articolo 1027

 

 
 
GALLERIA NAZIONALE DELLA PUGLIA
GIROLAMO e ROSARIA DEVANNA
 






Palazzo Sylos Calò, Bitonto -Bari-

a cura di Pullo M. R.




Donato Bizamano -bottega-
Cristo Redentore tra san Francesco d’Assisi e san Bernardino da Siena, quinto decennio XVI sec.
tempera su tavola, 47 x 58,5 cm.

La Galleria Nazionale Devanna contribuirà, con la sua collezione a soddisfare le curiosità intellettuali dei molti visitatori del nostro territorio, la Galleria dovrà rappresentare la punta di diamante di un distretto locale, che, guardando con lungimiranza oltre i confini comunali, contribuirà a rafforzare l’immagine di una Puglia dalla forte vocazione culturale, dove venire per apprezzare la bellezza della natura al pari delle pregevoli testimonianze storico-artistiche.
L’importanza del nascente Museo ,  si configura come offerta culturale eccentrica, nuova e stimolante rispetto ai tradizionali percorsi d’arte.
Il percorso di visita è articolato in cinque sezioni, dal Cinquecento al Novecento, secondo un criterio prevalentemente cronologico, ma in ragione anche dei contesti cui pertengono le singole opere.
IL CINQUECENTO
A valle del percorso, quale singolare “fuori sacco”, si presenta un frammentino di pittura su tavola con una Testa di Santa, riconosciuto oralmente a Giovanni da Rimini da Federico Zeri ma, nella qualità sinuosa della linea di contorno, più moderna dell’arcaico giottismo di Giovanni, a sottolineare una volta di più la fortuna in ambito collezionistico dei Primitivi italiani.
Il XVI secolo si apre con un gruppo di dipinti di cultura postbizantina, da riconnettere a quel fenomeno di “circolarità adriatica” di manufatti e di maestranze all’indomani della caduta di Costantinopoli in mano turca nel 1453. Tale evento avviò la diaspora di pittori greci nell’Egeo, soprattutto a Candia, “parte del dominio veneziano in Oriente”, e da lì a Venezia e lungo tutto il litorale orientale fino alle Puglie, preferite alla stessa capitale lagunare per impiantarvi botteghe assai rinomate. Tra i pittori cretesi figurano Donato Bizamano, attivo insieme con il fratello Angelo sia a Venezia sia poi “in Hotranto” e forse anche a Barletta con un secondo atelier, e l’iconografo Giovanni Maria Scupula, anch’egli “de Hdrynto”, autore di tre scomparti erratici di polittico o, forse originari “capoletto” stante il ridottissimo formato. Candioti sono pure Thomàs Bathàs, operoso a Corfù e più tardi a Venezia, sempre fortemente ancorato alla tradizione postbizantina, e El Greco, che invece raggiungerà gli esiti dei grandi maestri del Cinquecento veneto, autore della tavoletta con il Ritratto di domenicano, databile ancora al periodo italiano (1567-1577), prima della partenza per la Spagna.
Nel piccolo nucleo di manufatti di ambito meridionale sono presenti il cosiddetto “Maestro del polittico di Barletta”, l’ancora ignoto protagonista del primo Cinquecento meridionale, e il cosentino Pietro Negroni, pittori regnicoli, ma operosi pure a Napoli. Con Giovan Filippo Criscuolo e la sua bottega, sono alcuni dei fautori di  una sorta di “scuola” di pittura che unificò la
Ambito adriatico -attr. Giovanni da Rimini-, XIV sec.
Testa di Santa -frammento di affresco-
tempera su tavola, 8,3 x 8,5 cm.
cultura figurativa, almeno relativamente al versante tirrenico, sia nella capitale che nelle province del Viceregno, sostanzialmente in bilico tra il raffaellismo di Andrea Sabatini da Salerno, il massimo rappresentante del Rinascimento meridionale, e la pittura espressionista e caricata di Polidoro da Caravaggio e Pedro Machuca. La Natività del senese Marco Pino e Il Battesimo di Gesù, prossimo al pittore umbro Ippolito Borghese, introducono due presenze ‘straniere’, pure perfettamente inserite nell’ambiente controriformato meridionale dell’ultimo quarto di secolo. Il primo quale autorevole inventore di fortunati prototipi ampiamente apprezzati e richiesti dalla committenza devota, il secondo portavoce di una pittura sacra dal forte intento didascalico e di presa immediata.
