centrale, che i Greci chiamarono anche Tirrenia e i Romani Tuscia, corrispondeva all’incirca alla odierna Toscana. Fu dapprima possesso degli Umbri, popolo italico, poi verso i ss. IX-VIII conquistata  dagli E t r u s c h i, onde il suo nome, e infine, con la seconda (320-304) e terza (298-290) delle guerre sannitiche, dai Romani.
Ancora non si è d’accordo sulla origine di questi Etruschi (Tirreni, Tusci) e sulla natura della loro lingua, di cui restano
numerose iscrizioni, ma non decifrate con sicurezza: popolo originariamente italico, o immigrato dal nord, o dall’Asia Minore, imparentato coi Lidi. Quest’ultima era l’opinione comune antica. Certo è che era un popolo di altissima civiltà, ordinato in una confederazione di 12 città, di cui era capitale Tarquinia, dominate  dalla casta aristocratica dei cosiddetti lucumoni.  Vivevano essenzialmente di commercio e anche di pirateria; nei ss. VI-V allargarono i loro confini nel Lazio  e  pure nella Campania (524 a. C.),  donde furono ricacciati nel 474 con la disfatta di Cuma. Furono poi, nel 290 assoggettati da Roma.
Di  T a r q u i n i a, sita a 100 chilometri da Roma e a 5 chilometri dal Mar Tirreno, la leggena pone la fondazione alla metà del II millennio a.C., ma in realtà essa non risale a prima del sec. VIII a.C.  Il suo apogeo si colloca tra  il VII e il V secolo a.C. Dopo la caduta di Veio venne in conflitto con i Romani, dai quali fu vinta definitivamente nel 280 a.C. La città, che continuò a prosperare anche sotto il dominio romano, fu poi distrutta dai Saraceni nel sec. VIII d.C.
Il ricupero dell’antico centro abitato è parzialmente ostacolato dal borgo medioevale, che ebbe per secoli il nome di Corneto. Tuttavia in località La Civita, scavi condotti dal 1934 hanno messo in luce le fondazioni di un tempio, detto Ara della Regina, presso le quali si rinvenne un gruppo di cavalli alati in terracotta, probabile decorazione frontonale di incomparabile eleganza e di chiara ispirazione ellenistica.
Ma i ritrovamenti archeologici più interessanti di Tarqunia sono quelli della necropoli di Monterozzi, specialmente le camere con le pareti interne dipinte, che si cominciarono esplorare nel 1823.  Esse furono, fino alle scoperte delle pitture tombali di Paestum, pressoché l’unico documento superstite della pittura antica d’età arcaica e classica e sono tuttora insostituibili per lo studio della decorazione parietale nell’antichità.  Un attento esame stilistico comparativo ha permesso di datare con una certa sicurezza questi monumenti. La tematica abbastanza uniforme (banchetti e giochi funebri) ha reso più agevoli quei raffronti stilistici che non solo aiutano  a stabilire le cronologie, ma  documentano lo svolgimento di una vera scuola d’arte con diretti riferimenti al mondo greco. La più antica, la tomba dei Tori, risale alla metà del sec. VI a.C.: vi si trova rappresentato l’agguato a Troilo da parte d’Achille. Ma, accanto a questo soggetto greco, il complesso della decorazione ripete forme ancora orientalizzanti. Un po’ più recente, la tomba degli Auguri (540-530 a.C.) dalle robuste e solide figure che trovano riscontro in taluni esemplari della ceramica attica a figure nere, è notevole per l’immagine del Phersu: un uomo coperto da una cappa e armato con una clava è affrontato da un cane tenuto al guinzaglio da un personaggio macherato, il Phersu (in latno persona  =
