3. Metafisica e Ri-nascimento: verso l’Infinito Alla fine degli anni 80’ e negli anni 90’ l’opera dell’artista supera i registri ironico, umoristico ed esoterico per evolvere più decisamente verso una fase metafisica, le cui premesse tuttavia erano implicite anche negli anni precedenti. L’operazione di smontaggio, che prima si presentava soprattutto come una provocazione concettuale finalizzata a scardinare e destrutturare la concezione comune e dominante del tempo, diventa invece, nell’ultima fase, acuta riflessione filosofica. La rivisitazione surreale di opere del passato, dal Rinascimento alla scuola di Fontainebleau, non è riconducibile a un approccio metalinguistico, frequente nell’arte contemporanea, di riflessione dell’arte su sé stessa, ma costituisce piuttosto lo spunto per riflettere in chiave metafisica sulla Storia e sul tempo. Tutte le opere del periodo presentano una struttura a tre strati, ciascuno dei quali rappresenta un diverso stadio del tempo. Il primo strato, con la sua materia seducente, le sue trine e le passamanerie, cattura il tempo presente legato alla pulsione corporea, il secondo strato sviluppa il tempo della memoria, anche intesa in senso storico, e della rappresentazione, il terzo strato trascina i primi due e l’attenzione dello spettatore verso l’incombenza di un fondo in cui la direzione del tempo cronologico (kρόνος) è sospesa, ed evoca pertanto il concetto di αiών proprio della tradizione cosmologica greca e del pensiero filosofico occidentale, da Platone, agli Stoici a Plotino. L’accostamento di reperti estetici appartenenti a epoche diverse assume quindi nelle nuove opere il significato letterale di evocare una sorta di simultaneismo temporale, operazione concettualmente parallela al trattamento che il Picasso cubista dedica allo spazio. Il passaggio dello spettatore attraverso i tre strati segna, nelle intenzioni dell’artista, il percorso da una dimensione corporea verso una coscienza cosmica. In questo senso Fergola opera un vero e proprio capovolgimento nella concezione e nella fruizione dell’opera, invertendo il teatro della rappresentazione e realizzando uno scambio di ruoli tra il riguardante e l’opera. Nelle fonti iconografiche cui Fergola si ispira, prevalentemente la ritrattistica rinascimentale, il nucleo significante del dipinto è la rappresentazione di un’epoca storica o dei caratteri individuali dei suoi personaggi, che il riguardante ha il ruolo di inquadrare e mettere concettualmente in prospettiva. Viceversa, nelle rivisitazioni fergoliane la prospettiva storica, privata com’è dei riferimenti iconici essenziali e delle coordinate temporali, sprofonda, si inabissa nell’infinito e nel Tempo in sé. Non è più solo lo spettatore nel ruolo di soggetto a inquadrare la scena della rappresentazione, ma è l’opera stessa che inquadra il mondo contingente, inteso come determinazione oggettiva prigioniera nella forma del tempo cronologico. Lo sguardo dello spettatore, rapito e come risucchiato dal fondo, è spinto a identificarsi piuttosto con l’occhio dell’infinito che fluttua nello spazio del dipinto e che osserva, al di qua della tela, la scena dell’esistenza. L’infinito ci guarda. Foucault ha dimostrato in pagine mirabili come l’artista prolunghi al di qua della tela la scena della rappresentazione verso lo spettatore virtuale, sviluppando il tema della reciprocità dello sguardo nel quadro di Velasquez attraverso la sua celebre analisi dell’opera Las Meninas. Nei dipinti di Fergola, a partire dall’opera The Frog analizzata in precedenza, il tema del guardare viene sviluppato in una nuova prospettiva. L’artista moltiplica la funzione dello sguardo, perché lo spettatore è il soggetto riguardante e anche l’oggetto esterno della rappresentazione, inoltre ne può costituire insieme il punto di vista interno, ma solo se riesce a mutare il piano della visione, a percepire con l’occhio dell’infinito. Lo spettatore è dunque frammentato, è colui che guarda l’opera, che ne subisce lo sguardo, ma attraverso l’opera stessa passa a sua volta in una superiore potenza di visione, per guardare con occhi nuovi il sé e l’esistenza. Inoltre cambia lo statuto delle figure. Mentre nelle opere degli anni ’60 e ‘70 le enigmatiche figure senza volto di Fergola erano simulacri che si limitavano a interrogare kρόνος, inteso come mera successione di presenti o di epoche, riguardo al proprio statuto in relazione all’infinito, nelle opere dell’ultimo periodo le forme vuote sono segni di una molteplicità in divenire, si stagliano solide e paradossalmente vive sulla campitura e assorbono l’eternità del tempo, un po’ come i tagli o i buchi di Fontana assorbono lo spazio infinito. Le figure divengono quindi esse stesse Universo, avrebbe detto Deleuze. Nel nuovo corso dell’artista anche lo scenario muta sensibilmente: nel periodo precedente predominava l’ambiente chiuso delle “stanze” dall’aspetto talvolta minimalista che Alain Jouffroy paragonava a “celle di prigione o di monastero”, oppure uno spazio asfittico e al limite bidimensionale, di