Concludono il percorso alcune opere che allargano all’ambito centro-settentrionale italiano ed alla pittura d’Oltralpe le riflessioni sulla cultura figurativa del Secolo.
La tavola con San Francesco d’Assisi, che l’allusione alla stesura della Regola assegna alla committenza dei Cappuccini (1525), dichiara una cultura figurativa nordica, pure ancora in bilico tra ambito fiammingo e, più propriamente, iberico.
Tre le presenze marchigiane, il piceno Vincenzo Pagani, di ascendenza crivellesca, a mezzo tra attardate tradizioni locali e le novità di Raffaello e Lorenzo Lotto; il Bagozzo, pure allievo del Lotto; la piccola Flagellazione che replica, con poche varianti, la composizione di identico soggetto dipinta per l’Oratorio del Gonfalone da Federico Zuccari, grande interprete delle maggiori imprese connesse al manierismo romano, fase estrema della civiltà rinascimentale romana.
La pittura veneta è presente con lo splendido Ritratto di gentiluomo, in attesa di un più preciso riferimento anagrafico all’interno del singolare capitolo della ritrattistica storica di ambito tizianesco. Ancora alla lezione di Tiziano, ma anche allo Schiavone e a Tintoretto fanno riferimento La Maddalena dell’ambito del Veronese e l’Ecce Homo di Leonardo Corona, soggetti devoti in linea con i dettati del Concilio di Trento, infine Diana sorpresa da Atteone prossima a Lambert Sustris, detto «Fiammingo» dal Vasari (1568), tra i rappresentanti della stagione manieristica che a partire dagli anni Quaranta avviò il rinnovamento della pittura lagunare.
La sezione si chiude con il Castello, detto il Bergamasco, architetto, decoratore e pittore di formazione genovese, esponente della maniera di radice raffaellesca e polidoresca, il ritratto di San Carlo Borromeo di Giovanni Antonio Figino, replica del dipinto all’Ambrosiana, a conferma della fama del milanese quale ritrattista, infine un piccolo rametto con San Giovanni Battista del fiammingo Jan Soens, dell’équipe che decorò la Sala Ducale in Vaticano e poi attivo a Parma.
IL SEICENTO
Il percorso si snoda intorno ai temi principali -
Artemisia Gentileschi
Procne e Filomela mostrano a Tereo la testa del figlio Iti, 1630 – 1640 ca.
olio su tela, 52 x 60,5 cm.
ritratti, nature morte, paesaggi, scene sacre e mitologiche - e comprende autori italiani e stranieri che hanno contribuito all’evoluzione della cultura figurativa europea in un secolo caratterizzato da netti contrasti, espressi in contesti di notevoli cambiamenti. Il “secolo d’oro della pittura” si apre con il Ritratto del Cardinale Benedetto Giustiniani, eseguito da Bernardo Castello e databile intorno al primo quinquennio del secolo, nell’ambito di una concezione convenzionale della ritrattistica. Le opere che seguono, il Ritratto del cardinale Alfonso Litta assegnato a Ferdinand Voet, il precoce Autoritratto giovanile di Giovanni Baglione e l’Autoritratto di Jan Miel, già aderiscono ad una concezione vicina al significato più aulico del Barocco: gli effigiati – spesso autoritratti degli stessi artisti – sono raffigurati con abiti e posture che sottolineano inequivocabilmente il loro status sociale.
Tra i protagonisti della corrente caravaggesca si segnala Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, cui è attribuito l’inedito dipinto che raffigura una Fanciulla con cesto di uova – forse la figlia del pittore – uno dei più fedeli al linguaggio Maestro. Tra gli artisti che conobbero personalmente il Merisi, è presente Orazio Gentileschi, che pervenne in età matura ad una netta mutazione del suo stile, coniugando il disegno compositivo toscano col naturalismo caravaggesco. In attesa di conferme attributive, è a lui assegnata la piccola tavola inedita con Madonna con Bambino dormiente, derivata dal dipinto ad olio su rame Madonna con Bambino in un paesaggio, eseguito da Orazio intorno al 1621 - 1622, attualmente rintracciabile nella Burghley House Stumford New York Saint Louis, e da un’altra omonima versione, attualmente a Palazzo Rosso a Genova.