maschera), come è indicato dalla iscrizione.  Esso ha un costume variopinto, come un Arlecchino: è certamente un episodio di giochi funebri, cui s’accompagnano scene di corda e di lotta. Il Phersu riappare nella tomba  delle Olimpiadi e nella tomba del Pulcinella: la  prima, scoperta nel 1958 dalla Fondazione  Lerici, contiene scene di corsa di carri e di lancio del disco, indici di una diretta ispirazione a costumanze  e a modelli artistici greci. La tomba della Caccia e della Pesca, pressoché contemporanea, accosta a scene di banchetto e di danza alcuni episodi di vita all’aperto (appunto la caccia e la pesca), secondo un’iconografia naturalistica che si ritroverà in talune delle pitture di Paestum, quale la tomba del Tuffatore. Scene di banchetto e di danza di vedono nelle tombe  della Leonessa, dei Leopardi, del Letto funebre e del Triclinio, alle quali si può accostare la tomba della Nave, scoperta anch’essa dalla Fondazione Lerici, che rappresenta, accanto al banchetto, la  veduta di un  porto, la sola conosciuta nella pittura etrusca. Tra queste tombe, databili dal 520 al 450 a.C., eccezionale è la tomba del Barone, con le figure longilinee rese mediante un originale e quasi astratto senso del colore, che ha fatto pensare all’opera  di una non mediocre personalità artistica, forse un greco.  La serie si chiude. sul finire del sec. V a.C., con le pitture della tomba della Scrofa nera, in cui appare l’eco delle ricrche di scorcio e di composizione della pittura greca contemporanea. Nei secoli successivi si continuano a dipingere scene di banchetto, come nella tomba degli Scudi, ma si vedono comparire alche le figure mostruose dei geni inferi, come nelle tombe dell’Orco e del Tifone, con una resa pittorica e chiaroscurate di derivazione certamente ellenistica.
La città di Tarquinia ha restituito anche una notevole serie di sarcofagi scolpiti, appartenenti ai ss. III-II: famosi quelli appartenenti alla tomba della famiglia Polena e quelli detti del Magnate e dell’Obeso.
Il Museo Nazionale Tarquiniese, ordinato nel medioevale Palazzo Vitelleschi (1435) contiene, oltre alla ceramica etrusca e greca, ai sarcofagi e ad altri oggetti recuperati nel territorio della città, le pitture, staccate e ricomposte, delle tombe delle Bighe, del Letto funebre e del Triclinio.
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Il L a z i o ci offre, tra  i suoi tanti tesori,  predecessori della magnificentissima  R   O  M   A   Laurentum, Lavinium e Alba.
L a u r e n t u m (Torre di Paternò), tra Ostia e Lavinio, prima capitale del Lazio, fu residenza del Re Latino, suocero di Enea. Su questo territorio sarebbe sbarcato Enea. Alleata di Roma (509 a.C.), fece parte della Lega Latina.
L a v i n i u m (Lavinio, oggi Pratica di Mare), antica città  a km. 22 a sud di Roma, si diceva fondata da Enea in onore della moglie Lavinia. Fu capitale
del Lazio dopo Laurentum e prima di Alba. Ne fu pure e per lungo tempo la metropoli religiosa, col culto dei Penati e di Vesta; ancora vi venivano i magistrati romani a offrire sacrifici negli ultimi tempi del paganesimo. Fece  parte anch’essa della Lega Latina
Gli scavi del 1957 hanno riportato alla luce tratti delle mura e due santuari extraurbani, ricuperando elementi architettonici fittili del sec. III a. C. E’ invece del sec. VI a.C. il più antico dei 13 altari allineati a sud della città: una lamina con iscrizione ne avvalora l’attribuzione a un santuario dei Dioscuri.
A l b a, detta L o n g a, si diceva fondata da Ascanio, figlio di Enea,  e fu capitale della Lega Latina prima di Roma. Fu distrutta da Tullio Ostilio, a causa del tradimento del dittatore albano Mezio Fuffezio.
Sulla cima di Monte Cavo, Mons Albanus, era il tempio di Iuppiter Latiaris, centro religioso della Lega Latina, di cui era capitale Alba Longa.
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La C a m p a n i a, regione dell’Italia meridionale, sempre sul Tirreno, confinante a nord con il Lazio, a est com il Sannio e a sud con la Lucania,  per il cima piacevole contava molte stazioni climatiche. Ricca di svariati prodotti agricoli, fu abitata prima dagli Osci, colonizzata da Greci  nel dec. VIII a.C. (Cuma, Napoli, etc.), conquistata dagli Etruschi (sec. VI), dai Sanniti (sec. V) e infine dai Romani (sec. IV).