cui l’artista sentiva il bisogno per delimitare e concentrare i termini del problema proposto. Nell’ultimo periodo lo spazio si apre e il pavimento prospettico dalla stanza si proietta verso l’infinito, ridisegnando quindi la tangente che congiunge il percorso umano nella storia (il pavimento) al cosmo (la campitura). Nell’ultima fase dell’opera Fergola riflette dunque sul rapporto tra individuo e cosmo, tra tempo dell’esistenza e tempo dell’universo, tra kρόνος e αiών, e insieme cerca, in coerenza con l’estetica laica del Rinascimento cui l’artista è profondamente legato, una nuova idea di bellezza: plurale, trasversale e trans-temporale, metastorica ma priva tuttavia di slittamenti trascendenti. Inoltre il concetto di Caos che, come radice del "limbo interiore", aveva ossessionato l’artista nella prima fase dell’opera orientata verso una critica della moderna civiltà tecnologica, viene superato verso un concetto di Chaosmos, inteso come apertura della coscienza alle infinite virtualità dell’universo. Il concetto, introdotto da Joyce in relazione all’opera Finnegans Wake, rispecchia profondamente l’estetica dell’ultima fase di Fergola, la cui ammirazione per lo scrittore irlandese è testimoniata del resto dalle diverse tele a lui dedicate. In questo tragitto Fergola attinge, attraverso il proprio particolare linguaggio figurativo, l’idea di una temporalità originaria in cui si realizza l’armonia tra individuo e cosmo. Con tale approdo si lascia definitivamente alle spalle una concezione dialettica dell’opera per riconquistare una visione affermativa dell’arte. L’operazione di revisione e di decostruzione delle opere del Rinascimento viene in questo senso a delineare l’idea di una ri-nascita che investe il rapporto con l’universo, la vita, la visione dell’infinito, ma anche contemporaneamente lo statuto e la funzione dell’opera d’arte e dello stile. Nel dipinto "Opportunity", ispirato a Quentin Metsis, due rette diagonali suddividono lo spazio-tempo in quattro sezioni, distinte dalla consistenza atmosferica e dalle tonalità della luce, ma simultanee. La bilancia, destinata nel dipinto fiammingo a pesare l’oro dell’usuraio, e quindi metaforicamente a valutare il presente umano nella sua determinazione esclusiva, unidirezionale e cronologica, si trova nel dipinto di Fergola sospesa all’intersezione delle diagonali, e allude alla possibilità (opportunity) che, rompendo la linearità del tempo, il reale stesso diventi l’oggetto di una ri-valutazione. Fergola rispecchia nell’impostazione del dipinto, quasi ironicamente, le ridondanze dello stile fiammingo e l’Horror Vacui tipico di Metsis e quindi sovraccarica il quadro di immagini per delineare un universo multiplo. In questo spazio-tempo plurale e simultaneo, lo specchio riflettente del dipinto originario si trasforma in una bizzarra composizione astratta, la mano avida dell’usuraio, o quella esitante della moglie, si trasformano in una mano rapace, protesa tuttavia non a maneggiare, attraverso la ricchezza, il presente, ma piuttosto a cogliere l’opportunità del reale e del tempo in sé. La figura femminile, resa immateriale e svuotata dei dati identificativi storici, fluttua nello spazio-tempo un po’ come il feto astrale del capolavoro di Kubrick, mentre il rapporto tra la molteplicità spaziotemporale e l’unità dell’Universo e del reale è riassunta nella formula eraclitea 1+1=1, un nuovo, e insieme antico, orizzonte per la filosofia dell’arte. L’artista nelle ultime opere riprende dunque il suo interesse per la cultura alchemica rinascimentale, non intesa come rudimentale credenza prescientifica, ma piuttosto come un itinerario spirituale di rinascita, secondo una visione che in particolare Maurizio Calvesi ha intravisto nell’arte moderna. L’opus, inteso come percorso interiore che trova sostegno e al contempo si sostanzia nella pratica artistica, ha come proprio orizzonte e pietra filosofale una rinnovata visione del tempo e della vita. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: Riccardo Barletta. La Natura Artificialis e il Limbo interiore. Ed. Montanino, Napoli 1961 Toni Toniato. Nel luogo della coscienza. Ed. Galleria Il Traghetto, Venezia 1961 Enrico Crispolti. Fergola. Ed. Galleria Il Punto, Torino 1963 Alain Jouffroy. Fergola. Ed. Galerie St Germain, Paris 1964 AA.VV. Sergio Fergola. Ed. Galleria Il Centro, Napoli 1965 Riccardo Barletta. Pianeta Picasso. Mitografie di Sergio Fergola. Ed. Apogeo, Napoli 1977 Carlo Franza. Vitalità di Sergio Fergola. Ed. Galleria Malagnini, Saronno, 1986 Carlo Franza. Nuove trame intorno alla pittura di Fergola. Ed. Galleria Malagnini, Saronno, 1992 Isabella Valente. Il pensiero dominante. La nuova metafisica di Sergio Fergola. Ed. Vincent, Napoli 2011 Antonio Paladino. Un ritrattista filosofo, studio sull’ultimo Fergola. Arte&Carte n.2, inverno 2001(articolo pubblicato anche in Contemporart n.47, giugno 2006) SITOGRAFIA arteecarte.it/primo/articolo.php?nn=1672 https://www.facebook.com/sergiofergola1936/ https://sergiofergola.blogspot.com/ |