C’è voluto un bel po’ di tempo ma alla fine è arrivato quanto era dovuto, vale a dire il riconoscimento del talento geniale di Totò, ormai l’indiscusso maggior attore italiano dell’ultimo secolo. A cinquant’anni dalla morte, infatti, la sua città natale, Napoli (e non solo), ha inteso riservare al grande principe una serie di eventi. Ben tre mostre (Palazzo Reale, Maschio Angioino e complesso di San Domenico Maggiore) sono dedicate all’arte e alle diverse esperienze del grande artista. Ma non basta: l’edizione 2017 del Maggio del Monumenti è interamente dedicata a Totò con l’organizzazione di decine di eventi vari. Ci sarebbe da dire, meglio tardi che mai o meglio ancora sarebbe da immaginare la battuta che il grande comico avrebbe riservato a questo tardivo riconoscimento, senza dimenticare che al di là di tutto siamo sempre in attesa di vedere realizzato il tante volte promesso museo dedicato alla suavita e arte. Ma l’occasione si presta anche ad una considerazione certamente non secondaria e che attiene all’incapacità diremmo dei contemporanei di apprezzare i suoi migliori talenti per correre quasi sempre dietro a pretesti o a mode non solo effimere ma del tutte prive di valore e spessore. Per troppo tempo è accaduto che Totò sia stato considerato un “guitto”, un attore buono solo per fare cassetta tanto è vero che molti suoi film vennero liquidati con poche battute, il solito colonnino giornalistico con in calce la firma “vice”, cioè di quel critico che non metteva nemmeno la firma (la faccia) a giustificazione delle proprie valutazioni. E’ questo un dato che fa riflettere poiché attiene a quell’onda “intellettuale” che in tutti i tempi segue la corrente “modaiola” del momento in maniera acritica e sconsiderata, non tenendo conto nemmeno di chi riesce viceversa a comprendere e pensare nel modo giusto. Nel caso diTotò, ad esempio, alcuni riferimenti di valore ci sono sempre stati, ma ahimè ignorati impunemente. Un grande scrittore come Ennio Flaiano definì Toto “un attore inimitabile, mai volgare”, gli faceva eco Sandro De Feo definendo il principe un “attore sorprendente, l’equivalente delle figure di Picasso” e Oreste De Buono affermò che Totò era sempre “bravissimo, nei film peggiori come nei migliori”, mentre Aldo Palazzeschi parlò di “un arcobaleno dopo il temporale”. La considerazione più amara risiede probabilmente nel fatto che la “contemporaneità”, tutta presa di sé e perennemente “à la page”, non è in grado di capire il proprio tempo e soprattutto la genialità di chi riesce ad anticipare il futuro. Un’analisi di tutti gli “insuccessi” del pregresso dovrebbe se non altro suggerire una necessaria cautela in tutti i settori della vita civile, politica e culturale. Antonio Filippetti
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