C u m a (Cumae) fu la prima e una delle più fiorenti colonie della Magna Grecia. Gli scavi condotti sull’acropoli e nelle necropoli circostanti hanno messo in luce tracce di un’occupazione indigena anteriore alla sua colonizzazione. Le fonti antiche discordano sulla data della fondazione della città greca e sull’origine stessa dei primi coloni, ma prevale l’opinione che essa sia stata fondata tra il 750 e il 725 a.C. da coloni venuti da Calcide ed Eretria  dall’Eubea, oltre che da un’oscura città di  kymai, sulla costa orientale di quell’isola, di cui rinnovarono il nome nella colonia. Divenuta potente e primario centro commerciale e marittimo, nei ss. VII-V a.C., estese la sua egemonia  territoriale su  quasi tutta la Campania. Venne perciò in conflitto con gli Etruschi, stanziati a Capua fin dal 600 a.C., con i quali fu presto in concorrenza anche per il possesso delle rotte del Mediterraneo occidentale e li battè nel 524 e nel  474, questa seconda volta con  l’aiuto di una flotta siracusana.  Nel 438-428 a.C. cadde in potere dei Sanniti e  nel 338-334 fu sottomessa a Roma. In età imperiale non fu che una città secondaria, distrutta e abbandonata definitivamente nel Medio Evo (1297).
Cuma ebbe un’importanza capitale nella diffusione della cultura greca in Italia. Per il suo tramite gli Etruschi ricevettero l’alfabeto calcidese, donde deriverà l’alfabeto romano e quindi il nostro.
Gli scavi, iniziati a metà del sec. XIX, furono ripresi periodicamente in seguito. Tra il
1938 e il 1953 fu rimesso in luce un tempio italico, su alto podio, probabilmente dedicato a Giove. Dell’abitato, che si estendeva ai piedi dell’acropoli e sulla cui area si sovrapposero le città greca, sannita e romana, si conosce ancora poco. 
Le necropoli si estendevano su tutti i lati: le più interessanti sono le più antiche, preelleniche o immediatamente posteriori alla colonizzazione (ss. IX-VIII a.C.), o del periodo orientalizzante (sec. VII a.C.). Si è ritrovata anche una tomba a tholos, che potrebbe sembrare una sopravvivenza micenea. Fra le sepolture posteriori, si ricordano le camere dipinte di età sannita.
L’acropoli,  dalle pareti a picco, era accessibile solo dal lato sud: era stata fortificata dai Greci. Formava due terrazze: l’inferiore, dove s’innalzava il tempio di Apollo, scavato nel 1912, e la superiore, con un santuario scavato nel 1927-28, in tarda età trasformata in Basilica cristiana. Nel 1932 si mise alla luce una cripta tagliata nella roccia: un lungo dromos di m. 131,50, rischiarato  da porticati laterali, che si aprivano verso l’esterno, sboccava in un ambiente rettangolare, il cui soffitto era stato tagliato a forma di volta. Si è pensato che si trattasse della grotta della Sibilla Cumana, alla quale vennero attribuiti i Libri Sibillini, raccolta  di profezie, cui ricorrevano i Romani nei momenti difficili.
Da coloni greci venuti da Cuma, cui si aggiunsero Calcidici di Atene ed  Eubea fu fondata sul Sinus Cumanus,  col nome di Partenope, N a p o l i. Fu poi detta Neapolis, in opposizione alla vecchia città chiamata Paleopolis. Occupata dai Sanniti e successivamente dai Romani (326 a.C.), fu civitas foederata, poi municipium, sempre fedele a Roma.
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Posta tra la  Campania e  il territorio dei Bruzi,  la  L u c a n i a, oggi Basilicata., fu abitata da una popolazione d’origine sannitica, i L u c a n i, e sulle coste colonizzata dai  Greci. Quei Lucani assoggettarono queste città costiere greche e nel serc. IV a.C. estesero il loro dominio addirittura fino all’estremità della penisola italiana. Con Pirro e poi con Annidale si schierarono contro i Romani. Al tempo delle guerre sociali parteggiarono per Mario.
