Un nuovo anno scolastico sta per prendere il via mentre appaiono tuttora irrisolti non pochi problemi, sia in termini organizzativi sia per ciò che riguarda la programmazione culturale. In questo contesto occorre dare atto al Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud di portare avanti una battaglia culturale di grande momento. Infatti, da oltre sei anni il Centro in questione si è per così dire intestato una testimonianza politico-culturale consistente nella revisione delle ”indicazioni nazionali” per i licei e che, a proposito della letteratura del Novecento, raccomanda lo studio , per fare un esempio, di diciassette autori tra i quali nessuno è nato a Sud di Roma. Questa testimonianza, oltre ad aver suscitato un vasto e articolato dibattito, compresi interventi parlamentari, non ha prodotto finora risultati concreti, nel senso che malgrado si siano avvicendati diversi ministri al dicasterodi competenza, il “suggerimento” è ancora quello indicato nella “lista Gelmini”. Non si tratta di un evento di secondo piano giacché attiene a quel progetto che tende a “spezzare” l’unità nazionale (tenuta in piedi e rafforzata proprio dal “racconto della letteratura”) ma, cosa ancora più grave, mira a isolare ovvero cancellare lo studio della poesia (e della narrativa) degli autori meridionali. Infatti, le lacune sono in tal senso memorabili poiché secondo le indicazioni succitate non meritano di essere studiati autori come Rocco Scotellaro, Leonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto. E questi sono ovviamente solo alcuni degli esempi più macroscopici. In verità è tutto un mondo che si tende a fare scomparire, espungere dal reticolo nazionale, in un misto di presunzione e incompetenza. La letteratura del Sud - è incredibile che occorra tuttora ricordarlo - è parte integrante e fondamentale dell’esperienza culturale del Novecento, ed è, meglio ancora, la base per così dire di una esperienza intellettuale insostituibile: poesia e narrativa, che da circa sei anni appaiono “istituzionalmente” posizionate in retroguardia, contengono viceversa l’humus culturale che caratterizza il paese e si distinguono per quell’esperienza valoriale che è indispensabile per la formazione dei giovani. Il Centro di Documentazione ha prodotto due interessanti e puntuali “quaderni” , il secondo dei quali (dall’emblematico titolo “Faremo un giorno una Carta poetica del Sud”) è stato pubblicato di recente con interventi di Alessandro di Napoli, Giuseppe Iuliano, Alfonso Nannariello, Paolo Saggese e Raffaele Stella. La pubblicazione riesamina il cammino percorso con un’attenta e preziosa documentazione in cui sono sunteggiati interventi e testimonianze raccolti nel corso del tempo. E’ importante sottolineare che non si tratta esclusivamente di una questionetecnica o di porre fine ad un incomprensibile abbaglio programmatico: siamo in presenza di qualcosa di più serio e soprattutto più grave. La volontà di “disattivare” il “canone Italia”, sulla scorta anche di altre sciocche proposte come quella avanzata tempo fa dai leghisti di affrontare lo studio degli autori in funzione delle aree geografiche di appartenenza (Leopardi, tanto per dire, si studierebbe allora soltanto nelle Marche), tende a marginalizzare se non escludere l’esperienza letteraria del Mezzogiorno dal contesto unitario, ignorando di minare in questo modo non solo l’identità del paese ma di arrecare un danno irreversibile alla storia e al costume della nazione, poiché un paese vive ed esiste se sa raccontarsi la propria storia ed è soltanto con la letteratura che ciò può essere fatto, grazie al talento di coloro che sanno comunicare “esperienze di valore”. Se, come diceva Francesco De Sanctis siamo diventati “una grande nazione” lodobbiamo alla storia della nostra letteratura, beninteso col contributo primario e insostituibile degli autori meridionali. Antonio Filippetti
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