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Insegnare a fare il proprio dovere
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Da lungo tempo il nostro paese è per così dire umiliato dalla furbizia e dalla protervia di tanti nostri connazionali che non ne vogliono sapere di fare il proprio dovere. Malgrado le sanzioni ogni volta annunciate a vari livelli, i cosiddetti furbetti continuano a prosperare e a prendere in giro coloro che viceversa ogni giorno attendono seriamente ai propri doveri. La gamma delle inadempienze è come si sa assai vasta e spesso con risultanze tragiche. Si va infatti da coloro che timbrano (o fanno timbrare) il proprio cartellino per andarsene poi a giocare a bocce o a far spese o ancora un bagno in piscina fino ad altri che magari dovrebbero vigilare sullo stato di salute delle opere pubbliche e se ne infischiano bellamente. Quando le “malefatte” vengono scoperte, giustamente l’opinione pubblica si agita e immancabilmente si chiedono misure energiche edesemplari alle quali il “potere” risponde con promesse altrettanto rigide e puntuali. Ma poi, purtroppo, non accade nulla, e non solo e non tanto per l’inconsistenza o l’inefficienza dell’invocata repressione, (cui corrisponde una indomita ostinazione a perseverare nei comportamenti illeciti) quanto per la carenza diremmo strutturale di una vera e propria politica educativa. Giocare per così dire tutta la partita sul versante di una sempre maggiore attività repressiva non porta (non ha portato) a risultati attendibili. La verità è che nel nostro paese una politica capace di insegnare a fare il proprio dovere non è mai stata fatta con successo. Di fronte ai comportamenti illegali ogni volta si manifesta una volontà di punire, ma come si è visto e si vede questo non basta. Il cittadino ha bisogno prima di tutto di essere formato ed educato. E qui il problema diventa davverocomplesso perché da troppo tempo nel nostro paese vige tutto sommato una politica del “laissez-faire”, tranne fare occasionalmente la faccia feroce in televisione per conquistare simpatie e consensi. I controlli, per quanto stringenti, risultano insufficienti se non supportati da qualcosa che viene “prima” e che instilli il valore e l’utilità delle proprie azioni messe in atto a beneficio della comunità secondo un meccanismo virtuoso che non prevarichi sugli altri e non sia funzionale unicamente al proprio tornaconto. E poi c’è da considerare che per essere convincenti occorre essere credibili, ovvero autorevoli e soprattutto dare il buon esempio. Qual è, tanto per restare in tema di partecipazione, la percentuale delle presenze alle assemblee di Montecitorio o Palazzo Madama dei nostri rappresentanti (per non chiamare il causa l’Europarlamento)? E allora qualcuno si sente sempre autorizzato a stringersi nelle spalle e continuare a fare il proprio comodo. Il timore della punizione cade “moralmente” nel vuoto e poi c’è sempre l’emulo di Fantozzi che se ne sta seduto alla scrivania facendo finta di lavorare, nascosto dietro un paio di occhiali scuri. E in casi come questi non serve nemmeno minacciare di far ricorso a controlli super tecnologici quali impronte digitali, iride dell’occhio, ecc. E’ viceversa ben più “istruttivo” chiamare in causa comportamenti eccellenti: mostrare ad esempio i video dell’opera dei nostri vigili del fuoco impegnati di recente a Genova per il disastro del ponte (ma non solo lì): un autentico gioiello di dedizione umana da preservare e da indicare come via da seguire per dare sostanza e credibilità ad una società che pretende di essere realmente civile e solidale. Antonio Filippetti |
2018-08-31
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