Era il terzo giorno del mese di ottobre quando a Napoli, sua città natale, chiuse gli occhi per sempre Eduardo Di Capua. Musicista, iniziò i suoi studi dell’arte dei suoni presso il conservatorio “San Pietro a Majella”, interrompendoli per girovagare poi per il mondo con il padre violinista. E proprio in giro per il mondo, a Odessa, pare creò la sua più celebre melodia. Autore di indimenticabili canzoni classiche napoletane, come “I’ te vurria vasà”, “Torna maggio” o “Maria, Marì”, Di Capua è infatti l’artefice della canzone, non solo celeberrima, ma più emblematica della sua città, “’O sole mio”. La notorietà della composizione è incontestabile, il numero dee suoi interpreti, non di rado massimi, incalcolabile, le traduzioni del testo più disparate, le rielaborazione nelle quali è stata riproposta più varie. Addirittura, in occasione delle Olimpiadi di Anversa, nel 1920, causa lo smarrimento delle spartito dell’inno ufficialedesignato, fu eseguita in sostituzione. Il trionfo fu unanime. Tutto ciò, comunque, non impedì, purtroppo, all’autore dei versi, Giovanni Capurro, ed allo stesso Di Capua, di morire in miseria. Ma proviamo ad analizzare l’opera. Il testo inneggia alla bellezza di una fresca giornata soleggiata, a operosità quasi gioiosa, e alla nostalgia che sopraggiunge, al tramonto e a sera, di tanta piacevolezza, contrapponendo vigorosamente a tanta bellezza solare, un sole di gran lunga più bello. Che poi questo secondo sole sia metafora del volto dell’amata o della propria città rimpianta non è dato sapere, ma, in fin dei conti, pur poco importa. Tema amoroso, encomiastico, semplice, più o meno ordinario. “Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe quasi da commentare. Non di meno, la musica adotta il consueto schema compositivo della canzone, che vuole una prima melodia “narrativa”, ossia di suoni di bassa intensità, più o meno bassa intonazione, e scorrevoli, alla quale faseguito una seconda melodia, “lirica”, dove i suoni diventano acuti, lunghi e forti. Neppure le armonie o la stessa linea melodica rifulgono di particolare ricercatezza, ma con ogni probabilità proprio l’estrema semplicità, per non dire ordinarietà, è stata la formula vincente della sua incontestabile affermazione, nei luoghi e nel tempo, in conformità con il quinto degli undici principi di quel genio della propaganda che fu Joseph Goebbels, il “principio della volgarizzazione”, secondo il quale, “quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare”. Un discorso certo non dissimile da quello per la più famosa canzone italiana, “Nel blu, dipinto di blu”. Così che se non dobbiamo alla coppia Di Capua Capurro la creazione di un’espressione innovativa o di una pagina di eccezionale ricercatezza e finezza di espressione, resta ai due artisti l’indubbio merito di averci donato uno straordinario esempio di coinvolgimento emotivo dellapiù vasta collettività, praticamente onnicomprensivo. |