La tavola del Cristo deriso è stata di recente restituita al senese Bernardino Mei. Allievo di Rutilio Manetti a Siena, si ispirò a svariati modelli, approfondendo la conoscenza, tra gli altri, di Mattia Preti e di Guido Reni. L’inedito Ecce homo è pervenuto con l’attribuzione a Battistello Caracciolo, il primo a cogliere le novità del Merisi nella complessa realtà partenopea.
La folta schiera di artisti attivi nel Regno di Napoli prosegue con un seguace del Maestro dell’Annuncio ai Pastori, cui è riferito il dipinto di elevata qualità Uomo che legge, databile intorno al 1630 – 1640. Antonio De Bellis, attivo a Napoli tra il 1630 ed il 1660 circa, cui è assegnato il Sacrificio di Isacco, databile intorno agli anni Quaranta, aderì inizialmente al linguaggio riberesco ed a quello del Maestro dell’Annuncio ai Pastori e di Massimo Stanzione, per poi passare ai modi di Bernardo Cavallino. Mercurio addormenta Argo è attribuito alla tarda attività di Salvator Rosa – personalità complessa di uomo d’arte e di cultura – ed alla sua bottega. L’esposizione continua con l’Allegoria dell’Amore Virtuoso copia, con qualche variante, da Valentin de Boulogne giunta dalla collezione Devanna come opera assegnata ad
Pietro Bianchi, detto Creatura
Ester sviene davanti ad Assuero, 1720 – 1740 ca.
olio su tela, 35,7 x 47,5 cm.
un pittore attivo nel primo trentennio del secolo, tra Fracanzano ed il giovane Salvator Rosa. Il rame con Sant’Antonio da Padova in estasi è ascritto a Pacecco de Rosa, che, dopo un apprendistato presso il patrigno Filippo Vitale, altro interprete del naturalismo partenopeo, accolse con interesse gli esiti della corrente classicista ed emiliana, cui aderì il napoletano Andrea Vaccaio. Già presente nella cerchia dei naturalisti, egli ne elaborò una personale interpretazione, come è evidente nella Sant’Orsola, databile intorno al 1650.  Allo stesso artista spetta l’esecuzione del rame raffigurante  Cristo e la Vergine consegnano a San Nicola di Bari l’omoforion ed il vangelo, siglato in basso a sinistra, databile intorno alla quinta decade del secolo, di cui un’altra versione è ubicata nella chiesa napoletana di Santa Maria della Sanità.
Nicolas Poussin, uno dei maggiori esponenti della corrente classicista, è l’artefice di una particolare ricerca sugli sviluppi della pittura di soggetto mitologico e di paesaggio, con una ricca serie di quadri di piccolo formato richiesti dal collezionismo privato e dal mercato straniero, di cui è testimonianza la piccola tela raffigurante Ninfa e Satiro che beve; un’altra opera riferita al Poussin è l’interessante bozzetto della pala con Il Martirio di Sant’Erasmo, eseguita per la Basilica di San Pietro e oggi nella Pinacoteca Vaticana. Segue la bella tela con La Madonna benedice il figlio alla presenza degli apostoli e delle pie donne attribuita a Giovanni Lanfranco e databile intorno al 1620.
L’accoglimento in Puglia della cultura figurativa, che ha caratterizzato il secolo nelle sue molteplici espressioni stilistiche, è documentato dal bitontino Francesco Antonio Altobello cui è attribuita la Presentazione di Gesù al Tempio, un bozzetto destinato probabilmente alla committenza privata, databile intorno alla metà del IX decennio e dal biscegliese Cesare Fracanzano cui è ascritto invece Il Miracolo di San Domenico Soriano: l’opera di dichiarata impostazione classicista è databile intorno agli anni Trenta, probabilmente coeva al lungo soggiorno barlettano del pittore.
I “Cortoneschi” Giovan Battista Beinaschi e Filippo Lauri sono presenti rispettivamente con La strage degli innocenti, probabile bozzetto per una composizione a tutt’oggi non rintracciata, e con una Gloria di Santi martiri, che rientra nella produzione di piccoli quadri destinati alla committenza privata.
