Revisione di spesa, il Sud è sempre più danneggiato
 











In un periodo in cui non si parla d’altro se non  di “spending review” (ma sarebbe meglio e forse più comprensibile dire revisione di spesa), ovvero della necessità di fare economie e risparmiare, un piccolo ma significativo contributo potrebbe arrivare dalla eliminazione delle analisi che  periodicamente vengono  effettuate sullo stato di salute della cultura, ed in particiolare sulla circolazione dei libri  e  la diffusione della lettura. Non perché queste investigazioni non siano  encomiabili ma perchè sono ormai diventate inutili. E come continuare a monitorare, con costi anche notevoli, un malato terminale senza la minima speranza di guarigione. Fare  ancora accertamenti per cosa? Per avere la conferma  che il destino è segnato e non c’è più nulla sa fare? Il recente rapporto Nielsen sulle condizioni della lettura in Italia certifica in fondo proprio questo: che il trend negativo è  ormai senza ritorno. Nel nostropaese  (malgrado i tanti  “figli illustri”) la passione per la lettura è  un sentimento in estinzione, una specie di araba fenice. Potremmo davvero concludere che si è inverato l’aforisma di Achille Campanile che già ai suoi tempi preconizzava che i “lettori sono personaggi immaginari creati dalla fantasia degli scrittori”.
Ormai ci siamo. E’ accaduto. Colpa indubbiamente  anche della crisi economica che relega i libri tra  gli oggetti superflui o comunque tra quelli che vanno tagliati dalla spesa corrente. Apprendiamo così di un pauroso arretramento negli ultimi tre anni con un calo di lettori e di fatturato di circa un terzo. Poi la solita tiritera per cui al Sud si legge di meno (ma la crisi ha investito a quanto pare fortemente anche il Nord),  che la fascia d’età più carente  è quella compresa tra i trenta e i  quarant’anni (quando si è in pratica maggiormente  alle prese con gli assillanti  problemi della quotidianità) , che ledonne leggono più degli uomini (più passione, più tempo libero?)  ed altre cose del genere:  tutte incontrovertibili, ma tutte arcinote.
Forse sarebbe il caso di investire  qualche euro non tanto in queste seppure utili analisi quanto nella promozione  diretta della lettura, nel cercare  delle alternative  concrete,mettere in atto  delle strategie cioè  per rendere la lettura praticabile e godibile. E qui le biblioteche pubbliche potrebbero giocare un ruolo tutt’altro che secondario.  Viceversa assistiamo ad una politica nel senso inverso, ovvero registriamo  il  proliferare delle scuole di scrittura:  una specie di sfida al nulla, nel senso che ci si impegna a creare dei “prototipi” per un mercato che non esiste. C’è da chiedersi se tutto ciò abbia davvero  un senso.
Vero è che a suscitare  poca passione  per la scrittura  contribuiscono  anche le istituzioni che “congiurano”  inparticolare, non si sa se   a bella posta o meno, contro il Mezzogiorno d’Italia.  Infatti nei programmi  “raccomandati” per le scuole superiori risulta abolita la letteratura meridionale contemporanea, il che significa vedere scomparire buona parte dei maggiori autori del nostro Novecento e che andrebbero viceversa letti e studiati a getto continuo poiché hanno molto da insegnarci i tutti i sensi.  Ancora un segno “schizofrenico” della macchina culturale (culturale?) preposta allo sviluppo del proprio “brand”. Ma questo potrebbe essere purtroppo un’ ulteriore  conferma di quanto asserito in precedenza, cioè a dire che non vale più la pena spendere risorse e intelligenza per capire  come evolve la società nel suo segmento più autorevole e prezioso.
Antonio Filippetti






2014-03-31


   
 

 

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