Testimonianza di questa espansione lucana è la città della Campania, a sud di Salerno, nella piana del Sele, detta dai Greci P o s e i d o n i a, dai  Lucani P a i s t o m e dai Romani P a e s t u m.  Fu fondata da coloni di Sibari agli inizi del sec. VI a.C., ma la località doveva esser stata già occupata fin dall’età eneolitica, com’è testimoniato dal materiale uscito dalla necropoli del Gaudo, scoperta nel 1943. La città conobbe un notevole sviluppo. Tra il 438 e il 424 a.C. cadde in potere dei Lucani, che lo mantennero finchè i Romani nel 273 a.C. vi mandarono una colonia. Ancor prospera durante l’Impero, scomparve nel Medio Evo.
Le prime esplorazioni archeologiche risalgono
alla metà del sec. XVIII, ma ricerche sistematiche vi furo0no compiute solo dal 1907. Dal 1951 si ripresero gli scavi, che durano tuttora.
La pianta della città, circondata da mura lunghe km. 4,7, con quattro porte, si ricostruisce con insule rettangolari assai allungate entro uno schema ortogonale. VI è chiaramente riconoscibile l’area sacra, dove trovano posto tre templi dorici, noti tradizionalmente come Basilica di Hera, Tempio di Nettuno e Tempio di Cerere (ma in realtà di Athena).
La Basilica di Hera (Giunone), enneàstila periptera, è il tempio più antico, della metà del sec. VI a.C. (m. 54 x 25), mentre il Tempio di Nettuno (Poseidone), del 480 a.C., e più grande (m. 25 x 60) di quello di Cerere (Demetra), della fine del sec. VI a.C. (m. 31,50 x 13).
All’incrocio delle due maggiori strade perpendicolari, sull’area dell’Agorà greca e del Foro romano, s’innalza il Tempio della Pace, di tipo italico, presso il cosiddetto teatro, senza scena, ma con gradinata a cerchio continuo (forse un edificio per assemblee).
Gli scavi del 1969 delle necropoli immediatamente circostanti alla città hanno restituito una gran quantità di lastre dipinte, tra cui assai note quelle della tomba del Tuffatore, così chiamata dalla scena dipinta su una di essa .
Sono interessantissime le testimonianze della pittura locale di ispirazione greca dei ss. V-IV a.C.
Sebbene si trovi a 12 chiometri di distanza, alla foce del Sele, l’Heraion  fa parte integrante del panorama archeologico di Paestum. Vi si conosceva per tradizione storica l’esistenza di un santuario di Hera, ma esso fu scoperto solo nel 1934. Si sono ritrovate le  fondazioni di due templi e di alcuni thesuròi. Il maggiore, costruito intorno al 500 a.C., era decorato con metope, ritrovate nella quasi totalità, che illustravano diversi miti (fatiche di Eracle, ciclo troiano, etc.) e costituiscono un documento fondamentale per l’arte greca arcaica.
Il Museo Nazionale di Paestum raccoglie i reperti della città e dei dintorni. Specialmente dell’Heraion del Sele: fu inaugurato nel 1952.
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B r u t i i (Bruzi) era detto il popolo che abitava nel  B r u t i u m, regione che comprendeva la punta meridionale d’Italia, dove è oggi la Calabria, terra fertile dove i Greci fondarono numerose colonie.
I Bruzi, venuti dal nord, costrinsero i primi abitanti della regione a rifugiarsi sui monti e formarono una confederazione con capitale Cosentia, fiorente nei ss. IV-III a.C.; nel III i Romani li sottomisero e, dopo la II Guerra  Punica li dichiararono schiavi, perché avevano parteggiato per  Annibale. Cesare Ottaviano Augusto unì il Brutium alla Lucania, formando la  III Regio Lucania et Brutium d’Italia.
Estrema   città   dell’Italia   continentale,   sullo   stretto   di   Messina,    R  h e g i o n (Regium, oggi Reggio
Calabria),  colonia calcidese, fondata nel sec. VIII a.C. , fu quindi romana. Restano purtroppo, del suo splendore, pochi avanzi delle mura e di antichi edifici.
Il Museo Nazionale di Reggio Calabria, uno dei più importanti della Magna Grecia,  contiene collezioni preistoriche e protostoriche, bruzie, italiote e romane,  bronzi, sculture  acroteri e altri elementi architettonici da Locri e una serie di tavolette fittili, o pinakes, della stessa città.
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Oltrepasato lo stretto siamo in S i c i l i a. Ci attendono Messina, Catania, Siracusa.
