Albania è “la terra delle aquile”. Una terra lacerata che si apre, si alza, si incunea, si lascia lambire da torrenti poderosi che terminano la loro corsa nella sede naturale, il mare Adriatico. L’albanese combatte da sempre la sua battaglia con e contro questa terra, fertile ma a tratti paludosa, spesso inaccessibile, con e contro i suoi simili, visceralmente legati da un’unità vagamente nazionalistica che si spezza in realtà tribali arcaiche di sapore leggendario. Forgiati dalle peculiarità della loro madre-terra atavicamente procreatrice del carattere e della tradizione di un popolo, gli albanesi hanno fieramente stabilito il rapporto fra clan con l’applicazione della fedeltà alla “besa”, la parola data, e del “kanun”, il codice non scritto della vendetta su base trasversale e maschile, adattando tutto a una tradizione bizantina e ostile al nuovo. Visigoti, Unni, Ostrogoti, Slavi, Bulgari, Normanni qui invasero e devastarono, nell’Europa disordinata tra il V el’XI secolo; i discendenti dei Pelasgi trovarono sulla loro strada moltitudini fanatizzate di crociati, prima di ottenere stabilità con i Veneziani. Ma questa gente, legata da una lingua indoeuropea unica nel Continente, martoriata da antiche lotte fratricide, eppure avvezza alla battaglia, era cementata da uno spirito fiero di indipendenza per una primordiale concezione di Nazione. In questo quadro s’inserì il mito di Giorgio Castriota detto Scanderbeg, gloria nazionale assoluta, “Capitano Generale d’Albania” agli albori della guerra plurisecolare contro i Turchi, che non consentì al Paese delle Aquile di essere Stato fino agli inizi del 1900. Fu un periodo di grande interesse geo-etnico per la massiccia migrazione di genti albanesi verso zone della Calabria e della Sicilia orientale dove calcarono una terra orograficamente simile a quella lasciata, capace di alleviare la nostalgia, e dove hanno tracciato un’impronta saldissima, resistente tutt’oggi come ben definita minoranzalinguistica in isole etnografiche conosciute. In una di queste nacque nel 1880 Terenzio Tocci, un’esistenza spesa a favore dell’Albania e un’anima divisa fra l’amore naturale verso la terra italica che gli diede consistenza e quella che geneticamente gli elargì spiccate caratteristiche dell’indole albanese. Fu una vita concepita all’ombra degli ulivi e degli agrumeti di Calabria, dove le distese e le colline verdi con i loro silenzi intrecciano una gara nel dettare alla coscienza fermenti di calda impulsività, di purezza spirituale, di ingenua idealistica fede. La lettura giovanile della poesia di Gerolamo de Rada, un arbresh vissuto durante il Risorgimento italiano, già fautore dell’indipendenza albanese, riscaldava il suo cuore. Studiò giurisprudenza all’Università di Urbino e iniziò nel 1904 la sua attività legale a Roma, dove fu anche caporedattore di periodici di ispirazione balcanica. Quindi viaggiò per incontrare la diaspora albanese nel mondo, ascoltandone le istanze,soprattutto in Argentina e Stati Uniti. Nel 1911 è finalmente in Albania, e costituisce a Scutari il primo governo provvisorio con altri patrioti venuti dall’Italia, riunendo i capi delle tribù mirdite e settentrionali e issando per primo la bandiera nazionale. Fu acclamato presidente all’unanimità e, nonostante una grossa taglia messa su di lui, nessuno dei sessantamila montanari in armi, fieri e onorati secondo la tradizione, lo tradì. Sempre a Scutari crea il primo giornale d’Albania, il Taraboshi, chiuso dopo alcuni mesi di vita dal governo internazionale. La denuncia delle mire austriache sul Paese è altisonante, così come forte fu la delusione per il mancato intervento promesso da parte di Ricciotti Garibaldi. Occorre ricordare che in quegli anni vi era una coalizione internazionale, con truppe di vari Paesi europei (Francia , Serbia, Italia, Grecia), a governare provvisoriamente il Paese, dopo la fine dell’invasione turca. Del resto la vittoria dell’Italia nella guerra controi Turchi metteva a nudo la decadenza dell’impero ottomano e dava vigore alla lotta albanese, cosicché il patriota Ismail Qemali potè anche lui a Valona sventolare la bandiera albanese e creare un governo provvisorio. Ma un giorno nel 1913 improvvisamente il consolato italiano di Scutari espelle, senza dare avviso alla stessa famiglia, Terenzio Tocci, che rimane esiliato coattivamente nella sua abitazione di S. Cosmo Albanese per 4 anni. Nel ‘17 parte, precettato, per il fronte di guerra. Nel ‘20 torna in Albania con l’intercessione del ministro Giolitti e nel ‘21 è nominato prefetto di Korcia e dirige una rivista quindicinale. Nel ‘26 scrive “Il diritto penale”, un’opera fondamentale per la giurisprudenza albanese, partecipa alla stesura del codice civile, ispirato dallo Zanardelli, e di quello commerciale, pubblica anche una grammatica albanese ed una italiana. La sua produzione letteraria fu enorme e ne è testimonianza la biblioteca che lasciò morendo, catalogata attualmenteall’Archivio di Stato a Tirana. Durante quegli anni ricoperse una serie di incarichi istituzionali importanti. Appoggiò anche l’arrivo di tecnici italiani. Dal ‘25 finiscono i governi provvisori e Zog diventa Presidente e poi Re, con il compiacimento del governo ed il dispiacere del Tocci, fervente repubblicano. Nel