WOLFSONIANA
collezione Wolfson di Genova
 






Venerdì 15 dicembre , ore 17.00,
si inaugura la Wolfsoniana,
la Collezione Wolfson
-Genova- Via Serra Gropallo 4




Medusa

Nell’incantevole cornice dei parchi di Nervi, a pochi passi dalla Galleria d’Arte Moderna e dagli altri due musei del Levante cittadino, in un edificio progettato nel 1957 per uso scolastico dall’Ufficio Tecnico del Comune di Genova.
Dopo un impegnativo lavoro di ristrutturazione e adeguamento durato oltre un anno, che ha dotato l’ex edificio scolastico delle condizioni microclimatiche e di sicurezza necessarie a un museo, la città offre finalmente una sede consona ad una selezione di opere della prestigiosa collezione del mecenate americano, dando vita, al contempo, alla prima istituzione museale in Italia dedicata principalmente alle arti decorative e all’arte di propaganda del periodo compreso tra gli ultimi due decenni dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, senza trascurare le arti figurative, l’architettura e gli inizi del design industriale.
Il percorso espositivo, curato da Silvia Barisione, Matteo Fochessati e Gianni Franzone, è ordinato secondo una scansione cronologica e intervallato da alcuni nuclei tematici, considerati particolarmente significativi per l’approfondimento dell’evoluzione artistica del periodo preso in esame e per la conoscenza delle problematiche connesse alla filosofia della collezione.
Il visitatore affronterà dunque un tracciato espositivo che, partendo dalle seduzioni di quel gusto per l’esotico diffusosi in Italia alla fine dell’Ottocento, si snoda attraverso le principali correnti linguistiche e espressive della prima metà del XX secolo, dall’art nouveau al déco, dal “novecento” al razionalismo. A documentare puntualmente la complessità culturale dell’epoca contribuisce in maniera determinante la straordinaria varietà di materiali conservati nella Collezione Wolfson: dipinti, sculture, arredi completi, mobili, ceramiche, vetri, metalli, smalti, oggetti d’uso quotidiano e strumenti tecnologici.
Oltre all’esposizione permanente della collezione, organizzata attraverso un progetto di ordinamento che prevede la sostituzione periodica di una parte delle opere, il visitatore potrà approfondire i temi e le problematiche artistiche del periodo 1880-1945 grazie a un programma di esposizioni temporanee, allestite nelle sale appositamente previste al secondo piano. In tali spazi la Wolfsoniana intende inoltre ospitare, nei periodi di intervallo tra una mostra e l’altra, conferenze, convegni, incontri, dibattiti e altre iniziative culturali e ricreative connesse alle problematiche della collezione. Il museo attiverà una serie di laboratori didattici che avvicineranno le scuole e il pubblico più giovane, svilupperà sinergie con le altre realtà museali del polo di Nervi, in particolare con la Galleria d’Arte Moderna, che già ospita una piccola selezione di opere della collezione, e opererà in sintonia con il centro-studi e deposito di via Asilo Garbarino.
In occasione
Rubino
dell’inaugurazione, viene presentata al pubblico anche la guida della Wolfsoniana, edita da Skira, un agile volume riccamente illustrato, concepito come complemento indispensabile per la visita del nuovo spazio espositivo e soprattutto come introduzione alla collezione nel suo complesso, con capitoli dedicati anche agli archivi, alla biblioteca, alla grafica, alle opere su carta e al materiale documentario che, per ragioni di conservazione e di spazio, non hanno trovato posto all’interno della sede di via Serra Gropallo.
Con l’apertura della Wolfsoniana si conclude un percorso iniziato quasi due decenni fa, che ha visto protagonisti, da una parte, Mitchell “Micky” Wolfson Jr., collezionista e filantropo di Miami con una predilezione per l’Italia e, in particolare, per Genova, e le principali realtà istituzionali genovesi e liguri dall’altra, dal Comune di Genova alla Regione Liguria alla Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia.
È dalla metà degli anni Ottanta che la collezione di Micky Wolfson inizia a far parlare di sé, ma è dal 1993 che la sua presenza diventa significativa nella vita culturale non solo cittadina, quando viene aperto il deposito-centro studi di via Asilo Garbarino, che continuerà la sua attività come deposito di quanto non
esposto nel museo, come sede della biblioteca specializzata, dei numerosi archivi, dello sterminato patrimonio documentario e del centro di ricerca aperto a studiosi e studenti.