M e s s i n a, la sicula e siciliota Zancle (= falce), la romana Messana, città della Sicilia nord-orientale, sullo stretto omonimo, fu fondata da coloni calcidesi nel 730-725 a.C. Ebbe il suo primo nome proprio dalla forma falcata del porto, poi mutato per il sopravvenire di coloni dalla Messenia. Dopo varie vicende di guerre e di tirannidi, passò ai Mamertini, poi ai Romani.
Le necropoli a sud e ovest hanno restituito corredi databili prevalentemente tra il VII e il V secolo a.C.
Sono notevoli anche le serie monetali coniate da Messina.
Il Museo Nazionale di Messina contiene una sezione archeologica ricca sopratuutto di ceramiche rinvenute nelle necropoli.
C a t a n i a, la siciliota Catane, la romana Cutina,  fu fondata sulla costa orientale della Sicilia nel 729 a.C. da coloni di Calcide d’Eubea, già insediatisi nel non lontano stanziamento di Nasso. Nel 476 fu spopolata da Gerone di Siracusa per essere affidata a emigrati dorici, acquisendo il nome di Aitna (= Etna).  Catania divenne poi romana agli inizi della prima guerra punica (263 a.C.).
I resti più appariscenti risalgono infatti a età romana, come l’anfiteatro, grande quasi quanto il Colosseo, il teatro, fondato nel sec. V a.C. ma rimaneggiato, e le terme. Della prima città calcidese si sono trovate vestigia,  come l’importante deposito di terrecotte votive sull’acropoli. Notevole fu anche la monetazione della   siciliota Catania, che annovera importanti nomi  di incisori, come Euaneitos.
Il  Museo Comunale di Castello Ursino espone nelle sale archeologiche sarcofagi fittili greci, un insieme di vario materiale locale, fra cui una Kore del sec. V a.C. e una serie di vasi a rilievo di Centuripe.
A S i r a c u s a, terza delle summenzionate città della Sicilia orientale, gli scavi hano riportato alla luce i resti di un abitato indigeno anteriore alla colonia fondata nel 734 a.C. da Greci pervenuti da Corinto. Dal sec. V a.C. fino alla sua caduta sotto i Romani (212 a.C. ) Siracusa fu la città più ricca e potente dell’intero mondo greco occidentale. Dimostrò subito la sua forza espansionistica occupando la vasta regione contermine ed eliminando l’opposizione dei Siculi, anche mediante la distruzione di alcuni importanti centri come Pantalica. Governata a più riprese da tiranni  (la tirannide era una
specie  di autocrazia raggiunta dalla cerchia aristocratica oligarchica contro la costituzione, vigente in parecchie città della Grecia), Siracusa vide, nel sec. V, dapprima i Dinomènidi  Gelone (480-478 a. C.), vincitore dei Cartaginesi a Imera nel 480. e Gerione I (478-467 a.C.), vincitore degli Etruschi a Cuma (474), quindi Emòcrate, animatore, nel 414-413 a.C., della vittoriosa resistenza contro la spedizione degli  Ateniesi. Nel sec. IV a.C. si succedono al potere Dionisio I (406-367), suo figlio Dionisio II  (367-345), seguito da Timoleonte (345-337), restauratore delle fortune di Siracusa in Sicilia, e, più tardi, da Agàtocle (323-289), che tentò l’unificazione dell’isola.  Secolare nemica dei Crtaginesi, Siracusa rimase a lungo alleata con i Romani, durante il dominio di Gerione II (274-215 a.C.). Ma, ucciso il figlio Gerònimo nel 214 a.C., la città, passata ai Cartaginesi, dovette soccombere, nel 212 a.C., alle legioni di M. Claudio Marcello, nonostante la strenua difesa, resa più valida dalle macchine belliche escogitate dall’ingegno di Archimede.
Lo sviluppo urbanistico di Siracusa ebbe inizio dal più antico nucleo stanziato nell’isolotto di Ortigia, separato dalla terraferma da uno stretto braccio di mare. In seguito, essa si estese a nord, su un’area assai vasta, sviluppandosi nei quartieri dell’Acradina, della Tyche, di Neàpoli e dell’Epipole. La cinta muraria, costruita da Dionisio I all’inizio del sec. IV a.C., aveva km. 22 di circuito e il suo baluardo nel Castello Eurialo  (= chiodo, così chiamato per le sua caratteristica forma), Questa poderosa opera fortificata, con fossati, gallerie, torri per catapulte, sbarrava il punto di più facile accesso all’Epilope e difendeva la sottostante porta a tenaglia. Ampliato e rinforzato anche in età successive, il Castello Eurialo proponeva, anticipandole, alcune soluzioni adottate poi dagli architetti militari, anche moderni.
