America Latina dal Nicaragua al Salvador
 







di Alessandro Fioroni




Pandillas, maras, clika, tutti nomi che indicano con le dovute differenze un unico fenomeno, quello delle bande giovanili in America Latina. Nicaragua, Salvador, Honduras e Guatemala i paesi dove maggiore è la concentrazione di appartenenti alle gang. Il primo aspetto che balza agli occhi è quello della violenza organizzata, qualcosa non estraneo alle società occidentali, ma il contesto latinoamericano fa assumere alle bande una valenza particolare. La violenza nel continente infatti è una costante che deriva dai conflitti militari, ma è fuori dubbio che i giovani che compongono le bande sono i capri espiatori di società ancora fortemente ingiuste e diseguali che non offrono loro alcuna opportunità e nelle quali il potere è concentrato in poche mani.
Nonostante questi assunti il fenomeno delle bande subisce ancora interpretazioni mal calibrate. Probabilmente la ragione risiede nella scarsezza di informazioni estudi efficaci in luogo dell’indugiare sugli aspetti folcloristici e scandalistici. Il tipo di inchieste eseguite ha fatto così sorgere miti e stereotipi che non aiutano certo alla comprensione. Le stime ufficiali dei governi parlano di oltre 70mila giovani organizzati in bande in tutta l’America Centrale, ma per le organizzazioni non governative, e le indagini universitarie indipendenti, gli aderenti potrebbero essere circa 200mila. Rimane comunque indubbio che le violenze in tutta la regione attribuite alle bande stanno in una percentuale che va dal 10% al 60%. Esistono poi delle differenze tra paese e paese che riguardano il grado criminale-violento delle bande: in Salvador, Guatemala e Honduras ad esempio la situazione è notevolmente più pericolosa di Nicaragua e Costa Rica. Naturalmente le ragioni di queste differenze sono da ricercare nella storia singola di ogni nazione.
E’ il caso del Guatemala dove sebbene il conflitto civile sia terminato ufficialmente nel 1996, il tassodi omicidi è fra i più alti al mondo e il grado di violenza supera quello che si registrava negli anni di guerra. Nel Salvador, secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, il costo economico della delinquenza ammonterebbe ad 1,7 miliardi di dollari all’annuo, pari all’11,5% del Prodotto Interno Lordo del Paese, cifra ben superiore al 3,3% del PIL che si stima abbia perso annualmente El Salvador negli anni di guerra.
Se si calcola che la violenza giovanile nel mondo è commessa da ragazzi tra i 15 e i 24 anni e che in America Latina più della metà della popolazione ha meno di 24 anni è facile capire chi siano gli autori dei crimini. In realtà il tumultuoso espandersi delle gang negli ultimi 20 anni ha fatto si che ad esse siano attribuiti reati di ogni tipo: furto, rapina a mano armata, violenza sessuale e narcotraffico. Si è persino cercato di metterle in relazione al terrorismo internazionale ed a fenomeni di opposizione armata. Addirittura uno studio dell’US Army WarCollege, pubblicato nel 2005, considera le bande giovanili «una nuova forma di insurrezione urbana», che ha l’obiettivo di «rovesciare i governi locali».
Ma al di là delle analisi dei think tank "yankee", le bande in America Latina sono in realtà dei gruppi molto organizzati che dimostrano una propria continuità "istituzionale" a prescindere dai ricambi generazionali. Hanno regole proprie e talvolta rituali di iniziazione, una gerarchia e codici particolari che fanno della banda una fonte primaria di identità dei suoi componenti. I segni di appartenenza sono, in genere l’abbigliamento, i tatuaggi, disegni o graffiti nelle zone sotto il loro controllo. Non manca una peculiare gestualità delle mani e un linguaggio particolare. Un caratteristica fondamentale è comunque il legame con "il territorio", suburbi o quartieri poverissimi degli agglomerati urbani latinoamericani, e il loro rapporto con la comunità locale che può essere tanto minaccioso come protettivo.