Nell’ambito della pittura di paesaggio si segnalano Herman Van Swanevelt detto l’Eremita con il Paesaggio montano con rovine e pastori, firmato e datato (1648); Filippo d’Angeli (o Lagni) detto Filippo Napoletano con la Marina con costone roccioso e barche, databile intorno al secondo decennio del secolo. La ‘Natura morta’ è presente con la Natura morta con carciofi, lattuga ed asparagi, attribuita al cremonese Pietro Martire Neri databile intorno alla terza - quarta decade del secolo, e con la tavola raffigurante Natura morta
Domenico Morelli
Due figure femminili davanti ad un uscio, bozzetto, 1873
olio su tela, 32 x 25,5 cm.
con pesci, funghi e tartaruga eseguita  da Giuseppe Recco databile intorno al 1660 – 1670.
Tra gli stranieri figurano gli olandesi, con il Ritratto di uomo con baffi e pizzetto, riferito all’ambito di Diego Velazquez; la Cattura di Cristo ed il piccolo rame con Due figure in una chiesa gotica  recentemente attribuiti a Hendrik Van Steenwijk il giovane e databili intorno al secondo - terzo decennio del Seicento. Concludono il Secolo il franco fiammingo Nicolas Régnier cui è ascritta la tela raffigurante San Sebastiano, derivante da alcune omonime versioni, tra cui quella speculare del Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo; Eustache Le Sueur con il Martirio di San Lorenzo, bozzetto della pala eseguita per una cappella della chiesa di Saint Germain l’Auxerrois a Parigi, attualmente conservato a Boughton House nella collezione del Duca di Buccleuch and Queensbury. Interessante è il bozzetto inedito raffigurante San Pietro liberato dal carcere, eseguito da Simon Vouet per uno dei dipinti realizzati per il cancelliere Sèguier.
Il piccolo rame raffigurante il Martirio di San Sebastiano, attribuito a Francois de Nomè, il pittore di vedute immaginarie ed apocalittiche, databile intorno al 1620 – 1630, conclude l’itinerario pittorico del secolo.
IL SETTECENTO
Il patrimonio artistico presenta per il Settecento caratteri di eterogeneità, non dissimili da quelli rilevati per i secoli precedenti, strettamente connessi alla genesi della stessa collezione. Tra i pittori napoletani che vi figurano, Francesco De Mura (Napoli 1699-1782) è rappresentato da due notevoli dipinti: il  San Paolo apostolo, su tela, già assegnato ad ambito del De Mura con una datazione al 1740, più di recente riconosciuto autografo del maestro e riferito agli inizi del terzo decennio del Settecento, tra le prime testimonianze superstiti dell’attività del pittore napoletano; il San Vincenzo Ferrer, un delicato rametto ovale, forse destinato alla devozione privata che documenta i caratteri  maturi del De Mura, verso gli anni Cinquanta-Sessanta, con toni di grazia levigata e di luminosa resa dei toni cromatici.
Caratterizzato dalla “resa cromatica impreziosita dalle raffinate tonalità rischiarate e madreperlacee” (Spinosa), è il ‘rametto’ del «petit maitre» Filippo Falciatore (documentato a Napoli tra il 1718 e il 1768), con un ritratto di gentiluomo nel quale si ritiene di identificare il Ritratto del cantante Carlo Broschi, detto Farinelli (Andria 1705 - Bologna 1782), virtuoso del canto e allievo di Nicola Porpora.
A Francesco Narici (Genova, attivo a Napoli dal 1751 al 1779) spetta la Madonna col Bambino, sant’Ignazio, san Guglielmo e l’Arcangelo Michele, studio preliminare per il dipinto appartenente ad una serie di sette pale d’altare nella chiesa dell’Ave Gratia Plena di Marcianise.
Pietro Bardellino (Napoli 1728-1810) è l’autore del dipinto con
Emilio Notte
Uomini e cavallo, 1915-1925 ca.
olio su tela, 40 x 51 cm.
La fucina di Vulcano, un’opera condotta nei modi della produzione di soggetto affine realizzata dal maestro del Bardellino, Francesco De Mura, databile tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta.
Il San Giovanni di Dio in gloria, già ritenuto dello stesso Bardellino, è stato di recente restituito a Giacinto Diano (Pozzuoli 1731 - Napoli 1804) e posto in relazione al dipinto di analogo soggetto pertinente alle Storie di San Giovanni di Dio affrescate in vari riquadri da nella volta del lungo padiglione dell’Ospedale della Pace a Napoli nel 1764.