frattempo si batteva per l’amicizia fra Italia ed Albania, nonostante l’intendimento antifiloitaliano di gran parte dei ministri ed i tentativi, da lui denunciati, da parte dell’Italia di parziale sfruttamento dell’economia albanese; tutto ciò fu pensato dai suoi aguzzini come un atto di tradimento durante i terribili giorni del processo del ‘45. Fu nominato ministro per l’Economia Nazionale nel ‘38 ed accettò l’incarico di Presidente del Consiglio Superiore Corporativo dopo l’arrivo degli Italiani nel ‘39 e si impose affinché fossero preservati l’uso della lingua albanese negli atti amministrativi e la tradizione di feste e cerimonie capaci di rappresentare l’identitànazionale. Fu contrario alla guerra, ma si consolò con l’ottenimento dell’antica aspirazione del ricongiungimento territoriale con la Ciamerìa. Incontrò Mussolini a Roma e ne ebbe la sensazione di un uomo stanco e ingannato. Il 10 settembre del ‘43 i Tedeschi arrivarono a Tirana, ma il nuovo governo emanò un decreto che proteggeva gli italo-albanesi. Le truppe germaniche lasciarono il Paese il 17 novembre e un soldato solo rimase, chiuso in un fortino in piazza Skanderbeg con una riserva quasi inesauribile di munizioni; resistette 36 ore contro i partigiani ma, finite le cartucce, preferì suicidarsi piuttosto che arrendersi. Lo stesso giorno Terenzio Tocci, nonostante fosse già stato messo sull’avviso di un prossimo arresto ed il consiglio di qualche amico di mettersi in salvo, fu condotto in una prigione maleodorante, pigiato in una angusta cella con altri prigionieri, senza un letto né uno sgabello. Ma la ferale notizia fu che era stato accusato come criminale di guerra! Ilprocesso-farsa cominciava con la regia occulta di capi slavi e montenegrini, da cui dipendeva tutta l’organizzazione partigiana di Enver Hoxha; questa comprendeva sciaguratamente i “ballisti” (avanguardisti), con i quali ci fu ben presto il regolamento di conti. Delle quattro figlie solo la più piccola era a quel tempo a Tirana con la madre; le due donne furono depredate di tutto e cacciate di casa. Riuscirono qualche volta ad ottenere un permesso per incontrare il congiunto in prigione; dopo ore di fila davanti ai cancelli, la massa urlante dei parenti si riversava in uno stanzone-parlatoio ad alcuni metri di distanza dai prigionieri, con l’impossibilità di comunicare alcunché. Un altoparlante fuori del cinema Savoia, trasformato in tribunale, diffondeva le voci dei protagonisti del processo, tra cui quella dell’avvocato Tocci, che arringava per sé, stante la latitanza del difensore d’ufficio. Un particolareggiato resoconto delle fasi del dibattimento si trova nel libro “TerenzioTocci mio padre” scritto dalla figlia Rita. Il 14 aprile del ‘45 molti videro quel camion scoperto transitare per le vie di Tirana col triste carico dei primi 17 condannati alla fucilazione. Professionisti, intellettuali, semplici patrioti. Furono legati due a due in un luogo conosciuto come deposito di rifiuti, l’ultimo sfregio. Rifiutarono di voltarsi ed offrirono il petto ai fucilieri. Furono seppelliti senza una tomba, una croce o un fiore. Era finito il conflitto mondiale ma iniziava per un Paese tormentato un’epoca foriera di barbarie, folle dittatura, isolamento; una tragedia che doveva continuare ancora mezzo secolo e condannava ulteriori milioni di persone senza colpa. Era anche l’epilogo dell’esistenza di un uomo che come altri ha sempre lottato con strenua e indomabile passione, fino a donare la vita, per il conseguimento reale di un’unità politica ed un’armonia sociale che si è sempre rivelata in ritardo sull’orologio della storia. Ciò è tanto più vero in tempi in cuiancora qualcuno pensava ed agiva per puro idealismo. La speranza che una tale tragedia non debba essere accaduta invano fa da motore all’incrollabile affetto dei suoi cari, anche quelli che, come chi scrive che ne è nipote, non lo hanno mai direttamente conosciuto. Terenzio Tocci (1880-1945), giurista e scrittore polemico, nel 1911 organizzò e diresse il movimento rivoluzionario albanese sulle montagne di Scutari. Fondò il giornale Taraboshi (1913), primo quotidiano politico d’Albania. Prefetto (1921), Segretario Generale della Presidenza della Repubblica (1927), Ministro dell’Economia Nazionale, Presidente della Camera dei Deputati (1940). Ancora vivente, di lui scrisse Gaetano Petrotta nel volume “Popolo, lingua e letteratura albanese”: come uomo politico, come funzionario, come giurista, come scrittore, come patriota, il Tocci è una delle figure più in vista della Nazione albanese.Terenzio Tocci (1880-1945), giurista e scrittore polemico, nel 1911 organizzò e diresse ilmovimento rivoluzionario albanese sulle montagne di Scutari. Fondò il giornale Taraboshi (1913), primo quotidiano politico d’Albania. Prefetto (1921), Segretario Generale della Presidenza della Repubblica (1927), Ministro dell’Economia Nazionale, Presidente della Camera dei Deputati (1940). Ancora vivente, di lui scrisse Gaetano Petrotta nel volume “Popolo, lingua e letteratura albanese”: come uomo politico, come funzionario, come giurista, come scrittore, come patriota, il Tocci è una delle figure più in vista della Nazione albanese.Terenzio d’Alena
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