Le bande sonocomposte per la maggior parte da maschi, ma non mancano le donne che hanno una loro storia particolare, secondo alcuni studi dell’università del Salvador (Iudop) l’età media si aggira sui 20 anni; molti di essi sono entrati nella banda verso i 15 anni. In Nicaragua, l’età dei pandilleros oscilla fra i 7 e i 23 anni. In Guatemala e in Honduras fra i 12 e i 30 anni. Ma se è relativamente facile calcolare l’eta media dei ragazzi che entrano in una banda, più difficoltoso è cercare di capire il perché. Esistono naturalmente alcuni stereotipi, che corrispondono comunque a vere motivazioni: la disgregazione della famiglia, la violenza nell’ambiente domestico o una condizione psicologica particolarmente problematica, anche se tutto ciò non basta da solo a spiegare l’aumentare delle bande. Dal punto di vista sociologico ad esempio le bande trovano terreno fertile su cui crescere in alcune caratteristiche culturali come il maschilismo ben radicato nel continente. Tuttavia gli aspetti socialirestano preponderanti. L’emarginazione e la disuguaglianza sociale, la lunga storia di conflitti e guerriglie, la grande disponibilità di armi - si stima che ve ne siano oltre 2 milioni detenute illegalmente in tutto il territorio centro-americano -, la debolezza e l’assenza dello Stato in tante aree vitali, fanno sì che si creino dei vuoti politici a livello locale, che vengono riempiti dalle stesse bande.
Sebbene alcune caratteristiche siano comuni a tutte le aggregazioni giovanili latinoamericane, esiste una differenza fondamentale tra quelle che sono chiamate pandillas e le speculari maras. Queste ultime infatti sono un gruppo con caratteristiche trasnazionali mentre le pandillas sono organizzazioni nazionali, più localizzate, autoctone, eredi di una lunga tradizione. Attualmente le pandillas sopravvivono in Nicaragua e in Costa Rica. In Salvador, Guatemala e Honduras le maras invece sono praticamente le uniche realtà organizzate. Eppure le pandillas erano aumentate nel corsodegli anni ‘90, infatti con la fine di molti conflitti armati soldati e guerriglieri avevano di fronte solo una grande incertezza economica e politica. L’esperienza collettiva della guerra consentì la riproduzione di formazioni e gruppi locali che all’inizio avevano essenzialmente la funzione di difesa del territorio. Quest’ultimo era rappresentato dagli insediamenti marginali e spontanei formatisi a seguito del massiccio processo di urbanizzazione.
Ma le pandillas erano composte da giovani vissuti per anni nella violenza della guerra con una preparazione militare senza precedenti e in questo modo hanno rappresentato la risposta collettiva, locale e autoctona allo stato di insicurezza e incertezza sociale del dopoguerra. Le maras invece sono gruppi più uniformi con un’origine precisa: i flussi migratori.
Le maras più forti e radicate sono la "Mara Dieciocho" (M18) e la "Mara Salvatrucha" (MS13). I paesi in cui le due organizzazioni hanno una maggior influenza sono il Salvador,il Guatemala e l’Honduras, anche se hanno cominciato ad estendersi anche in México.
La Mara 18 sorge negli anni ‘60 a Los Ángeles, nella 18a strada, fondata da immigrati messicani che ben presto aprirono però le porte anche ad altri immigrati latino-americani. Durante gli anni ‘70 e ‘80, la Mara della Calle 18 ingrossò le proprie fila grazie all’afflusso di rifugiati salvadoregni e guatemaltechi, molti dei quali entrarono a far parte della banda per sentirsi inseriti nel contesto sociale statunitense, che tendeva ad escludere i latinos. Altri rifugiati salvadoregni scappati dalla guerra civile, a metà degli anni ‘80, fondarono un’altra banda, la Mara Salvatrucha. Il suo nome deriva da due parole: marabunta, un insetto del Salvador, e trucha che, sempre nello slang salvadoregno, significa acuto.