Il trionfo del Redentore sul peccato originale, riferito in precedenza al catanese Olivio Sozzi (Catania 1690-Ispica 1765) è il bozzetto definitivo per l’affresco ubicato nella volta del transetto destro della chiesa di San Matteo a Palermo, realizzato nel 1754 da Vito D’Anna (Palermo 1718-1769), genero dello stesso Sozzi.
 La gouache con l’Eruzione del Vesuvio è opera riferibile a Camillo De Vito (documentato a Napoli tra 1790 e il 1830), artista che svolse un ruolo di primo piano nella produzione ottocentesca di gouaches, pervenendo a esiti  originali e moderni, caratterizzati da un ductus pittorico fatto di  pennellate rapide e fluide, ben lontani dal miniaturismo dei suoi antesignani. L’interessante gouaches ‘intelata’ illustra un’eruzione effusiva del vulcano, probabilmente quella del 1794.
E’ invece proprio dell’«english painter» Pietro Fabris (documentato a Napoli 1756 - 1792) la deliziosa gouache su carta scura controfondata su carta antica sulla quale, al centro, è un’iscrizione antica a inchiostro “Fabris” e, più in basso, a matita nera “Frabis”  [sic !],  che raffigura un soldato borbonico, il Fante del corpo dei Micheletti. Essa è in sintonia cronologica con le immagini della celebre serie della Raccolta di varii Vestimenti ed Arti del Regno di Napoli che nel 1773 Pietro Fabris realizzò e dedicò a sir William Hamilton, trasferendo su rame le “amabili figurine” popolari da lui stesso dipinte in precedenza.
La Crocifissione con la Madonna, san Giovanni e Maria Maddalena, attribuita a Francesco Trevisani (Capodistria 1656 - Roma 1746) è stata di recente restituita a Sebastiano Conca (Gaeta 1680 - 1764). Al nipote di questo stesso esponente di spicco del barocchetto romano, Tommaso Maria Conca (Roma 1734 - 1822), spetta il Riposo nella fuga in Egitto, databile negli anni Settanta.
Accanto a rilevanti dipinti dei maggiori esponenti del Neoclassicismo, il Discobolo di Andrea Appiani (Milano 1754 - 1817), siglato con il monogramma del pittore sul retro della tela in alto a sinistra, il bozzetto che con Scena di storia romana di Vincenzo Camuccini (Roma 1771 - 1844), figurano nella raccolta opere di soggetto biblico, mitologico e di ispirazione letteraria realizzate da celebri pittori inglesi e francesi. E’ il caso, ad esempio, dell’acquarello con La Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, già attribuita a Gavin Hamilton (Lanark 1723 - Roma
1798), ma firmato e datato nel 1801 da William Hamilton (Chelsea, Londra 1751 - Londra, 2 dicembre 1802), Questi, dopo aver frequentato in Italia la bottega di Antonio Zucchi, tornò in Inghilterra dove realizzò ritratti e quadri di soggetto biblico, storico, mitologico e letterario, ispirandosi a episodi tratti da opere di Shakespeare, e illustrazioni di poesie. Sensibile al culto del sentimento, affine a quello di Angelica Kauffman, adottò talvolta gli aspetti del Füssli drammatico nella deformazione del disegno delle figure. Nel 1784 divenne associato della Royal Academy of Arts di Londra e nel 1789 Royal Academician (R.A.) e di tale titolo si fregia nell’acquarello Devanna.
Un cospicuo nucleo di opere è costituito infine da raffinati ritratti di  artisti inglesi: il Ritratto di Lady Clerk del “ritrattista dell’Illuminismo scozzese” Henry Raeburn (Stockbridge 1756 - Edimburgo 1823), il Ritratto di gentiluomo assegnato a Thomas Lawrence (Bristol 1769 - Londra 1830); tra i ritratti di artisti francesi spiccano il Ritratto di donna con guanti verdi di François Gérard (Roma 1770 - Parigi 1837), il Ritratto di giovane di François-Xavier Fabre(1766 - 1837), allievo di David e autore del Ritratto di Vittorio Alfieri del 1793, oggi agli Uffizi. Allo statunitense Thomas Sully (Horncastle 1783 - Filadelfia 1872) appartiene il Ritratto di gentildonna.
