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Oltre un secolo d'arte modenese nella Raccolta della Provincia

di Graziella Martinelli Braglia
 

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L'Ottocento post unitario
Per l'arte modenese, curiosamente, l'apertura al "verismo" che determina il rinnovamento del linguaggio tradizionale avviene proprio per merito del nolo pittore Adeodato Malalesta (Modena 1806 - 1891 ), uno Ira i più prestigiosi "campioni" dell'accademia italiana. Fu la sua straordinaria ricettività verso la fenomenologia culturale del tempo, congiunta a una prassi costante di ricerca di nuovi strumenti espressivi, a indurre l'autorevole caposcuola a una virata di stile, con l'adesione alla "riforma verista" del napoletano Domenico Morelli, dopo averne ammiralo i dipinti alla Prima Esposizione Nazionale di Firenze nel 1861: dipinti che. d'altro canto. non avrebbero potuto non colpire chi. come Malatesta, pur nel filtro degli storicizzati stilemi della cultura ufficiale, s'era pur sempre confrontalo con il dato reale e, in più. dagli anni '50 aveva dato prova d'apprezzare il concetto di "verismo" del francese Delaroche. Ira le fonti della stessa innova/ione morelliana. E come s'è altrove evidenziato, in Modena una figura chiave del trapasso dalla tradizione degli stili "storicizzati" al "verismo" è quella di Narciso Malatesta (Venezia 1835 - Sassuolo MO 1896). figlio di Adeodato.

Narciso Malatesta
Narciso Malatesta
Episodio della Rivoluzione Greca del 1821
E' un trapasso che avviene, sulle impronte paterne, riferendosi con nuova sensibilità alla pittura di Morelli e degli altri maestri della scuola napoletana. Ma soprattutto, l'intuizione del "verismo" è per Narciso non tanto o non solo un'attualizzazione del fraseggio stilistico, quanto una diversa disponibilità verso lemi sociali. Nascono così composizioni come La chiatta o Una zattera nelle valli del Finale, nella Raccolta provinciale, che Narciso dipinge nel 1869. che evitano sia compiacimenti ne! pittoresco - consueti invece ai successivi sviluppi del soggetto "di genere" -, sia quel sapore neofiammingo proprio della tematica d'ambietazione quotidiana che ampio successo aveva goduto nei decenni precedenti: un esempio fra i tanti, la Rivendugliola. famoso dipinto di Adeodato Malalesta del I 849 (Bologna, proprietà privata), raffigurante un'anziana venditrice di frutta sulla falsa riga di Frans Hals e di altri secentisti olandesi. La chiatta va invece accostata a titoli nel catalogo di Narciso quali Il disertore, o la Casa del saltimbanco, "scena Miserabile e commovente con molta verità di concetto". secondo il commento di Giovanni Roncagli presso l'Esposizione Artistica di Bologna del 1863. "Verismo" per Narciso Malalesta è anche l'ampliamento della maglia dei propri referenti figurativi, includendovi modelli aggiornati ed eterogenei rispetto a quelli invalsi nel mondo accademico: nel dipinto della Raccolta, per ritrarre questa famiglia contadina su una zattera nella palude finalese. di ritorno dalla fienagione, trae lo spunto strutturale da "La mal'aria", eseguita nel 1850 da Ernest Hebert [Chantillv. Musée Condè). che a sua volta aveva influenzato / profughi di Aquileia, tela del 1861 di Domenico Morelli (Napoli. Museo di Capodimonte), altro ipotizzabile testo ispiratore dello stesso Narciso. Per il più giovane Malatesta. il "verismo" si attuò anche nella scelta di soggetti desunti dal recente Risorgimento, con titoli come Lo sbarco di Garibaldi a Marsala e Vittorio Emanuele II al Quirinale, o con risvolti cronachistici, come Il numismatico o Mons. Celestino Cavedoni che esamina un'antica moneta, databile verso il 1870: l'opera, riconosciuta in raccolta privata, mostra chiari intenti documentari nella ricostruzione accuratissima e "verosimile" di un episodio legato all'erudito modenese.
E ancora, l'accezione di "verismo" per Narciso, come per altri artisti coevi, si esplica nello specifico terreno della ritrattistica, che spesso utili/za un modello fotografico. Attecchita in Modena negli anni "50 del secolo, la fotografia aveva avuto un esordio in cui si misurò con la realtà figurativa tradizionale. Adeodato Malatesta. con l'apertura verso il nuovo e la ricettività che gli erano proprie, era stato fra i primi a vagliarne le potenzialità, tentandone anche una sintesi sperimentale con la pittura, e quindi impiegandola in numerosi episodi quale supporto alle consuete tecniche figurative. Su quell'autorevole esempio, il modello fotografico si rinviene sotteso a varie pagine ritrattistiche dell'arte modenese dal '60 in poi, anche dello stesso Narciso, quali l'Architetto Luigi Poletti del 1870 (Modena, Civica Biblioteca Poletti). la Dama con stola d'ermellino e il N. H. Giulio Ferrari Lelli (entrambi di collezioni modenesi), determinando un'acribia illustrativa, talora un'oggettività quasi spietata che diviene tanto più "verista" quanto più s'allontana dai canoni idealizzanti dell'ancor recente passato ritrattistico.

