1. Secondo George Orwell la vera libertà di stampa consiste nel “dire alla gene quello che la gente non vorrebbe sentirsi dire”. Se dovessimo praticare questo postulato dovremmo subito concludere, alla luce di quello che ci viene propinato dai media nel loro complesso, che la tanto presunta e pretesa libertà semplicemente non esiste. Ma il problema appare ora assai complesso. Innanzi tutto perché se è vero che Il grado di civiltà di una comunità si rileva da diversi indicatori, uno di questi, certamente tra i più importanti e significativi, è rappresentato proprio dagli standard comunicativi, vale a dire dai codici comunemente condivisi attraverso i quali si scambiamo opinioni, notizie, sensazioni, sentimenti,ecc. La società di massa tende sempre più ad uniformare per cosi dire questi standard al fine anche di semplificare i flussi di informazioni erenderli immediatamente accessibili ad un numero sempre maggiore di fruitori. Gli slogan, le frasi fatte, alcune abbreviazioni (distorsioni lessicali) che si incontrano ad esempio frequentemente sui siti web (ma non solo) rispondono a questa esigenza. Così come nel gergo parlato riscontriamo locuzioni di altre lingue (in specie l’inglese ormai recepito a quanto pare stabilmente nella comunicazione pubblicitaria o nei titoli dei film) che sono talvolta ostentate come un “marchio di fabbrica” d’impronta snob o semplicemente come certificazione di un essere “à la page” che è poi il segno viceversa di un vetusto e mai sconfitto provincialismo che sempre più tenacemente avvolge e coinvolge la nostra comunicazione. Questa omologazione lessicale ha anche, a ben guardare, alcuni aspetti che seppur paradossali a prima vista, rivelano poi non solo una conclamata povertà espressiva ma l’incapacità di ricercare un minimo di originalità e inventiva.Questo lo si rileva scorrendo ad esempio i titoli dei giornali. A conferma del dato di fatto che ci stiamo adattando ad un “modus vivendi” sempre più omologato (“amministrato” direbbe la Scuola di Francoforte) in cui tutto si livella e appiattisce ed anche la ricerca di uno straccio di “originalità “ va a farsi benedire. Ma dietro tutto questo vigila per così dire una ben precisa intenzione politica. Per farsene una ragione basta dare uno sguardo al “Project Censored” , il progetto appunto della Sonora State University della California diretta da Peter Phillips., che ogni anno elabora un’analisi su come e cosa viene diffuso (e censurato) dai media internazionali. C’è da restare sorpresi nel constatare come alcune “notizie” siano diffuse con ritmo martellante, specie quelle riguardanti eventi ed episodi di pura “evasione” o intrattenimento, mentre latitano in maniera sconvolgente “news” su fatti di valenza universale edrammatici quali guerre, genocidi, intrallazzi lobbistici, incidenti procurati, ecc. ecc. 2. Il colpo di grazie arriva tuttavia ai nostri giorni con l’esplosione incondizionata dei social media al punto da far pensare ad una deriva senza ritorno. Innanzi tutto per la creazione di una irrazionale illusione, qual è quella di ritenere di essere tutti al centro dell’universo e di avere titolo per “legalizzare” le proprie opinioni. Ma qui si realizza una frode galattica e destinata ad incidere in maniera determinante sulla coscienza collettiva. Jaron Lanier, un pioniere della realtà virtuale che lavora come informatico proprio a Silicon Valley, ha compiuto di recente un’analisi impietosa sulle dinamiche truffaldine della rete e sulle “imposture” che ne derivano, messe in atto dai grandi gestori, vale a dire Google, Facebook, Apple, Amazon, Twitter. Secondo il saggista gli obiettivi di queste Major che luidefinisce costruttori e gestori di piattaforme-fregatura sono tutti strutturati per determinare esiti esiziali per tutti noi. Essi hanno lo scopo, infatti, di limitare la libertà di scelta, favorire comportamenti gregari, trasformare