L’OTTOCENTO
L’ Ottocento è un secolo attraversato da un vasto processo culturale che affonda le proprie radici nel Settecento e che trova il suo punto di partenza nelle mutazioni rivoluzionarie del 1789. Il trionfo della Rivoluzione francese non soltanto determinò il passaggio da una società di stati ad una società di classi, ma spinse l’uomo a prendere coscienza della infondatezza insita  nel mito della felicità propugnato dalla società del secolo dei Lumi e a intaccare la fede riposta senza riserve dagli illuministi nella ragione e nel progresso. Vinto e disilluso l’uomo scoprì di essere solo di fronte a sé stesso e alla natura: l’uno e l’altro assursero a protagonisti dell’arte del secolo. L’incertezza del presente, l’inquietudine sempre più profonda dell’individuo affiorarono nella creatività dell’artista, sollecitato a una ricerca continua di forme e interessato sia al passato che a nuovi esiti, precorritori sovente di tendenze future. Il corso discontinuo e variabile delle formulazioni, la mancanza di uniformità e il carattere frammentario della sua evoluzione costituiscono alcune dei numerosi aspetti di questo secolo eclettico. Nacque in Europa un’arte nuova, l’arte moderna, caratterizzata, per quanto attiene la comparsa di nuovi  e originali orientamenti, dalla presenza centrale dell’arte francese. Centralità che fu indubbiamente in rapporto al ruolo delle vicende storiche francesi, protagonistico sotto il profilo politico e sociale (radicalismo dei conflitti, universalità degli
insegnamenti), e consistè nella costante ininterrotta regolarità con la quale si susseguirono, dalla fine del Settecento fino allo scadere dell’Ottocento, entro un contesto particolarmente denso di innovazioni e di trasformazioni creative, personalità e stagioni artistiche.
L’Italia, frantumata dal Congresso di Vienna, intraprese faticosamente il percorso dell’unità e dell’indipendenza politica, avvalendosi dell’esercito del più militarizzato degli stati italiani, dell’appoggio della Francia, della Germania e dell’ Inghilterra, abilmente procacciato da Cavour, e degli esiti fortunati delle imprese garibaldine. Al raggiungimento dell’obbiettivo contribuì altresì il diffondersi e il radicarsi del movimento di opinione risorgimentale maturato nei ceti borghesi e colti.
Risultano di immediata evidenza i legami che intercorrono tra i processi politici, culturali connessi alla costruzione dello Stato nazionale unitario e ai primi primi decenni post unitari e le diverse stagioni della pittura italiana. Essi si riscontrano non solo nell’iconografia patriottica e risorgimentale che si attestò in connessione ai moti del 1848, conservando una posizione rilevante sin dopo il 1870, ma nei caratteri precipui della vicenda pittorica ottocentesca. Vale a dire nel ruolo non marginale che essa svolse all’interno dei diversi strati della borghesia dell’epoca “nella consonanza con le spinte e le tendenze e le alternative anche opposte dei diversi strati della borghesia pre e post unitaria” (Del Guercio 1982). Consonanza e rapporti che si leggono nello sviluppo, nell’alveo delle formulazioni estreme del Neoclassicismo e del Purismo, della sensibilità romantica che, pur presentando propaggini tese al recupero nostalgico del passato, contribuì ampiamente alla formazione della nuova coscienza europea e italiana, promuovendo alcune idee moderne volta a volta di orientamento liberale o democratico o rivoluzionario, o collegate, come nel caso italiano, alle lotte per l’unità e l’indipendenza; nella differenziata attenzione, stettamente collegata agli eventi del 1848, al ‘vero’, sentito come attualità storica, vita quotidiana o oggettività concreta, che propagandosi dalla Toscana dei Macchiaioli alla Napoli di Gioacchino Toma, portò all’elaborazione di inedite espressioni pittoriche che manifestarono nell’iconografia il nesso con i conflitti del 1848 e diedero voce  alle aspettative, ai vagheggiamenti, ai sogni dei diversi strati della borghesia e, seppure in modo più indiretto, delle classi lavoratrici urbane e rurali; nelle numerose correnti della pittura di fine secolo che espressero le diverse e opposte posizioni che divisero o collegarono le disparate classi sociali del Regno d’Italia in relazione alle scelte strategiche adottate dallo stesso Regno negli ultimi decenni dell’Ottocento.
