CORRADO CAGLI
PER IL MEDITERRANEO DEI POPOLI
 







di Angelo Calabrese




Corrado Cagli
Impronte, 1950
Olio su carta intelata cm. 70 x 115

Se d’immutabile c’è solo il mutamento, donde la sapienza della vita? Agostino gli aveva suggerito:”noti foras ire…”. Illuminarsi al mondo dell’esperienza esistenziale, quotidiano mistero assimilabile a quello d’ogni giorno dell’universo in metamorfosi, gli parve approdo alla saggezza, talvolta in piccoletta barca che attinge la riva all’avventura, talvolta nel dubbio del neofita che rinasce da iniziato, talvolta proponendosi come verità in cammino, fine e mezzo della ricerca.
Corrado Cagli, gigante d’umanità senza pregiudizi, giostrava con magistrale creatività con gli strumenti esterni dell’arte; i sensi, la ragione, L’immaginazione, l’intelletto, erano i temprati attrezzi che gli consentivano ardite prove non delimitabili: erano animate dal senso del primordio, dal vero da sempre che s’annida e splende nel vivo d’ogni naturale e necessaria mutazione.
I suoi percorsi, coerenti strategie del viaggio alla Dimensione sulle rotte verso Utopia, in navigazione fortunata o funestata da devastanti fortunali, hanno sempre approdi alla speranza. Al navigante deluso, appare prima o poi la meraviglia dell’isola dov’è ottimo sostare; sono lontane e fascinose le terre di agatopia, allettanti, buone per viverci, ma a Ulisse è solo concesso di prolungare il soggiorno: navigare nocesse; La vita è coscienza.
Quando il viaggio chiama si fa pensoso il giudizio; francescana è la giustificazione degli uomini disorientati ai rapidi tramonti e ai lunghi addii, quelli che persistono alle volte epocali. Mentre però il Maestro è prodigo di comprensione per chi non è appagato nel sogno e nel bisogno, per gli umili al cui coloro unisce la sua voce esigendo giustizia, diventa ferocemente bruniano contro la protervia della supponenza.
“Quando gli ignobili sono uguali ai nobili, succede una bestiale ugualità”, tuona Giordano Bruno, e Cagli ben distingue la violenza ambiziosa dalla dignità del ruolo.
E’ il viaggio che persuade Cagli alle logiche multiple, è il suo rispetto per le diversità che gli consente di spaziare tra gli archetipi collettivi: il riferimento è da dove comincia il viaggio alla speranza, per le vie dell’incertezza come tra labirinti di Psiche.
Cagli aveva chiaro il senso del viaggio: navigare nocesse, ma un bacino marittimo circoscritto da terre è mediterraneo alla stessa stregua del più vasto oceano che sempre e fuor di dubbio è compreso nell’abbraccio di coste che l’umano ardire raccorda in comunicazione. La distanza giustifica e valorizza le differenza; la saggezza, proprio perché non ha barriere pregiudiziali, s’illumina al valore che va ben oltre quello dei beni di consumo: si conferma pensosa delle sorti varie e diverse, ama le tradizioni e i grandi miti da cui l’umanità trae le radici.
Precocemente Cagli era vate del Mediterraneo dei popoli. Sensibile e tenace difensore della libertà e della democrazia, esule, guerriero per la dignità della persona umana e i suoi diritti, viaggiatore sempre, dovunque l’ansia creativa s’avventurasse, poteva consentirsi di spaziare oltre le risse e le aberrazioni ideologiche perché all’età di vent’anni si era illuminato alla modernità del mito.
Moderno è ciò che vale ora, l’avverbio latino “modo” vale a dire: al presente, adesso, e lo scavo profondo nel presente che s’infutura scopre ineluttabilmente il primordio; Cagli si fa interprete della Tradizione del Mediterraneo dei popoli la cui vicenda mitico-storica è ricca di fermenti, di alterne sorti, di stupori alle rive oceaniche dove Alessandro sconta la gloria.
Il mito nella grande narrazione classica affascina per la dimensione corale della comunicazione; Cagli carpisce quel segreto, lo verifica negli affreschi, nei monumenti, nelle scene teatrali, orchestrate con impareggiabile immedesimazione, con quella visione eroica che la nuda e perenne classicità esige a misura del patos, dell’eros, del sogno, dell’insofferenza al perimetro.