uomini e donne in autentici “stronzi”, minare la verità, cancellare l’autonomia individuale, distruggere la capacità di provare empatia nelle relazioni umane, rendere la popolazione infelice, negare ogni dignità a chi lavora, ridurre la politica in barzelletta distruggendo in questo modo ogni forma di democrazia, odiare i singoli e le società. Lanier ha riassunto questo suo “breviario” in dieci mosse, che sono poi, come lui stesso dice in un suo pamphlet, le dieci ragioni che suggeriscono di cancellare subito i nostri social account. I detentori delle piattaforme-fregatura hanno come oggetto quotidiano della loro attività la manipolazione dell’opinione pubblica. I maghi della Silicon Valleyservono infatti a condizionare, influenzare e manipolare le scelte individuali e collettive Ma tutto ciò non vale soltanto per i consumi, anzi .E’ possibile a questo modo condizionare elezioni presidenziali (Stati Uniti), referendum nazionali (la Brexit), elezioni politiche. La tecnica è anche quella di mettere in atto le cosiddette “shit storms” (tempeste di merda) per discreditare intere fette di umanità come l’ondata di odio scatenata contro i diversi o i migranti al di là e al di qua dell’oceano. Gli imprenditori della paura diventano nel frattempo presidente degli Stati Uniti, ministri degli interni, presidenti del consiglio, premier di paesi a est e ovest in Europa. Tutti intenti ad alimentare le pastoie della cosiddetta post-verità, delle “fake news”, dopo aver relegato in soffitta i vecchi media dichiarati bugiardi e ingannevoli. Il tutto realizzato con la messa in opera di algoritmi adattivi, il miscuglio tra software “open source” ealgoritmi blindati da brevetti e copyright; un ruolo determinante è quello delle “machine learning” utilizzate come leva affinché la manipolazione delle relazioni e degli scambi comunicativi risulti oggettiva e naturale nascondendo in questo modo la non neutralità del software. E se è possibile “hakerare” finanche i segreti della Cia e della Nasa, da nessuna parte è possibile viceversa trovare una copia dell’algoritmo di ricerca di Google o dell’algoritmo del feed di Facebook. Ma sono proprio questi che determinano poi l’andamento della vita umana sul nostro pianeta. 3. Tutto ciò deve esser visto con molto allarme da tutti coloro ai quali sta davvero a cuore la libertà e la verità dei flussi informativi, poiché costituisce la spia inquietante di una realtà sempre più “assoldata”, quella stessa che ci impone difare i conti con una società privata di contenuti di valore, svuotata di autentico senso e contraddittoria al punto tale da sembrare destinata a farci procedere testardamente a senso unico e spesso perfino contromano: inneggiando ad esempio alla industrializzazione globalizzata laddove scarseggiano sempre più le fabbriche e gli opifici. Dopo aver disintegrato, tra l’altro, la cultura e la società contadina. Il proscenio (l’eterno “specchio delle mie brame”) viene concesso non a caso sempre agli stessi personaggi che sono poi i più inadatti al “ruolo” – e non di rado veri e propri cialtroni - i quali non fanno che ripetere monotonamente un unico ritornello e che dovrebbero suscitare, nel migliore dei casi, un sentimento di avara compassione. Ma così facendo anche la comunicazione siimbastardisce o perisce del tutto. La stessa lingua che si parla registra un segno evidente di degenerazione rendendo spesso difficile la comprensione tra diverse generazioni o classi sociali col risultato che è ostico persino capirsi tra padri e figli. E anche l’immaginario ne fa pesantemente le spese. E proprio il riferimento alla perduta creatività dell’immaginazione apre ulteriori scenari preoccupanti in quanto appare inevitabilmente come il sintomo più eloquente e drammatico di un inarrestabile declino civile e culturale. Antonio Filippetti
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