Di questo affascinante secolo la collezione Devanna illustra alcuni episodi pregnanti: dal bozzetto datato 1833 con la Scena di naufragio del caposcuola del romanticismo,
Eugène Delacroix (Charenton Saint-Maurice 1798 – Parigi 1863), per un’opera non ancora identificata, caratterizzata da un’esecuzione abbreviata e prossima ai risultati delle Donne di Algeri; alla Scena di storia romana di Vincenzo Camuccini, pertinente alla produzione dell’artista rivolta ad illustrare le virtù civili traendole dalle fonti antiche e dalle più recenti interpretazioni moraleggianti; dalla Natura morta di Adolphe T.J. Monticelli (Marsiglia 1824 - 1886), che conferma la figura dell’artista quale anello di congiunzione tra la pittura di Delacroix e Van Gogh; al Ritratto di donna, firmato, di Franz von Lenbach (Schrobenhausen 1836 - Munchen 1904), sorretto da rigore formale e cromatico, al Ritratto di gentiluomo con cravatta blu dello svizzero trapiantato a Firenze Antonio Cìseri (Ronco, Canton Ticino 1821 - Firenze 1891).
Le propensioni dei collezionisti Devanna verso la pittura “meridionale” dell’Ottocento italiano, si manifestano nella presenza dello studio del Mario vincitore dei Cimbri di F. S. Altamura; del Ritratto d’uomo assegnato a Giuseppe De Nittis (Barletta 1846 - Saint Germain en Laye 1884); del bozzetto per una scena biblica firmato nel 1873 da Domenico Morelli (Napoli 1826 - 1901); dei due ritratti del barese Raffaele Armenise ( Bari 1852 - Milano 1925).
La sezione presenta inoltre una serie di notevoli e fascinosi paesaggi del primo e del secondo Ottocento napoletano, dall’olio su carta ‘intelata’ di Gabriele Smargiassi, alla gouache firmata di Salvatore Fergola con il Paesaggio presso Bonea alla carta ‘intelata’ di Consalvo Carelli, alle vedute d’atmosfera di Federico Rossano o all’‘esterno’ londinese di Giuseppe De Nittis, ripercorrendo per intero e nei suoi esiti maggiori le vicende del paesaggismo napoletano, inoltrandosi con i dipinti di Giuseppe Casciaro fino al primo Novecento.
IL NOVECENTO
Il XX secolo, nella donazione Devanna, è caratterizzato essenzialmente da opere che fanno capo, da una parte ad artisti a cavallo dei secoli XIX e XX – precedente diretto della pittura del secolo seguente, con uno sguardo particolare alla scuola napoletana e pugliese – e dall’altra alle avanguardie di vasto respiro internazionale.
Tra gli artisti attivi tra i due secoli, si segnalano il romano Giulio Aristide Sartorio, che firma in basso a destra Figure femminili davanti all’ingresso di una chiesa, databile tra il 1890 ed il 1910. L’artista, di formazione accademica, si dedicò anche alla fotografia, alla cinematografia ed alla critica. Il dipinto realizzato in tecnica mista su carta, è contrassegnato dal simbolismo evidente nella scelta iconografica del soggetto, ma riflette anche l’influsso neorinascimentale e la conoscenza dei preraffaeliti, studiati durante la permanenza dell’artista in Inghilterra e a Parigi.
Il barese Damaso Bianchi, considerato uno dei fondatori della ‘scuola di paesaggio pugliese’ ed
il primo ad aver affrontato il tema pittorico della ‘Vecchia Bari’ è presente in esposizione con la tavola raffigurante il ritratto del caricaturista e disegnatore satirico Menotti Bianchi, soprannominato frate Menotti; l’opera, riferita alla sua prima attività di ritrattista, risale al 1893.
Gaetano Spinelli firma in alto a destra la tela Interno con tessitrici, datata 1905 sul verso. Originario di Bitonto, soggiornò in Sardegna dove realizzò la parte migliore della sua produzione.
Il paesaggista Oscar Ricciardi, allievo di Bernardo Celentano è l’autore del piccolo olio Veduta di Piazza Trieste e Trento a Napoli eseguito intorno all’ultima decade del XIX e la prima del XX.
Tra i pittori salernitani, Ulisse Caputo, formatosi presso l’accademia di Belle Arti di Napoli con Domenico Morelli, soggiornò a Parigi intorno alla fine dell’Ottocento; il dipinto ad olio su cartone firmata in basso a destra raffigura una Torre ed è databile intorno al primo quarto del XX secolo. Domenico De Vanna, originario di Terlizzi, ma attivo ad Atrani dal 1930, allievo di Cammarano, realizzò con il maestro soggetti di paesaggio e studi dal vero; la Danza in maschera, firmata in basso a sinistra, risale agli anni Venti.