Nel 1999 la collezione viene affidata alla Fondazione Regionale Cristoforo Colombo, che la gestisce e amministra grazie al contributo del Comune di Genova e della Regione Liguria. È di qualche anno fa la decisione di inserirla all’interno del Polo dei Musei e dei Parchi di Nervi, che diventano così una realtà sfaccettata ma omogenea nel concentrarsi specificatamente sull’arte dell’Ottocento e del Novecento. Il Comune ha messo a disposizione l’edificio e le competenze professionali necessarie al suo restauro e rifunzionalizzazione. Un contributo ad hoc elargito dalla Fondazione CARIGE e un ulteriore finanziamento della Regione Liguria hanno consentito la realizzazione degli interventi strutturali e tecnici e dell’allestimento museale della Wolfsoniana.

Wolfsoniana. Il percorso espositivo
Il percorso espositivo della Wolfsoniana, ideato da Silvia Barisione, Matteo Fochessati e Gianni Franzone, intende evidenziare lo spirito della Collezione Wolfson nella sua complessità e eterogeneità attraverso una selezione accurata delle sue opere, nella prospettiva di una sostituzione periodica delle stesse per rendere più allettante l’offerta del museo.
È stato privilegiato un approccio cronologico-tematico che ha consentito, accanto alla cronologia dei movimenti, delle correnti artistiche, stilistiche e di gusto del periodo 1880-1945, di evidenziare le
Chini
tematiche maggiormente caratterizzanti la raccolta: l’evoluzione delle arti decorative, l’arte di propaganda, il lavoro, il viaggio e l’evoluzione dei mezzi di trasporto, le mostre e le esposizioni internazionali.
L’ingresso costituisce una sorta di “benvenuto”, l’opportunità per il visitatore di familiarizzare con la collezione e il collezionista. Quattro statue in marmo, a grandezza naturale, raffiguranti Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini, Camillo Benso Conte di Cavour e Vittorio Emanuele II – i  “padri della patria” – opera dello scultore piemontese Giuseppe Carnevale, accolgono chi entra e rappresentano l’inizio della storia che la Wolfsoniana racconta, gli ultimi decenni del XIX secolo che, per l’Italia, hanno coinciso con il tormentato periodo postunitaro. Accanto una scultura del pavese Giovanni Scapolla, omaggio ai legionari che avevano partecipato alla guerra di Spagna, e i pannelli del futurista fiorentino Ernesto Thayaht introducono all’arte di propaganda, proponendo un interessante accostamento che esemplifica come linguaggi espressivi diversi siano stati utilizzati per lo stesso scopo. Il bancone dell’ingresso e alcune altre vetrine all’interno del percorso espositivo provengono dal negozio PAM di via XX Settembre a Genova, disegnato da Pietro Lingeri, uno dei maggiori esponenti del razionalismo italiano, negli anni Trenta e successivamente rinnovato Sessanta in collaborazione con il figlio Angelo. Sulle scale è collocato Colossus,  “ritratto acefalo” in cera a grandezza naturale di Mitchell “Micky” Wolfson Jr., eseguito appositamente per la Wolfsoniana dall’artista americana Michele Oka Doner. Famosa per le sue sculture, in particolare per le sue pavimentazioni a mosaico realizzate per diversi edifici pubblici negli Stati Uniti, tra cui il suggestivo Walk on the Beach per l’Aeroporto Internazionale di Miami, dove in una zona di grande passaggio, lunga circa 800 metri, ha incastonato in una pasta di cemento duemila forme marine in bronzo, una diversa dall’altra, le sue opere decorano anche l’Hayden Planetarium di New York, la biblioteca di Sacramento e il National Airport di Washington D.C.