Mi è cara una
Corrado Cagli
metafora, esplicativa in piatto, una maiolica, esemplare unico, del 1928: un fitto tramaglio, che dice nebuloso irretimento per tutti e quattro i punti cardinali, è sempre la natura avida di conoscenza a dar fiato alla spirituale volontà di farsi varco e diradare, a tutte le latitudini, tenebre e crepuscoli.
Una solenne lezione di virtù prometeica per tutte le rotte, speciale le più intricate nel vasto Mediterraneo dei popoli.
Se Cagli fu protagonista del risveglio dell’arte figurativa italiana, partendo da Roma, se, come scrive Guttuso nel 1951, “svegliò i morti in quegli anni, dal ’32 al ’38 all’incirca, e non ci furono giovani di qualche talento che, in qualche modo non si unissero a Lui: da Capogrossi a Purificato, a Leoncillo, a Mirko, a Ziveri, a De Libero, ad Antonello Trombadori, a Franchina, a Birolli, a Tolomea, a me stesso. E faccio nomi disparati di poeti e di artisti, i quali ciascuno per la sua strada hanno poi fatto il loro cammino….”, Le ragioni erano ben più complesse di quanto potessero apparire agli entusiasmi dei consensi. Cagli era davvero coraggioso, leale e polemico; prediligeva il contrasto delle idee che si chiarificano proprio dove le resistenza si fanno ostili. Cagli avanzava nelle idee, e prendeva le distanze, proprio verificando a fondo quanto aveva intuito e di cui veniva convincendosi: spietatamente sino in fondo e con autentico connaturato fervore attivava un processo di auto-identificazione nella logica instabile della molteplicità.
Da viaggiatore e da esule, in tragiche e fecondissime vicende di attraversamenti di feroci scompensi, tra estreme contraddizioni e ambiguità ebbe poi modo di giustificare le scelte che impegnavano al superamento della cultura nella civiltà: il mondo, l’universo come casa, la crescita interiore come confronto aperto alla commensurabilità, le logiche multiple per essere nello stesso tempo estraneo e partecipe a realtà differenti.
Precocemente, e in anticipo sui tempi, questo gigante s’era fatto esperto d’universalismo: non poteva che diventare scomodi non solo per l’arroganza che sanciva superiorità assolute, orgogli di razze in primis, ma anche per chi lo avrebbe voluto ben inquadrato in ideologie connotative.
Dalla giustizia distanza, vale a dire dalla svolta epocale in cui avvertiamo più accelerato il processo di globale trasformazione e di sradicamento, si chiarifica il viaggio del Maestro nell’umana esperienza dovunque gli archetipi vivono nella modernità, nell’antico valore che si innova arricchendosi di spazio che comunica: solo così la cultura transita e sostanzia la civiltà in cammino.
Con Cagli si naviga nei mari del mondo, all’avventura, all’incontro con il nuovo, l’altro, che pure incontro ci viene: avventura, è somma di quanto sta per farci nuovi nella conoscenza: c’è il rischio; ma l’intelligenza s’accende apprendendo a pesare, a viaggiare, attraverso l’incertezza: è il metodo proposto dall’arte e imposto alle nostre esigenza di vita-sopravvivenza.
Viaggiare, viam agere, fare strada, proporsi tra distanze misurate, verso terre sconosciute, travalicare elementi oltre le rive delle certezze sfidando il mare, progettare e realizzare, liberare pensieri, stupirsi come interrogativo tra l’irremeabile passato che nel mistero si perde e il futuro che ineluttabilmente si perde nel mistero: affrettarsi a superare distanze con l’ausilio della tecnologia che sa gareggiare in velocità, vuol sempre dire commisurarsi, nel progresso e nell’innovazione, con il primordio. E’ dal riferimento mitico il percorso della inevitabilmente evoluta ritualizzazione.
Conta la prima nave che prese il mare, è degli Argonauti la prima conquista che li consacra eroi pronti a partire per altre avventure, perché l’ebrezza della conoscenza non è mai appagata e perché quale che sia il viaggio accelera progressi metamorfici: chi torna è ben diverso da quello che era accingendosi a partire.
