Duecento anni fa, il 22 ottobre 1811, nasceva Franz Liszt, musicista ungherese, figura di primo piano del panorama musicale romantico. Personaggio proteiforme, fu pianista, compositore, organista e direttore d’orchestra, unendo agli interessi musicali quelli letterari. Insegnante formò insigni virtuosi, pianista creò il concerto per solo pianoforte, artista si prodigò per la conoscenza e la valorizzazione di molti suoi colleghi, interprete alla tastiera strabiliò il mondo con i suoi virtuosismi, compositore esplorò nuovi mondi sonori ma soprattutto le risorse tecniche ed espressive del pianoforte sortendo da questo strumento sorprendenti possibilità attraverso le sue trascrizioni di pagine violinistiche di Niccolò Paganini, i suoi “Studi d’esecuzione trascendentale” e tante altre composizioni dalle altissime pretese esecutive come il primo “Mephisto Waltz”, “Les jeux d’eau a la Villa d’Este” o il “Grand Galop Chromatique”. E fumistico e mondano, frivolo e serioso, diabolico e celestiale. Oggi, in occasione di questo suo anniversario natale, il ricordo della sua figura, e dell’aurea temperie pianistica che visse, non può non portare alla mente, in particolar modo agli italiani, ed ancor più ai napoletani, un altrettanto grande virtuoso ottocentesco del pianoforte, Sigismund Thalberg, considerato forse l’unico degno di rivaleggiare alla tastiera con l’artista magiaro, eccellente pianista che finì i suoi giorni nel capoluogo campano dove diede luogo ad una delle massime scuole pianistiche di tutti i tempi, un didatta a cui tanto devono figure di spicco dei nostri giorni più vicini, per quanto apparentemente lontane, come Arturo Benedetti Michelangeli, Martha Argerich, Daniel Barenboim e tanti altri virtuosi ancora, e personaggio che induce così, unitamente alla sua mastodontica statua che si staglia nella Villa Comunale di Napoli, tanto grande quanto ignorata, ed alle numerose strade sulla collina del Vomerointitolate a suoi prestigiosi discendenti artistici ai più pur sconosciuti, come Beniamino Cesi, Florestano Rossomandi, Alessandro Longo o Francesco Cilea, ad una mesta quanto doverosa riflessione su quello che era la musica, tutta l’arte, e più ampiamente la cultura italiana, già ancora alla metà del secolo scorso nel nostro Paese, ed a quello che, purtroppo, ne rimane oggi. |