Esotismi
Il primo piano inizia con alcune testimonianze del gusto per l’esotico che si era affermato anche in Italia nella seconda metà dell’Ottocento attraverso le grandi esposizioni. Nelle dimore della nuova borghesia in ascesa, gli ebanisti esprimevano il desiderio d’Oriente dei loro committenti in alcuni ambienti, soprattutto il fumoir e la camera da letto, come nel caso della monumentale stanza neoegizia ideata intorno al 1890 dai pittori bolognesi Fabio e Alberto Fabbi per il palazzo Gonzaga a Guastalla, vicino a Mantova. Il letto che riecheggia le piramidi dei faraoni e il cassettone che presenta una veduta ideale della città di Ninive vengono riproposti insieme agli originali pannelli che decoravano il soffitto, in cui i riferimenti all’antico
Ciampi
Egitto si  mescolano con altri di varia natura, cinesi, giapponesi, africani, messicani, perfino dell’Amazzonia, tutti a creare quell’atmosfera esotica tanto seducente quanto immaginaria. Reinterpretando motivi dell’arte islamica, il mobiliere milanese Carlo Bugatti elabora, attraverso una ricerca formale personalissima, un nuovo stile, la cui originalità viene da subito riconosciuta a livello internazionale. L’enigmatico stipo di Bugatti si accompagna a una potiche decorata a motivi d’ispirazione persiana della Cantagalli di Firenze, a un originale lampadario in alabastro con teste di elefanti in bronzo, a due fioriere che Galileo Chini, uno degli artisti “decorativi” più importanti dell’epoca, disegnò ormai all’inizio degli anni Venti per le Terme Berzieri di Salsomaggiore dopo la sua lunga permanenza in Thailandia, a un disegno del Teatro Alhambra che Adolfo Coppedè rinnovò e ampliò a Firenze nel 1919 in stile “moresco”: tutte opere che contribuiscono a ricreare quel gusto per l’esotico attraverso cui si espresse l’ansia di evasione dal quotidiano e che si diffuse, non a caso, soprattutto nei luoghi dedicati allo svago. 
L’arte decorativa moderna
All’Art Nouveau, lo stile diffusosi in Europa e negli Stati Uniti tra il 1890 e la fine della Prima Guerra Mondiale, è dedicata la seconda sezione del museo. Stile decorativo per eccellenza, l’Art Nouveau ebbe caratteristiche comuni con peculiari accentuazioni nazionali. La Wolfsoniana propone una parziale ricostruzione del salotto realizzato da Luigi Fontana & C. di Milano intorno al 1902, che rappresenta un esempio interessante di liberty italiano molto vicino a modalità più tipiche dell’area franco-belga, con linee estremamente sinuose, oltre all’originale utilizzo di vetri e specchi. Alla produzione italiana si affiancano esempi internazionali, in particolare dell’area mitteleuropea, come la credenza dell’austriaco Joseph Maria Olbrich e lo studio dell’ungherese Ödön Faragó, presentati all’Esposizione di Arte Decorativa Moderna di Torino del 1902, il cassettone preziosamente intarsiato di Leopold Bauer e alcuni mobili per ufficio del catalano Gaspar Homar. Anche la vetrata Medusa delle Vetrate Artistiche G. Beltrami di Milano venne esposta alla mostra torinese del 1902. Completano il panorama alcuni dipinti e sculture riconducibili alla stessa atmosfera stilistica e culturale: i gessi di Leonardo Bistolfi e Giacomo Cometti, un bassorilievo di Edoardo De Albertis, le tele di Galileo Chini e Giuseppe Cominetti.
Duilio Cambellotti e l’ambiente romano degli anni Venti
La terza sezione segna il passaggio al periodo compreso tra i due conflitti mondiali. È dedicata a Duilio Cambellotti, una delle figure più significative all’interno del panorama delle arti decorative italiane della prima metà del Novecento. Caratterizzato da una
Colossus
spiccata predisposizione per l’integrazione delle arti, l’artista romano è stato pittore, scultore, illustratore, incisore, scenografo e costumista per il teatro e il cinema, ha disegnato mobili, ceramiche, vetrate, medaglie, gioielli e ha progettato ambienti completi. Le curiose e La notte – i suoi stipi arcaici e eleganti, presentati alle Biennali Internazionali di Arti Decorative di Monza rispettivamente nel 1923 e nel 1925, insieme alla Panca dei timoni e al Mobile dei falchi – uniti alla vetrata Stemma del Trecento e a alcune ceramiche danno un’idea della qualità e della poliedricità della sua produzione. Cambellotti aiuta a contestualizzare le opere di artisti che furono attivi nell’ambito romano negli anni Venti: da Vittorio Grassi a Melchiorre Melis a alcuni giovani che si dedicarono prevalentemente alla ceramica. Di Ferruccio Ferrazzi, uno dei protagonisti del realismo magico e artista molto legato all’ambiente in cui operò Cambellotti, viene presentato L’Idolo del prisma (1925), riferimento emblematico alla ricerca pittorica dello stesso periodo.