Avvertono il mutamento quelli che salutarono la vela restando sul molo,
Corrado Cagli
Davide e Golia,1937
- olio su tavola, cm 122 x 76 - Roma, Città del Vaticano
animati da vari sentimenti, tutti elementari e ricorrenti ad ogni arrivederci. Cagli per il primordio di un viaggio per mare affresco nel 1932 una riva brulla, l’acqua che manzonianamente giace liscia e piana, uomini nudi, arcaiche vesti, cavalli senza sella, forti, conformati alle esigenze dei forti che li amano e confida no nella loro generosa risposta. Chi ama il viaggio terrestre volge le spalle al mare e cinge il collo del suo destriero.
Siede chi col pensiero segue la vela e ne depreca i rischi; è in groppa chi vuol vederla lontano: chi chiama e chi preferisce ascoltare le sue voci interiori: è la partenza. Il ritorno, anche se fino all’ancoraggio si paventa che qualcuno manchi all’appello, vivifica di un comune offlato l’accoglienza: le varie tensioni convergono al festoso saluto. Così è da sempre e per sempre. Alla stessa stregua fervono dovunque i preparativi per la guerra: siepi di scudi, baluardi, frementi cavalli, corazze, madri austere nel loro attonito sgomento, bambini coinvolti nell’animosità imitativa, l’abbraccio struggente che mette alla prova, sempre, Ettore e Andromaca, l’omerico modello della coppia perfetta che sa l’amore, il dovere, il generoso orgoglio del padre consapevole dei suoi meriti e della dignità in cui spera d’essere superato dal figlio.
Sono archetipi che si perpetuano mutando le vesti e le progressive sorti degli uomini: Cagli li propone, nel 1933, nel murale, purtroppo distrutto, del vestibolo della V Triennale di Milano.
Si tratta di un discorso che congiunga le ragioni creative agli strumenti che nella pregnanza originaria consentono a chi li usa correttamente, attraverso quelli crescendo in umana consapevolezza, di esserci, nel presente che s’infutura, con autonomia progettuale e con le illuminanti intuizioni che alimentano il progetto in itinere.
Il primordio come sostanza dell’evoluzione di un’idea: dalla originaria partenza correggendo la rotta, rinnovando gli approdi, inventando soluzioni aperte alla contemporaneità che rifiuta certezze, per cui l’artista ferma l’attimo di testimonianza, consapevole d’essere presente andando verso illuminazioni intuitive e nuove strade, dunque, con riferimenti ineludibili, validi ad affrontare ipotesi aperte: il primordio è libertà, apre vie di ricerca; mal si concilia con l’ideologia che esista a ricorrere alla mistificazione per giustificare nel passato, nella storia riletta a proprio uso e consumo, una eredità da affidare a nuovi destini o maturata e finalmente proposta nell’epifania del compimento che ha alle spalle un percorso di continuità.
L’ideologia ama l’intervento provvidenziale alla stregua della proclamata necessità di rispondere alle ragioni del potere. Se un pensatore che ama la libertà della ricerca avverte tutta l’ostilità di chi domina i condizionati e i suggestionabili, oppure tanto più evidente il disagio, del genio che, in nome della loro religiosità e dell’etività che concilia scienza e conoscenza, propone orizzonti multipli e logiche eretiche per il potere che esige alla catena la critica, al bando le diversità, in gabbia la diffusione delle idee non allineate.
Nel senso del primordio Cagli si ritrovava con l’antico cultore di protettori divini sulle rovine dei templi che, nei secoli, furono misura di civiltà. Era un colloquio con la testimonianza di un transito che veniva da lontano e nella Natura morta e s’era illuso di non passare o di durare almeno più delle precedenti modalità nelle evoluzioni dei culti.
Poco interessa se Paestum fu colonia di Sibari col nome di Poseidonia o se furono i coloni greci a fondarla nel VII secolo ospitandovi, poi, sibariti in emigrazione.
Contano invece la feroce conquista dei Lucani, tra il 438 e il 424 a.C., per cui i cittadini ogni anno ricordavano la perduta libertà con cerimonie di lutto, il dominio romano dal 237 a.C., l’insediamento di una colonia latina, la distruzione dovuta ai Saraceni, nel nono secolo.
Poseidonia, Paistom, Paetum: la Porta della Giustizia
Corrado Cagli
Ritratto di Carlo Levi - 1953
Olio su carta intelata, cm 59x48
e il Foro si conservano i templi dedicati al culto di Era, quelli detti Basilica e di Nettuno. Cagli li dipinge nel 1932, due anni prima che iniziassero i lavori che hanno poi restituito alla luce l’intero circuito delle mura, cogliendo appieno quei maestosi silenzi, quelle vibrazioni di luci che animano cielo, colonne, pietre che dicono strade di pellegrini, anonimi frammenti tra i quali alberi esili segnalano da dove spiri il vento e quale sia il varco al mare verso il quale di diluisce quell’atmosfera addensata.