Il salentino Carlo Barbieri si trasferì molto giovane a Roma dove frequentò l’ambiente artistico del Caffè Greco, di Via Margutta e Piazza di Spagna. Le sue opere in gran parte realizzate tra il 1935 ed il 1938, anno della sua morte precoce, trattano lo stesso genere di tematiche (circo, maschere, caffè greco), come si evidenzia anche nel dipinto della donazione Devanna raffigurante Tre clown.
Tra i paesaggisti pugliesi si annoverano il barese Francesco Vacca, autodidatta, partecipò a diverse esposizioni, tra cui le Quadriennali romane, dipinse soprattutto paesaggi pugliesi, vedute del centro storico di Bari, nature morte: nella raccolta la tavola Veduta della piazza della Cattedrale a Bari Vecchia, firmata in basso a destra è databile intorno al 1930.
La tavola raffigurante Campagna pugliese è assegnata a Vito Stifano, come è scritto a stampatello sul verso; fu esposto alla II mostra del Sindacato Nazionale Fascista Belle Arti a Napoli nel 1937. Originario di Capurso (Ba), l’artista è considerato uno dei maggiori esponenti della pittura di paesaggio pugliese.
Vincenzo Ciardo di origini salentine si formò ad Urbino presso l’Accademia di Belle Arti. Dal 1920, a Napoli fu attratto dalla scuola di Posillipo, da Gigante, oltre che dal Postimpressionismo e da Cézanne. Dagli anni Quaranta la pennellata diventa più larga a “tassellato musivo” come è evidente nell’opera firmata in donazione Devanna che raffigura un paesaggio.
Un altro pugliese, il bitontino Francesco  Speranza, è presente con tre opere, tra le quali si menziona la tavola Piazza Cavour a Bitonto firmata e datata 1945: la sua particolare cifra stilistica a metà tra il neoprimitivismo e la pittura naïve si sviluppò a partire dagli anni Trenta.
Antonio Marasco
firma la tavola raffigurante Pagliaccio databile agli anni ’50; la sua concezione pittorica è considerata “scenografica”; esponente del futurismo, la sua carriera artistica e la datazione di molte delle sue opere rimane particolarmente problematica per la sua personale tendenza a “retrodatazioni vertiginose” di molti dei suoi lavori “di piccolo formato”.
Emilio Notte, originario di Ceglie Messapica, formatosi presso l’Accademia di Napoli, si trasferì in Toscana, a Firenze dove studiò in Accademia, entrando in contatto con De Carolis e Sartorio; dal 1914 si avvicinò al futurismo. Il dipinto Uomini e cavallo è un bozzetto realizzato per una composizione che – a quel che si sa – non è mai stata eseguita, come si evince dal carattere non finito della composizione  e dalla “connotazione fortemente sintetica della figurazione”. Il soggetto è frequente nell’opera di Notte che già dal 1916 ha affrontato il tema della piazza e del lavoro. Il dipinto è databile intorno alla prima metà degli anni Sessanta.
Per concludere si citano due artisti di livello internazionale: l’americana Beatrice Wood firma e data 1925 il disegno a matita ed acquerello Generation gap. La sua carriera di artista ebbe inizio presso la Julian Academy di Parigi dove frequentò corsi di disegni dal vero; ritornò a New York con l’inizio della prima guerra mondiale, dove conobbe Marcel Duchamp; si dedicò dal 1937 alla ceramica, diventando famosa a livello internazionale con le sue creazioni dai riflessi vitrei. Da quel momento utilizzò i disegni come progetti delle sue opere.
Infine va ricordato l’italo americano Joseph Stella che firma la tela San Giovanni Battista, databile intorno al 1933. Conosciuto per una serie di quadri d’ispirazione futurista realizzati ed esposti a New York tra il 1913 ed 1922, dopo la metà degli anni Venti l’artista abbandona lo stile d’avanguardia per un accostamento più naturalistico e simbolico. I soggetti religiosi eseguiti nel 1933 furono esposti in un’apposita sala, in cui figurava anche il dipinto in esame, durante la II mostra internazionale d’arte sacra, che si svolse a Roma nel 1934.

 

 

 



2009-03-31