La camera dei bambini: Antonio Rubino
Il primo piano si conclude con la ricostruzione della stanza da letto per bambini di Antonio Rubino. Pittore, illustratore e poeta, Rubino dedicò la maggior parte della sua produzione artistica all’infanzia. La sua avventura nel mondo infantile ebbe inizio nel 1908, quando fondò “Il Corriere dei piccoli”, forse il più popolare tra i giornali per bambini. Formatosi nell’ambito della cultura simbolista e dell’Art Nouveau, di tale stile seppe offrire nel campo dell’illustrazione una geniale interpretazione, adeguando in seguito la sua poetica ai modelli iconografici del trionfante gusto déco. La stanza per bambini presentata all’interno della Wolfsoniana fu disegnata intorno al 1921 per un suo compagno d’armi, il Commendator Giani di Busto Arsizio, proprietario di una fabbrica di tessuti. Il disegno dei mobili è lineare e la decorazione appare estremamente unitaria, sia nei tre pannelli dipinti, sia nei singoli elementi d’arredo, tra cui spiccano le due seggioline, la cui forma antropomorfa riproduce un bambino seduto.
Le biennali di Monza e il gusto déco
Al secondo piano riprende la panoramica sull’arte degli anni Venti. È il “déco”, gusto che poi diventa stile ben connotato, a caratterizzare il primo dopoguerra. La prima sala invita il visitatore a un approccio con il déco italiano attraverso le opere esposte alle biennali monzesi. Nel 1923 venne infatti istituita a Monza la Prima Biennale Internazionale delle Arti Decorative allo scopo di rinnovare le arti italiane in un confronto diretto con la produzione internazionale. Suddivisa in sezioni regionali, la mostra presentava diversi saggi, quali, ad esempio, la sala da pranzo di Vittorio Zecchin nella sezione triveneta o i mobili di Ettore Zaccari
Diulgheroff
in quella lombarda che, pur ispirandosi alla tradizione locale, si ricollegano al panorama artistico europeo. Nel 1925 L’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes di Parigi bandisce l’arte rustica e decreta il trionfo dell’Art Déco, la cui denominazione deriva proprio dalla manifestazione parigina. La diffusione di tale gusto in Italia si protrae fino ai primi anni Trenta ed è testimoniata, all’interno della Wolfsoniana, dai ferri battuti di Carlo Rizzarda e dalle ceramiche di Gio Ponti per la Richard Ginori e di Guido Andlovitz per la Società Ceramica Italiana di Laveno.
Il “Novecento”: pittura, scultura, arti decorative
Gli anni Venti vedono anche l’affermarsi dello “stile Novecento” o, meglio, del gusto novecentista, che, partito in pittura con il movimento artistico di Margherita Sarfatti, si affermò anche nell’ambito dell’architettura e delle arti decorative. Le differenti varianti linguistiche di questa tendenza trovano un comune denominatore nel ritorno a un ideale classico che, nelle sue diverse declinazioni e nell’adesione a un clima internazionale di ritorno all’ordine, mantenne tuttavia viva l’eredità delle avanguardie storiche, assorbendo allo stesso tempo gli stimoli delle più innovative impostazioni di ricerca del proprio tempo, in una sorta di equilibrio formale che, all’interno della Wolfsoniana, si ritrova nelle sedie disegnate dall’architetto Marcello Piacentini come dono di nozze per Fiammetta Sarfatti, nel ritratto del critico d’arte Matteo Marangoni, dipinto da Baccio Maria Bacci nel 1919, ne La cena dei rimasti (1924) di Carlo Potente, in Bianca (1924) di Francesco Messina e ne Il bacio (1926) di Alimando Ciampi.
Interni razionalisti
Nella seconda metà degli anni Venti inizia a manifestarsi un nuovo stile, rigoroso e antidecorativo, che propone forme austere e semplificate, in perfetta sintonia con le esigenze della produzione industriale che si stava affermando con forza inarrestabile. È il funzionalismo, in Italia meglio conosciuto come razionalismo. Uno dei primi esempi di architettura razionalista è il Palazzo degli Uffici Gualino a Torino del 1928, progettato da Giuseppe Pagano e Gino Levi Montalcini. Degli arredi disegnati dai due architetti rimane la poltroncina in buxus, presentata nel 1930 alla IV esposizione monzese. Se in quell’occasione si fronteggiano ancora le due tendenze, novecentista e razionalista, con il trasferimento a Milano della V Triennale nel 1933, la seconda risulta vincente nei diversi padiglioni costruiti nel parco attorno al Palazzo dell’Arte di Giovanni Muzio. Nell’elemento abitativo a struttura d’acciaio progettato dagli architetti liguri, Luigi Vietti presenta la sua poltrona in legno lamellare curvato, mentre alla VI Triennale del 1936 Gabriele Mucchi espone le sue sedute in tubolare metallico che Luigi
Piacentini
Carlo Daneri utilizzerà per arredare la Colonia Piaggio di Santo Stefano d’Aveto. Anche il tavolo e le sedie per la sala da pranzo di Villa Bedarida a Livorno, progettati dall’architetto milanese Piero Bottoni nel 1937, ribadiscono, concettualmente e  formalmente, i principi del razionalismo, anche se non destinati, come le sedute di Mucchi, alla produzione seriale.