Dal presente, dunque, per andare più indietro e chiarire alla conoscenza diretta la vita che s’infutura.
In questo senso, con sapore di sospeso vaticinio che è frutto di sapienza, scienza della vita, si interpreta lo stupore di Teseo emerso alla luce, signore di un ramo divelto, ancora incredulo d’aver saputo sconfiggere il Minotauro: è l’eroe che offre il testimone a chi dal suo coraggio prende le mosse per più ardue imprese?
Orfeo”, del medesimo anno, con maggiore intensità e pregnanza propone il forte enigma del musico per eccellenza, del cantore che al suono della lira e della cetra chiama gli elementi scatenanti all’armonia, li placa, smuove le pietre, vince le forze brute. Orfeo ammalia, annulla le resistenze del cosmo e della psiche, sa lottare il male, è la sua vocazione, è insufficiente a vincerlo; è metaforicamente l’artista, eccellente quanto si voglia, che tuttavia è incapace di superare la sua insufficienza. Orfeo è ogni uomo che viola l’interdetto, osa guardare, esige di vedere l’invisibile per cui è dilaniato dalla inconsolabilità. Un buon mito per il Mediterraneo dei popoli per il quale mi piace pensare che Orfeo, dilacerato dal proprio dolore, rifiuti la sua opera di intermediario tra luce e tenebre; è sordo alle voci della menadi che, invasate dal dio, feroci nel corteo di Dionisio, ricorrono alle virtù dell’arte per ritrovarsi in armonia con se stesse. Al potere divino l’umano volersi arrendere; all’uomo di talento che rifiuta umanità difficilmente si perdona.
Dall’archetipo all’enigma, dal primordio all’invenzione creativa: che accade allorché sono i marinai a catturare una Sirena per esporla, alla riva del ritorno, agli occhi curiosi di chi ne ha sentito favoleggiare? Nell’onda, a nuoto, o tra gli scogli dove l’altra natura è ben celata una Sirena incanta l’uomo di mare.
Il canto che richiama gli illusi alla bellezza ingannatrice, che irretisce e uccide, si muta nella voce che supplica di risparmiare il ludibrio al prodigio che pur partecipando a due diversi mondi della natura, a nessuno dei due appartiene totalmente. Questa volta l’uomo avvolto nella
spirale della rete si è salvato: la “Sirena” che il Maestro ha dipinto nel 1933, ricorda molto da vicino la figura di Ifigenia che sta per essere sacrificata. Il gesto supplice è proprio quello raffigurato nel noto affresco pompeiano; solo che allo svelamento, che appare quasi una profanazione, non soccorre nessuna divinità; Artemide è Lontana; il diverso, il monstrum, il prodigio di natura è innocente e paga il fio. E’ stato sempre così: se Cagli propone un puntuale riferimento alla figlia di Agamennone, vuole proprio richiamare l’attenzione sull’innocenza che diventa capro espiatorio.
Enigmatico è anche l’attonito incedere di “Edipo a Tebe”, un’altra opera del 1933, anno di particolare attenzione alla rilettura di miti nei quali l’essere umano è posto di fronte ad oscuri interrogativi. Il giovane eroe che ha liberato la città dalla sfinge è turbato da inquieti presagi: un altro innocente segnato dal fato, empio senza volontaria colpa, s’avvia alla sventura, la più tragica mai vissuta a memodia d’uomo. Perché proprio a lui, condannato alla morte prima della nascita dall’oracolo inascoltato, di qui l’ereditata colpa, è concesso di spiegare i sensi oscuri della sfinge per poi uccidere lo sconosciuto suo padre, spostare la propria madre con involontario incesto, mettere al mondo dei figli a loro volta fatalmente empi appenaconcepiti? Cagli s’interroga alla stregua di tutti gli uomini di qualsiasi razza, allorché avvertono il fatale inganno di chi non esorcizza il fatale destino proclamandosi figlio della fortuna: le nebbie del mistero non si diradano neppure per i figli dell’esperta ragione.