Nell’isola di Ortigia sorgevano il dorico tempio di Apollo, risalente forse alla fine del sec. VII a.C., e il pure dorico tempio di Athena, della prima metà del sec. V a.C., oggi incorporato nella Cattedrale. Questo era sorto a fianco d’un tempio d’Artemide, ionico, forse rimasto incompiuto, della seconda metà del sec. VI a.C. I ruderi, conservati sotto l’attuale palazzo del Municipio, hanno restituito frammenti di colonne e di capitelli che presentano forti analogie architettoniche con l’Artemision di Efeso.
Il monumento più famoso della Neapoli è il Teatro, uno dei più grandi del mondo greco, misurando m. 134 di diametro. La cavea, con i gradini scavati nella roccia, e l’orchestra offrono indizi notevoli per ricostruire l’evoluzione dell’edificio teatrale greco nei secoli.
Grandiosi sono i resti del grande Altare di Gerione II, lungo m. 198. preceduto da un piazzale porticato: esso serviva per grandiose cerimonie di pubblici sacrifici in cui si immolavano anche 100 tori contemporaneamente (ecatombi).
Un grande complesso
di epoca romana, detto a torto il Ginnasio, comprendeva un tempio, un portico e un teatro. Pure di età romana è l’anfiteatro, anch’esso parzialmente scavato nella roccia.
Importanti cave di pietre a cielo aperto, le Latomie, servirono anche per tenervi prigionieri gli Ateniesi catturati durante la campagna di Sicilia.
Fra le tombe delle necropoli sono notevoli quelle scavate nella roccia ai lati della Via dei Sepolcri, a monte del teatro.
Il panorama archeologico della città è completato dalle Catacombe Cristiane di S. Giobanni, S. Lucia, Vigna Cassia, etc., tutte con loculi e arcosolii disposti ai lati d gallerie facenti capo ad ambienti centrali di solito a pianta circolare.
Il Museo Nazionale Archeologico di Siracusa è il più importante della Sicilia (e uno dei più importanti dell’intero mondo greco), soprattutto per le sezioni preistoriche di Pantàlica  e di altri centri siculi e classiche (terrecotte architettoniche templari, ceramica, statuaria, etc.).
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Navighiamo da Siracusa alla volta di M a l t a, la classica Melita, isola e arcipelago nel Mediterraneo centrale, a sud della Sicilia,
Fin dal III millennio a.C. Malta esercitò una funzione di mediazione fra le popolazioni orientali e occidentali, che le fece raggiungere una notevole prosperità. Ma il periodo più florido si colloca  nell’età del bronzo, anche se alcuni dei suoi principali monumenti sembrano stati iniziati nell’età precedente e sono perciò indicati comunemente quali neolitici. La periodizzazione della sua storia si basa essenzialmente sulle successioni della ceramica, eseguita con metodo non dissimile da quello usato per l’Egeo e per le isole Eolie, anche se le culture di Malta, tipicamemente insulari,  sono un fatto esclusivamente autoctono.
Il primo periodo  vide l’apogeo tra il 1600 e il 1500 a.C.  e sembra aver subito una fine violenta. Di questo periodo, articolato in varie epoche, sono le costruzioni megalitiche, costituite da vari ambienti ellissoidali, aprentisi lungo un corridoio o un atrio, in numero di tre o cinque, con una disposizione a trifoglio, con le pareti costituite da ortostati megalitici. Talvolta si resta indecisi nell’ndividuarne la destinazione: cultuale o funeraria? Il più antico esempio nell’isola di Malta  di costruzione non ipogea è Mgarr (m. 18 x 15).  Hal Saflieni, presso Paola, scavato nel 1902, era forse la sede di un culto sotterraneo, poi trasformata in una tomba collettiva (quasi 7.ooo deposizioni!) con funzioni oracolari. Gigantija, nell’isola di Gozo, la greca Gaudos, con gli ambienti di m. 10 x 9, aprentisi su un asse di m. 30 nel complesso settentrionale e di m. 23 in quello meridionale, preede di poco Hal Tarxien, a sud della Valletta, capitale moderna di Malta. Il complesso di tre templi, oggetto di scavi dal 1915 al 1920, è il più evoluto, con balaustre interrotte da porte trilitiche d’ingresso alle sale ellissoidali.