Futurismo e propaganda
L’ultima sala propone alcuni dei principali motivi iconografici della propaganda promossa dal regime fascista che, in particolare negli anni Trenta, in coincidenza con la pubblicazione del Manifesto dell'aeropittura, si intrecciano strettamente con lo sviluppo delle ricerche futuriste. Gli artisti che aderirono alle varie ramificazioni di quel movimento che, sempre guidato da Filippo Tomaso Marinetti, viene ormai comunemente definito “Secondo Futurismo”, rispecchiavano infatti attraverso le loro opere, spesso connotate da suggestive prospettive di volo, i temi celebrativi di un’arte ufficiale ispirata da esortazioni belliciste o da un diffuso culto della personalità del Duce, come testimoniato dal dipinto Il grande nocchiere (1939) di Ernesto Thayaht, raffigurante Mussolini come una sorta di imponente robot. Se dunque la strategia politica del fascismo riprendeva modelli classici su cui impostare la propria equiparazione con l’impero romano, la storia recente del regime era necessariamente riletta attraverso un linguaggio sintetico e dinamico che si ritrova nelle opere dei futuristi
Verso il design industriale
Il passaggio dalle arti decorative al design industriale, che in Italia si impone definitivamente solo con il secondo dopoguerra, è suggerito all’interno della Wolfsoniana dall’evoluzione dei mezzi di trasporto: dalla bicicletta della ditta Giuseppe Bianchi di Firenze, con i cerchioni delle ruote in legno, simbolo di un’Italia autarchica e ancora sostanzialmente rurale, al Conte di Savoia, simbolo di modernità e eleganza, fiore all’occhiello dell’Italia fascista ansiosa di  affermare il suo primato in ogni campo; dalle forme aerodinamiche della Littorina Fiat alla Vespa 125, prodotta dalla Piaggio nel 1949 e diventata inequivocabilmente l’emblema del nuovo corso intrapreso dal nostro paese.
Momenti della decorazione murale in Italia 1920-1940
Nella sala destinata alle mostre temporanee viene presentata, in occasione dell’inaugurazione, un’interessante selezione di opere connesse alla decorazione pittorica di spazi pubblici e privati nell’Italia degli anni Venti e Trenta. Si comincia con i progetti di Silvio Bicchi per gli affreschi di Villa Magni a Canzo (Como) e quelli di Ferruccio Ferrazzi per il Mausoleo Ottolenghi di Acqui Terme, espressioni di una committenza privata, e con i grandi cartoni di Adolfo De Carolis per i fregi della Sala del Consiglio Provinciale
Rubino
di Arezzo per passare con gli anni Trenta alla grande decorazione degli spazi pubblici, supportata dalle esigenze propagandistiche del regime: i bozzetti di Duilio Cambellotti per i dipinti nella Prefettura di Ragusa; quelli di Antonio Giuseppe Santagata per la vetrata della Casa dei Mutilati di Genova; quelli di Galileo Chini per un ipotetico Palazzo delle Corporazioni; gli inediti disegni di Romano Dazzi per i soffitti della Sala delle Colonie nel Palazzo del Senato; infine quelli di Alberto Salietti per il salone dei ricevimenti e dei congressi del mai realizzato E42 a Roma, la grande esposizione universale fortemente voluta dal regime ma naufragata nell’inferno della Seconda Guerra Mondiale.            
            
La Mitchell Wolfson Jr. Collection di Genova
Si tratta di una collezione eterogenea e originale - soprattutto se si considera il panorama italiano - che si incentra su pittura, scultura, arti decorative e architettura del periodo 1880-1945. È composta da oltre 20.000 oggetti, in prevalenza italiani, ma anche austriaci, ungheresi, tedeschi, realizzati nei materiali più diversi; comprende dipinti, sculture, mobili, arredi completi, vetri, ceramiche, ferri battuti, argenti, disegni di architettura, grafica, manifesti, bozzetti e disegni, libri e riviste, oltre a una enorme quantità di materiale documentario relativo ai primi cinquant'anni del Novecento.
