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La relazione presentata recentemente dall’Authority dell’informazione segna la triste conferma di un dato che pur essendo arcinoto (almeno per coloro che si occupano con continuità scientifica e passione civile dell’argomento) rappresenta pur sempre un autentico colpo nello stomaco pressoché impossibile da assorbire. Il dato in questione riguarda la cultura o meglio lo spazio che i telegiornali e dunque l’informazione televisiva dedicano appunto alla cenerentola di casa assegnandole nella percentuale di diffusione un misero 1,6 per cento ed ovviamente l’ultimo posto nella classifica generale. Il che significa che il sistema comunicativo del nostro paese che riserva grandi spazi a politica (di palazzo), cronaca (cronaca nera e morbosa), economia (accomodante e consolatoria),ecc. non attribuisce alcuna attenzione ai fatti intellettuali, alle espressioni artistiche e così via. Il dato appare al tempo stesso allarmante ed immarcescibile: preoccupa infatti la scarsissima considerazione in cui viene tenuta diremmo la produzione della conoscenza e contemporaneamente ispira un sentimento di desolante rassegnazione per cui si è giocoforza costretti a prendere atto che non è davvero possibile fare diversamente. Per di più, se si analizza il dato in maniera più puntuale, si giunge ad una considerazione ancora più triste e sconsolata. Scandagliando infatti quella misera percentuale, si scopre che la cultura è per così dire appannaggio di argomenti, personaggi e situazioni che probabilmente con la cultura stessa hanno assai poco a che fare nel senso che gli strombazzamenti riguardano di volta in volta i presunti “best sellers”, ovvero i “casi” più eclatanti dell’editoria di stagione (e di premiopoli), o ancora le “scoperte” di finti talenti e via di questo passo. Alla fine, della cultura (quella vera) resta davvero nulla, cioè zero assoluto. La deduzione più amara che se ne ricava è che ormai la cultura non interessa più a nessuno e di conseguenza sono sempre di meno coloro in grado di riconoscerla, praticarla, promuoverla. E’ stato detto tante volte, del resto, che nel nostro paese una politica culturale non è stata mai fatta seriamente e basta scorgere del resto i nomi e i “credits” di coloro che sono istituzionalmente preposti a pensarla e sostenerla : uno sguardo qui alla nostra regione fa davvero venire i brividi. Come è costume ormai consolidato a livello ufficiale, si continua invece a veicolare sciocchezze, a diffondere menzogne e falsità, atteggiandosi magari a riformatori e divulgatori eccellenti della cultura (vedi le riforme di scuola e università, prontamente megafonate, queste sì, dai servizi culturali televisivi). Se a questo si aggiunge pure il disinteresse che arriva da altri fronti – vedi i fondi per lo spettacolo o la ricerca – il quadro è davvero sconcertante. Solo che, vivendo come ormai sembra inevitabile, una condizione esistenziale sempre più virtuale, vale a dire taroccata e ammaestrata,la sensazione illusoria che se ne ricava è che grazie allo strapotere dei mezzi tecnologici (bande larghe o strette, sistemi analogici o digitali,ecc.) e alla proliferazione dell’offerta (cento, mille canali di cui disporre),siamo diventati un popolo di “nuovi credenti”: capaci cioè di credere a tutto, anche, per restare al tema cultura, alla comparsa in massa di straordinari talenti, dimenticando quello che già un po’ di tempo fa ebbe ad ammonire un grande intellettuale e scrittore come Ennio Flaiano secondo cui ai nostri giorni “i capolavori hanno le ore contate”. |
2009-08-01
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