Arte e pregiudizio: quanti casi
 











Ha fatto molto discutere  (e probabilmente non è ancora finita) l’episodio delle statue dei Musei capitolini  ricoperte per non urtare la suscettibilità del presidente iraniano in visita nel nostro paese e portatore, a quanto pare, di contratti milionari per le nostre imprese.
Di primo acchito verrebbe da pensare che davvero non ci sia limite alla decenza, a riprova se non altro della totale incapacità della nostra classe dirigente di valutare i propri tesori. Per di più proprio mentre si parla di dare la stura al turismo culturale tenuto conto del ben di dio che il Belpaese possiede, talvolta persino “a  sua insaputa”.
Si sta indagando  ovviamente su come e perché sia successo tutto questo  e si cercheranno ancora  i responsabili del “misfatto”, magari anche  costituendo  una commissione d’inchiesta che come si sa è il modo  “istituzionale” per non venire mai a capo di nulla.
L’osservazione più profonda e probabilmente ben più grave che conferma tutti i limiti culturali di cui sopra sta  tuttavia nel fatto che l’episodio può  anche essere letto non  come un semplice  pur se deprecabile  errore, un inciampo occasionale, ma  come l’endemico  rifiuto   (disprezzo?)  dell’arte e la bellezza.
Probabilmente sono  stati dimenticati i tanti atti d’inconcepibile   “pruderie” della nostra classe politica, al di là di presunti protocolli internazionali o istituzionali. Anni fa, appena eletta come presidente della Camera, la trentenne  Irene Pivetti fece “ricollocare”  alcune opere d’arte, in specie quelle che potevano essere considerate  a suo avviso  un oltraggio al comune sentimento del pudore. Anche in seguito la politica fu la stessa:  durante la presidenza Berlusconi a Palazzo Chigi si pensò infatti  di “ritoccare” (incredibile ma vero) il capolavoro di Giambattista Tiepolo,   “la verità svelata dal tempo”, sistemato  nel salone delle conferenze stampa poiché – fu la giustificazione - i seni scoperti davano per così dire  troppo nell’occhio durante le riprese televisive. E si ricorda anche l’imbarazzo con lui la “first lady” dell’epoca, Franca Ciampi, accolse un Luca Giordano “osé” al Museo di Capodimonte. E si potrebbe continuare.
L’osservazione, come si accennava, rimanda inevitabilmente alla strutturale incapacità di apprezzare la bellezza dell’arte anche, guarda caso, da chi di quell’arte dovrebbe essere non solo orgoglioso ma farne motivo di promozione e sviluppo. La chiosa consequenziale sembra davvero scontata: un paese che non sa valorizzare  quanto c’è di meglio e di più prezioso negli scrigni del passato  e che mostra di ignorare la sua più straordinaria memoria, potrà mai essere in grado di assicurare  una svolta civile e culturale, come viene ripetuto fino alla noia,  didimensioni epocali? E la buona scuola, tanto evocata, avrà ancora il compito di far apprezzare il meglio della nostra storia, senza  pudori di convenienza  o, peggio, anacronistica vergogna?
Antonio Filippetti






2016-01-31


   
 

 

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