La nostra epoca passerà probabilmente alla storia come quella della società della comunicazione, della vita “on line”, delle visioni planetarie acquisite in tempo reale, tante sono le “diavolerie” che ogni giorno vengono immesse sul mercato e che ci consentono di arricchire per così dire il nostro mondo relazionale. Accade di conseguenza che in presenza di eventi eccezionali o ritenuti tali, come quelli che stiamo vivendo, l’universo della comunicazione si mette prodigiosamente in moto giusto per inondarci con notizie, dati, opinioni, ricette ,proposte e soluzioni varie; insomma con tutto un enorme serbatoio di strumenti che ci viene riversato addosso fino allo stordimento e alla nausea. Verrebbe da dire che questa “è l’informazione bellezza! “ per cui c’è ben poco da fare: prendere o lasciare o più realisticamente prendere e basta. Ma qualche considerazione fuori dal coro può forseaffacciarsi al proscenio e pur muovendosi essa stessa sul medesimo terreno delle “chiacchiere” può aspirare ad indurre almeno a una riflessione. Nei giorni tragici che il mondo sta vivendo, siamo bersagliati da milioni di notizie, come detto, ma soprattutto siamo costretti a sorbirci anche le prediche e le lezioncine di un gruppo di Soloni che proprio di fronte alla gravità degli eventi presenti ci appare come precipitato da un altro pianeta. Facciamoci caso: in televisione, sui giornali, sull’onnivora e onnipresente rete telematica riscontriamo la presenza di “autori” che credendosi autorevoli ammanniscono brodaglie varie pretendendo non solo di spiegare ogni arcano ma soprattutto di insegnare al prossimo come comportarsi, cosa fare, quali mezzi utilizzare per risolvere i problemi. Costoro viceversa non si rendono conto di essere gli stessi che per anni e anni dalle colonne dei giornali e delle riviste o dagli studi radiofonici e televisivi hanno ripetuto leloro fandonie autoreferenziali e senza costrutto e non sono stati in grado di cavare un ragno dal buco. E che sono conseguentemente coinvolti o addirittura parte integrante dei fallimenti in atto. Tuttavia, non hanno alcuna intenzione di smettere, anzi, tutti insieme, “appassionatamente!”, politici, opinionisti (?), anchor men ed esperti della prima o dell’ultima ora, continuano imperterriti a esibirsi a tutte le ore sulla giostra principale o nei teatrini di quartiere recitando si direbbe una specie di versione aggiornata del “Marat-Sade” di Weiss/Brook destinata immancabilmente, come si sa, al caos e alla distruzione. A questo plotone di Soloni inebetiti fa riscontro, quasi in maniera speculare, l’esercito dei sacerdoti della rete che vogliono a tutti i costi far sentire la propria voce in un incrocio pazzesco di tweet (vedere quelli pubblicati su diversi quotidiani per rendersi conto di cosa sia laquintessenza della stupidità), mail, blog, followers, gestioni di hashtag, ecc. Un’orgia di parole spesso insensate e offensive, quasi sempre gridate per non parlare poi della correttezza in termini linguistici o grammaticali. Viene logico chiedersi: stando così le cose, potremmo mai venirne fuori una volta per tutte? Dando davvero credito a costoro? La considerazione più amara risiede forse però nel fatto che ormai, in ossequio alla liturgia orgiastica che ha preso l’umanità intera nei confronti delle nuove tecnologie comunicative, il pensiero vero, o meglio la riflessione che al pensiero vero si associa, appare come uno strumento obsoleto, destinato al tramonto. Eppure un tacere giudizioso potrebbe ancora aiutare. Nel suo ultimo film, “La voce della luna”, Federico Fellini esortava la società ad abbassare i toni, a fare un po’ di silenzio: “Se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse potremmo capire”, sono le ultime parole di tutta l’operafelliniana, un testamento spirituale e un invito prezioso. Ma già prima di lui, in una stupenda lirica scritta a Napoli, durante il soggiorno nella città di Partenope, Giacomo Leopardi preconizzava, temendolo, l’avvento della “civiltà delle chiacchiere” veicolata dai giornaletti e dai “pamphlets” (la poesia, per chi volesse andare a (ri)leggerla è la “Palinodia al marchese Gino Capponi”). E s’intuiva apertamente anche che l’adorazione del progresso, ovvero l’adesione acritica alle promesse di un irrefrenabile sviluppo avrebbe condotto inevitabilmente alla barbarie, distruggendo la vera “humanitas”, quella stessa che l’Occidente tenta ora orgogliosamente di rinverdire e riaffermare. Antonio Filippetti
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