Ortostati e balaustre sono decorati con superfici punteggiate, o con sculture a figure piriformi, a tralci o, in qualche caso, con animali. Specialmente a Hal Saflieni e Gigantija si sono rinvenuti idoletti di alabastro, statuette cultuali ed ex-voto raffiguranti la Dea-Madre. La ceramica, attraverso le successive fasi di Sorba, Zebbug, Mgar, Gigantija e Tarxien, dimostra talora contatti con l’Egeo.  Il primo periodo dovette, come s’è detto, avere una fine violenta.
Il secondo periodo, dal 1400 all’800 a.C.  vede l’introduzione del rito ustorio, attestata dalla necropoli a incinerazione sovrappostasi ai templi di Tarxien. Caratterizzano questa fase dolmen e villaggi cinttati, come la cittadella di Borg in-Nadur, con elementi paragonabili a quelli di Micene.
Divenuta fenicia e poi cartaginese (terzo periodo), Melita  nel 218 a.C. è conquistata dai Romani e unita alla provincia di  Sicilia (quarto periodo). Continuò a prosperare, con la costruzione di numerose ville, come quella di Rubat, a peristilio, scoperta nel 1881.  Scavi italiani, dal 1964, hanno messo in luce tracce paleocristiane nella Villa d Publio che ebbe come ospite l’Apostolo Paolo (At. 28: 7-10).
Il Museo della Valletta ha una sezione archeologica che espone il materiale di scavo dell’isola. Anche gli ambienti della Villa romana di Ràbat sono stati adattati a museo archeologico.
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Risalendo lungo  la costa occidentale della Sicilia non omettiamo di vistitare M o z i a, la punica Mtwa, la greca Motye, città fenicio-punica, le cui rovine si trovano sull’isolotto di S. Pantaleone, a 8 chilometri a nord di Marsala. Già identificata all’inizio del sec. XVII, fu scavata nel sec. XX da G. Whitaker, il quale aveva comprato l’intera isola.
Fondata tra la fine dell’VIII e l’mizio del VII secolo a.C., Mozia fu distrutta nel 397 da Dionisio I di Siracusa e non fu più ricostruita.
gli scavi hanno messo in luce la cinta muraria, che circondava tutta l’isola per una lunghezza di circa km. 2,5, con due porte a sud e a nord. Fra gli edifici v’è una casa greca, su fondamenta  fenicie, che conserva interessanti mosaici. L’indagine sul terreno è stata ripresa con metodo rigoroso dal 1964. Le necropoli hanno conservato sculture in pietra e ceramiche di fabbricazione locale.
Il  Museo di Mozia, al centro dell’isola, contiene anche antichità della vicina necropoli di Birgi e del Lilibeo.
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Il  nostro  viaggio  si  avvia alle sue tappe finali,  Ci  attendono le visite, in S a r d e g na. a Nora,  Cagliari, Barumini e Tharros e, in C o r s i c a, ad Aleria.
N  o r a, località archeologica sul Capo di Pula, 35 chilometri a sud di Cagliari, fu centro fenicio-punico, quindi dal 135 a.C. romano. 
Gli scavi, eseguitivi nel sec. XIX e ripresi nel XX, hanno individuato il punico tempio della
dea Tanit, su base rettangolare, circondato da un quartiere popolare, con resti di officine di conceria e vetreria. Un tofet, di età ellenistica, ha rivelato l’uso di sostituire i sacrifici di bambini con quelli  di cuccioli d’animali.
La Nora romana mostra strade rettilinee lastricate, un teatro con un interessante impianto di anfore fittili collocate a fini di acustica, un mercato con portici, quattro edifici termali, case ad atrio con mosaici e il santuario punico-romano di Eshnun-Esculapio.
Le necropoli di Nora contengono tombe puniche a pozzo e romane.