Mitchell Wolfson Jr. da oltre vent'anni raccoglie con passione e curiosità oggetti realizzati nel periodo compreso tra gli ultimi due decenni dell'Ottocento e la fine del secondo conflitto mondiale. Il suo interesse si focalizza non solo sulle valenze estetiche degli oggetti, ma anche sul loro significato: il legame profondo tra politica e arte e le conseguenze che i fattori materiali di cambiamento - mezzi di trasporto, sviluppo tecnologico, pubblicità, ecc. - hanno avuto sulla creazione del mondo moderno.
L'immensa collezione di Mitchell Wolfson è divisa tra Miami Beach - dove si trova la maggior parte del materiale americano, inglese, olandese, austriaco, tedesco, ma vi sono ben rappresentati anche l'Italia e alcuni fenomeni artistici dell'Europa Orientale - e Genova.
Per quanto riguarda gli artisti, la collezione genovese comprende tra le altre opere:
mobili di Carlo Bugatti, Fabio e Alberto Fabbi, Bottega Coppedè, Luigi Fontana, Carlo Zen, Ernesto Basile, Gaspar Homar, Alberto Issel, Ugo Ceruti, Fratelli Zatti, Joseph Maria Olbrich, Ödön Faragò, Leopold Bauer, Antonio Rubino, Vittorio Zecchin, Ettore Zaccari, Duilio Cambellotti, Bruno Paul, Marcello Piacentini, Vittorio Grassi, Piero Bottoni, Luigi Vietti, Giuseppe Pagano e Gino Levi Montalcini;
dipinti di Giuseppe Cominetti, Plinio Nomellini, SextoCanegallo, Adolfo De Carolis, Baccio Maria Bacci, Cagnaccio di San Pietro, Carlo Potente, Ferruccio Ferrazzi, Antonio Giuseppe Santagata, Romano Dazzi, Enrico Prampolini, Gerardo Dottori, Cesare Andreoni, Renato Di Bosso, Ernesto Thayaht, Verossì;
sculture di Leonardo Bistolfi, Eugenio Baroni, Edoardo De Albertis, Arrigo Minerbi, Pavel Troubetzkoy, Alimondo Ciampi, Edoardo Alfieri, Carlo Pizzi, Sirio ofanari, Giacomo Cometti;
manifesti di Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Giovanni Greppi, Aroldo Bonzagni, Plinio Codognato, Gino Boccasile, Plinio Nomellini, Mario Marchi;
ceramiche di Galileo Chini, Guido Andlovitz, Ferruccio Palazzi, Melchiorre Melis, Cantagalli, Richard Ginori, Rometti, Lenci, MGA, SPICA, Jean Barol, Ceramic Art Company, KPM;
vetri di Beltrami, Vittorio Zecchin, Salviati, Dino Martens, Venini, WMF, Timo Sarpaneva, Fontana Arte, Brusotti;
ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli, Carlo Rizzarda, Umberto Bellotto;
tappeti e tessuti di Giò Ponti, Herta Ottolenghi Wedekind, Antonio Rubino, Duilio Cambellotti, Fortunato Depero, Emanuele Rambaldi, Emilio Scanavino, Enrico Paulucci, Flavio Costantini, Oscar e Fausto Saccorotti, Emanuele Luzzati, Giò e Arnaldo Pomodoro, Eugenio Carmi;  
smalti di Paolo de Poli;
progetti architettonici di Gino e Adolfo Coppedè, Aldo Avati, Vincenzo Fasolo, Ulisse Stacchini, Virgilio Marchi, Vittorio Cafiero, Armando Brasini, Michele Busiri Vici, Marcello Piacentini; Tra gli archivi, occupano un posto privilegiato gli archivi di architetti, alcuni dei quali attivi soprattutto in ambito locale, come Beniamino Bellati, Giuseppe Crosa di Vergagni, Pietro e Alfredo Fineschi, Eugenio Fuselli, ma anche Attilio Calzavara, Renato Corte, Agostino Jaccuzzi, Leonardo Paterna Baldizzi. Di grande interesse i fondi di artisti, in particolare quello di Duilio Cambellotti, relativo alle decorazioni degli interni del Palazzo dell’Acquedotto Pugliese di Bari e del Palazzo della Prefettura di Ragusa; di Giacomo Cometti, esponente di primo piano del liberty italiano nel settore delle arti decorative; dei pittori Alberto Salietti e Demetrio Ghiringhelli; di uno dei “maestri” italiani del ferro battuto, il veneziano Umberto Bellotto. Meritano di essere ricordati inoltre quello dell’Ansaldo contenente progetti per navi a vapore e transatlantici e molto materiale fotografico; quello delle Officine Elettriche Genovesi con disegni e planimetrie per l'illuminazione stradale e la rete tramviaria cittadina; quello del Ministro Raffaello Riccardi, catalogato grazie a una borsa di studio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; quello ricchissimo de “L’Azione Coloniale”, periodico