Quando l’arte investiga denominatori comuni nella vita di genti che, a distanze estreme, perpetuano riti elementari della medesima valenza, scopre che i neofiti sono nudi alla purificazione che li propone rinati a nuova vita.
Scopre che ovunque le Chimere, velocissime e mostruose come le nubi temporalesche, minacciano stragi feroci: mai fidarsi delle loro mutevolissime forme.
Sul versante dell’umanità planetaria che ha comuni sogni e bisogni e che subisce gli effetti negativi di fanatismi superstiziosi, ostinati alle perpetue separazioni da cui traggono profitto, l’arte di Corrado Cagli ritrova gli uomini al lavoro quotidiano, nei giorni di tutti e sulle orme degli eroi che già furono di riferimento per gli antichi.
Accanto a Teseo, un soggetto più volte investigato, a Davide a Golia, a Prometeo, a Narciso, ci sono i pescatori, i contadini i picciotti, i giovani che approdano alle soglie delle responsabilità. E’ un universo che spesso risponde alla diretta identificazione,, ma altre volte si ammanta del velo dell’allegoria. Giustificano queste scelte le stesse date dei disegni che hanno sicure allusioni politiche. Sono del 1940 le allegorie dell’Arciere, ferito a sua volta, forse da se stesso; della Semina, in cui demoni o satiri si servono degli uomini come aratri e la morte copre con i suoi semi maligni quelli della vita ignara della sua presenza minacciosa e beffarda; del Pesce che vola, con chiara allusione ai trionfalismi e alla credulità popolare; della Tirannide, che nega i passi, l’azione, il respiro; del trionfi, dichiaratamente espressiva. “La corona di spine” e “La malinconia” sono conseguenze logiche di una realtà che avrà tragico riscontro nei disegni a olio su carta dedicati a Cornelimunster, a Buchenwald, datati 1944 e 1945, in cui la ferocia dello sterminio si specchia nella miseria dei corpi torturati sperperati dopo la sottratta dignità.
Ai popoli del mondo il grande Maestro ricorda gli effetti della furia degli elementi, propone le drammatiche immagini de “La rotta del Po” perché non c’è luogo che non abbia sperimentato naturali disastri: in quelli le lingue più diverse non possono considerarsi estranee.
Non lo sono neppure quando si ricorre alla rivolta rivendicando diritti e giustizia come la “Gente a Partitico” o “Sulla pietra di Barbato”.
Se non bastassero queste considerazioni a confermare Cagli attualissimo interprete del Mediterraneo dei popoli, strenuo assertore della libertà che si fonda sul principio ontologico di persona come autonomia, da cui si evolve nella storia il bisogno di emancipazione dell’umanità in un processo metamorfico comunque inarrestabile, perché le cose mutano ineluttabilmente, varrebbero le sue particolari attenzioni all’opera di Ovidio.
Al Omero, Virgilio, Erasmo, Foscolo, i grandi pensatori e i Geni della conoscenza scientifica, il Maestro aggiunge quello di acuto interprete delle metamorfosi ovidiane. E’ Ovidio che ispira i transiti delle energie multiple che, ad eco, si amplificano
intorno alla forma che le eroga e alla quale convergono.
E’ Ovidio che poeticamente chiarifica mirabilia/mutabilia, che nulla c’è di esterno sotto il sole, contraddicendo il sogno ambizioso di Augusto, quello di Roma cui è affidato il perpetuo dominio nei secoli a venire. Orazio è consapevole che il transito umano è inevitabile e che le ore trasformano le sembianze delle cose, tuttavia gode al pensiero di Roma destinata a durare ben più oltre la poesia che egli stesso ha creato e che è monumento più duraturo del bronzo. Ovidio è l’uomo che cerca “ricette” per vivere bene e far durare negli anni i doni, della bella giovinezza.
Non si conciliava con il sogno d’eternità del’impero di Augusto laconsapevolezza Ovidiana scontata con l’esilio.
Fu questo il vero errore che lo costrinse a errare, all’esilio, a Tomi?Io credo proprio di si e forse lo intuì anche Cagli dalla cui lezione mi viene questo spunto interpretativo.
Vate del tempo dei celeri mutamenti, il Maestro non finisce di sorprendersi: è veramente con noi nel tempo dell’incertezza che non rinuncia alle misure umane e con quegli argomenti progetta per il tempo della continuità.







2005-06-30


   
 

 

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