Los Angeles diventò ben presto il campo di battaglia delle due organizzazioni che si confrontarono in modo fortissimo anche durante i violenti riot scoppiati dopo il pestaggio di RodneyKing da parte della polizia, nel 1992. Lo Stato della California operò una serie di carcerazioni di massa e una legge del Congresso degli Usa decretò l’espulsione dal Paese di tutti i "delinquenti" che non avessero la nazionalità statunitense o che si fossero naturalizzati da poco. Tra il 1998 e il 2005, gli Stati Uniti deportarono quasi 46mila centro-americani.
I deportati dagli Stati Uniti furono rimpatriati in Salvador, Guatemala e Honduras, molti naturalmente appartenevano alle Maras 18 e Salvatrucha, si trattava di giovani che erano arrivati negli Stati Uniti ancora bambini. Il ritorno fu dunque traumatico, questi ragazzi non si sono riconosciuti nelle tradizioni latino americane e hanno riprodotto le strutture e i modelli di comportamento appresi negli Usa. Crearono gruppi, clicas, legati alle organizzazioni madri e attraendo numerosi aderenti soppiantarono le pandillas locali. Resta chiaro che né la 18, né la Salvatrucha hanno un’unica catena gerarchica. Al massimo le maraspossono essere intese come reti deboli di bande locali fra le quali non c’è molta comunicazione che vada oltre le bande vicine e fra le quali non c’è molto coordinamento. Il tratto comune tra i giovani delle maras è quello di essere stati deportati in America Latina, ciò è dimostrabile dal fatto che in Nicaragua non ci sono maras perché il numero di espulsioni dagli Stati Uniti al Nicaragua è stato molto basso.
Molte inchieste dimostrano come la stragrande maggioranza delle bande sia dedita principalmente a piccoli furti, rapine e atti di delinquenza realizzati in forma individuale. E’ stato anche rilevato come in Salvador, Guatemala e Honduras, le maras impongono ad autobus e taxi che attraversano le zone sotto il loro controllo una sorta di "tassa di passaggio". Non manca l’estorsione ai commercianti.
Naturalmente le lotte sanguinose tra maras hanno come radice il controllo del flusso di denaro che deriva dal mercato della droga, un fenomeno però cresciuto solo negli ultimianni. Si pensi soltanto che per il Centroamerica transita l’80% di tutta la cocaina che dai Paesi produttori andini si dirige a quelli consumatori del Nord. Una tale struttura si basa sul "decentramento" del narcotraffico in cui i piccoli cartelli locali gestiscono il flusso e per compenso trattengono una parte della droga, che viene poi rivenduta creando così mercati locali. Ecco allora che le maras hanno incarnato il ruolo di forze locali che assicurano protezione ai piccoli cartelli, oppure di spaccio al dettaglio. Le bande restano però fuori dalla vendita all’ingrosso.
Molti governi, soprattutto centroamericani, negli ultimi anni hanno scatenato una vera e propria guerra contro le bande. La violenza che ne è seguita è stata micidiale. Nel luglio 2003 dal Salvador prese il via un conflitto regionale con l’avvio della cosiddetta "politica del pugno di ferro", che prevedeva l’arresto immediato di tutti i presunti membri delle bande, anche senza prove. Bastava che i giovaniavessero tatuaggi tipici dei mareros o comportamenti che potevano far pensare ad una loro appartenenza alle gang. La pena era il carcere, da due a cinque anni, pena applicabile ai giovani dai 12 anni in sù. Le cifre sono enormi, fra il Luglio 2003 e l’Agosto 2004, 20mila salvadoregni hanno riempito le patrie galere, il 95% dei quali, però, è uscito solo quando la "legge della mano dura" è stata giudicata incostituzionale dalla Corte Suprema, in quanto violava le convenzioni dell’Onu sui diritti dei minori. Ma il governo tornò alla carica e promosse una nuova legge: Mano Super Dura. Con questo provvedimento le pene per i maggiori di 18 anni sono state portate a 5 anni di carcere. Il risultato è stato che fra il 2004 e il 2007, la popolazione carceraria salvadoregna è raddoppiata, passando da 6 mila a 12 mila detenuti, un 40% dei quali arrestati in quanto mareros.






2009-10-13


   
 

 

© copyright arteecarte 2002 - all rights reserved - Privacy e Cookies