pubblicato a Roma e Venezia tra il 1931 e il 1944. Infine vanno menzionati alcuni archivi in comodato, tra cui quello della MITA, la Manifattura Italiana Tappeti Artistici, che ebbe sede a Nervi tra il 1927 e i primi anni Settanta grazie alla sensibilità artistica e alle capacità imprenditoriali di MarioAlberto Ponis,  che comprende in particolare disegni per tappeti, arazzi e stoffe - inclusi prototipi e campioni - di diversi artisti e architetti di primo piano, tra cui Marco Biassoni, Rocco Borella, Paolo Buffa, Tomaso Buzzi, Antonia Campi, Eugenio Carmi, Enrico Ciuti, Flavio Costantini, Fortunato Depero, Francesco Di Cocco, Giorgio Host Ivessich, Mario Labò, Emilio Lancia, Emanuele Luzzati, Herta Ottolenghi Wedekind, Riccardo Manzi, Arturo Martini, Enrico Paulucci, Arnaldo e Giò Pomodoro, Gio Ponti, Dino Predonzani, Gustavo Pulitzer, Emanuele Rambaldi, Paolo Stamaty Rodocanachi, Oscar e Fausto Saccorotti, Emilio Scanavino, Mario Sironi, Ettore Sottsass Jr., Luigi Vietti, Gigiotti Zanini.
La biblioteca, in stretta relazione tematica con la Collezione, riunisce oltre 7.000 volumi. Una vasta sezione è dedicata al movimento futurista: oltre a possedere quasi tutti i manifesti, conserva preziosi manoscritti, riviste, cartoline, fotografie, brochure e libri. Particolarmente significative sono le sezioni dedicate alle arti decorative, al design, all’architettura e all’urbanistica, come pure quelle relative ai mezzi di trasporto, alle esposizioni internazionali e alla propaganda politica.

Mitchell Wolfson Jr.
“Si è più responsabili di ciò che si dona che di ciò che si eredita … e quello che si fa, ci definisce nei confronti degli altri e di noi stessi”
Mitchell Wolfson Jr.
Dopo decenni trascorsi a collezionare con passione e accanimento in ogni angolo del mondo, Mitchell Wolfson Jr. fondò a Miami, nel 1986, The Wolfsonian.
La decisione di fondare un’istituzione dedicata alla ricerca segnò l’inizio di una nuova fase – certamente non definitiva – nella sua vita: la missione di sostenere e promuovere lo studio, la conservazione e la valorizzazione delle arti decorative e di propaganda e del design.
Prima di istituire la Wolfsonian, Mitchell “Micky” Wolfson Jr. aveva accumulato più di centomila oggetti e opere d’arte realizzate tra il 1880 e il 1945, principalmente americane, inglesi, olandesi, tedesche e italiane. Quando iniziò a raccogliere questi materiali, c’era un interesse limitato per tali forme d’arte tra i collezionisti italiani e ciò gli permise di mettere insieme una sorprendente quantità di mobili, arredi completi, sculture, dipinti, libri, grafica e archivi collegati a quel periodo caratterizzato da enormi cambiamenti a livello sociale, politico e tecnologico che si rifletterono nell’arte e nella letteratura.
Nato in Florida, laureatosi alla Princeton University, specializzatosi presso la Johns Hopkins University, Micky Wolfson iniziò la carriera diplomatica a Washington e Bologna, prima di essere trasferito a Genova. Il capoluogo ligure lo affascinò a tal punto che decise di acquistarvi una casa e di trascorrervi parte del suo tempo, oltre a mantenervi unaparte della sua collezione a ad aprirvi una sede della Wolfsonian. 
Nel frattempo la collezione era cresciuta rapidamente e le opere dovevano trovare una casa. A Miami Beach acquistò il Washington Storage Building, un edificio in stile moresco all’interno del famoso Art Deco District, ma non era ancora abbastanza. Tra il 1986 e il 1995 l’edifico venne restaurato, ampliato e trasformato in sede espositiva e centro di ricerca. A Genova acquistò il Castello Mackenzie, capolavoro di Gino Coppedé, e iniziò a restaurarlo come sede della sua collezione. Tramontato questo progetto, l’intera collezione è conservata, insieme alla biblioteca e agli archivi, in un deposito costruito negli anni Trenta sulle alture della città. Tale edificio ospita la collezione e il centro di ricerca aperto su appuntamento a studenti e studiosi, cui si affiancherà la sede espositiva, Wolfsoniana, nei parchi di Nervi.