C a r a l e s (Càralis, Cagliari), città della costa meridionale della Sardegna, fu colonia fenicia di Tiro, poi incorporata nei domini di Cartagine.  Principale città dell’isola e porto militare, divenuta romana nel 238 a.C. fu quindi il capoluogo della provincia Sardinia et Corsica. Nel sec. IV d.C.  fu residenza del Praeses Sardiniae. Nel sec. V  fu importante anche come centro cristiano, quale rifugio dei Vescovi cacciati dall’Africa dai Vandali.
I resti più importanti sono quelli dell’età punica: più che nella città stessa, dove sono stati cancellati dalla sovrapposizione degli abitati posteriori, nelle necropoli rupestri che la circondano, Specialmente  l’occidente contiene tombe a pozzo e a fossa, con camera sepolcrale chiusa da un lastrone: i corredi comprendono anche oggetti di influsso greco.
Resti di età romana sono l’anfiteatro, la cosiddetta casa di Tigellio con mosaici, il colombario di Attilia Pamfilia, detto Grotta della Vipera per le figure di serpenti che ne ornano l’ingresso e, infine, l’nteressante necropoli pagano-cristiana messa in luce dagli scavi cominciati nel 1950.
Il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari  espone soprattutto materiale preistorico e protostorico sardo, bronzi nuragici e iscrizioni, oreficerie e stele puniche, oltre che reperti romani e cristiani.
B a r u m i n i è un borgo a 60 chilometri  a nord di Cagliari. Vi sorge uno dei più importanti complessi archeologici dell’isola.
Attorno all’edificio principale, costruito, nel suo nucleo, tra il 1100 e il 1050 a.C., cui furono aggiunte quattro torri tra il IX e l’VIII secolo a.C.  e ancora rinforzato in seguito.  Si addensò un villaggio di capanne circolari. Distrutto, più che danneggiato, il forte dai Cartaginesi, il villaggio sardo continuò a vivere fin quasi all’età augustea.           
Sulla costa orientale della Sardegna, sul golfo di Oristano, v’è l’altra  importante località archeologica di T h a r r o s. Scavi inglesi del 1851, ripresi dal 1956, hanno riportato alla luce parte della città punica, che fu centro della resistenza di Ampicora ai Romani dopo il 238 a.C.
Si sono evidenziate soprattutto l’area portuale, quella d’un tempio punico, scavato nella roccia, monolitico, circondato da semicolonne scanalate, e l’altra della necropoli, presso la quale sorgeva
un tofet, con urne funerarie e stele.
Della Tkarros romana restano avanzi di un edificio termale con un serbatoio, oltre a una basilica con battistero del sec. V d.C.
A sei chilometri  a sud di Tharros, sotto la Chiesa di S. Salvatore di Cabras, si apre un ipogeo con ambienti absidali, ornati di pitture con scene del ciclo di Ercole e figure di ninfe: si identifica come uno degli ultimi santuari pagani (sec. IV d.C.), frequentato forse da marinai, aiudicare da parecchi graffiti rappresentanti navi di forme diverse.
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Siano giunti in C o r s i c a, ultima meta del nostro vagare per il Mediterraneo.  Visitiamo,  sulla  costa orientale dell’isola, a  50  chilometri a sud-est di Corte, A l e r i a, la greca Alalia. Fu capitale dell’isola fin dall’età preistorica, poi colonia dei Greci di Focea. Contesa da Cartaginesi ed Etruschi, divenne infine romana.
Gli scavi hanno rimesso in luce numerose vestigia d’età sia preromana che romana.
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Rientriamo finalmente in Italia. Il nostro viaggio ha qui termine. Esso ha voluto  a chi ci ha seguito offrire, con l’ausilio dell’archeologia, non solo  il pretesto per un raffinato e avventuroso svago, ma soprattutto  una occasione di  progresso culturale: una sorta di esame consuntivo del lavoro, intenso, minuto e paziente, che ormai da  oltre due secoli viene condotto in questa parte del mondo abitato, per ritrovare – e impedire che vengano cancellati -  i segni della presenza e dell’opera umana nei paesi del  Mediterraneo, ove siamo stati posti a vivere dalla Provvidenza con un preciso compito:  essere prima noi e poi insegnarlo agli altri a vivere fraternamente insieme.



2012-03-27