Nel 1997 Wolfson ha donato la collezione e il museo di Miami alla Florida International University e la Wolfsonian è diventata un dipartimento di tale università. Nel 1999 ha affidato la collezione genovese alla Fondazione Regionale Cristoforo Colombo che la gestisce e amministra grazie al contributo della Regione Liguria e del Comune di Genova.
Sempre nel tentativo di portare a termine la sua missione, nel 1986 Wolfson ha dato vita a una pubblicazione unica nel suo genere: “The Journal of Decorative and Propaganda Arts”. La rivista, ormai chiamata familiarmente DAPA, ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi internazionali ed è ora pubblicata dalla Wolfsonian - Florida International University. La pubblicazione è dedicata alle arti decorative e di propaganda con numeri monografici su Giappone, Russia, Argentina,  Jugoslavia, Brasile, Cuba e Florida.
Attualmente Wolfson è il Presidente del Consiglio di amministrazione della Wolfsonian - Florida International University ed è uno dei Trustees di tale università. È consigliere di numerose organizzazioni benefiche e filantropiche negli Stati Uniti e all’estero, con particolare attenzione ai programmi educativi: Miami Dade Community College, Princeton University, Johns Hopkins University e Audobon House and Gardens a Key West in Florida.
Tra le sue passioni, diventate anche tematiche della sua collezione, ricordiamo l’evoluzione dei mezzi di trasporto tra Ottocento e Novecento che lo ha portato ad acquistare una littorina FIAT del 1938 che, dopo un impegnativo intervento di restauro, ha portato negli Stati Uniti per utilizzarla sulle vecchie strade ferrate.

Colossus di Michele Oka Doner:
una scultura fatta espressamente per la Wolfsoniana di Genova
“… Egli si è posto a cavaliere di questo stretto mondo,
come un colosso …”
William Shakespeare, Giulio Cesare, atto I, scena II
Colossus, in cera e acciaio, è un ritratto agrandezza naturale di Mitchell Wolfson Jr., il fondatore della Wolfsonian – Florida International University a Miami Beach, Florida, e della Wolfsoniana a Genova. Come un “colosso”, “Micky” si muove da un parte all’altra del globo alla ricerca degli oltre 100.000 oggetti e opere che formano la sua collezione, difendendo e preservando la nostra cultura per le generazioni future.
Per Colossus, una scultura ricoperta di cera, mi sono ispirata all’artista Medardo Rosso, la cui vita e opera corrono in qualche maniera parallele al periodo della collezione di Micky Wolfson, che abbraccia i decenni compresi tra il 1880 e la fine della Seconda Guerra Mondiale. Rosso lavorò il gesso di Parigi, ma Colossus è strutturalmente moderno: una cornice di acciaio crea l’armatura per un ritratto che comprende corpo e anima.
Michele Oka Doner, settembre 2005

Michele Oka Doner
Nata e cresciuta a Miami Beach, Florida, Michele Oka Doner è un’artista famosa a livello internazionale dalla carriera quarantennale. La sua vocazione artistica abbraccia ambiti diversi: installazioni in spazi pubblici, sculture, mobili, gioielli e oggetti di design. È famosa soprattutto per le sue numerose opere destinate a edifici pubblici, in particolare quelle per la stazione della metropolitana di Herald Square a New York e l’Aeroporto Internazionale di Miami. Sia nei progetti architettonici di ampio respiro sia negli oggetti di dimensione più intima, i suoi lavori sono caratterizzati da un lungo studio e una costante passione per il mondo naturale, dal quale deriva il suo particolare vocabolario espressivo. Michele Oka Doner è rappresentata dalla Marlborough Gallery di New York. Numerosi i volumi che sono stati scritti su di lei, tra cui Michele Oka Doner: Natural Seduction, Hudson Hills Press (2003) e Michele Oka Doner: Workbook, OKA Press (2004). Articoli e recensioni sul suo lavoro sono apparsi su “The New York Times”, “The Washington Post”, “The Miami Herald”, “ArtNews”, “Sculpture magazine” e in molte altre pubblicazioni sia negli Stati Uniti sia all’estero. Lavora a New York e a Miami Beach.
 






2005-11-28


   
 

 

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