Giovanni Muzzioli
Ritratto della signora Palazzi
1893

Ma troppo profonda è l'impronta classicistica, ovvero l'educazione accademica sugli stili "storicizzati", in Narciso come negli altri modenesi del tempo, impegnali in tale svolta estetica, perché valori tradizionali non riaffiorino nel corpus delle loro opere, anche con esili di alta qualità. Ne sono superbi saggi, nel calalogo di Narciso, le due Nature morie della Raccolta datate al 1876. che si rifanno ai precedenti sei-settecenteschi di Cristoforo Munari. Felice Boselli e Felice Rubbiani nella Galleria Estense e in collezioni private cittadine, a riprova delle frequentazioni museali dell'autore. Suggestioni dal passato si colgono anche nel S. Sebastiano della chiesa del Voto di Modena. con richiami ai modi di Guido Reni. e nel 5. Giorgio e i! drago, pala del 1870 nella parrocchiale di Ganaceto di Modena. ove l'immagine dei santo guerriero a cavallo pare citazione dei secenteschi ritratti equestri di duchi e principi nelle raccolte estensi. Gli ambienti attorno all'Accademia modenese, dal 1877 declassata a Istituto d'Arte, dunque si muovono fra rinnovamento in senso "verista" e recupero di collaudate formule. Eloquente è la vicenda di un anziano maestro come Giuseppe Zattera (Legnago MI 1825 - Modena 1891), che nella passala produzione di temi storici e religiosi aveva seguito i modi di Adeodato Malatesta, assecondandone la svolta "verista" nella S. Famiglia e i Ss. Anna e Gioacchino del 1870 nella chiesa modenese di S. Barnaba. Diversamente, in opere come questa Primavera del 1882 nella Raccolta d'Arte, o come La danza del/e ore della Galleria Estense attinge dalla pittura veneta sei-settecentesca gli effetti tonali, il battito del chiaroscuro atmosferico, le riflessature cangianti delle stoffe, secondo un gusto decorativo alla Favretto e alla Fortuny.
La moda neofiamminga a cui prima s'accennava è fonte ispiratrice per La lezione della nonna, tela della Provincia che il reggiano Antonio Magnani ( Cavriago RE, sec. XIX) compie verso il 1870: una pittura intimistica condotta con cura sottile, anzi lenticolare. come guidata dalla luce che penetra dall'ampia finestra e investe le figure, scivolando sui modesti arredi di una casa di campagna. E' un punto di stile memore dei grandi pittori d'interni del Seicento olandese. Lo stesso Magnani tenterà un linguaggio meno filtrato dagli stilemi storico-museali in Massi di tufo (Modena, Museo Civico): un soggetto all'aperto, forse scelto sotto l'impulso innovatore impresso alla scuola di paesaggio dell'Accademia modenese dal bresciano Mario Di Scovolo, docente dal 1871 al "77, che introdusse un inedito approccio ai temi naturalistici mediante lo studio diretto sul "vero". Il richiamo di Di Scovolo dovette venir raccolto, se di questa nuova sensibilità s'avverte traccia anche in saggi della Raccolta provinciale: così nel Paesaggio "dal vero" di Dionigio Carani (Sassuolo? sec. XIX), realizzato verso il '77, e la Spiaggia del Lido di Venezia eseguita nel 1881 da Francesco Frigieri (Modena 1850 ca. - ?). Quest'ultima tela lascia trapelare, nell'intonazione quotidiana e antiretorica, l'ampliarsi della rete dei riferimenti stilistici e interpretativi in direzione dei Macchiaioli. del Cabianca e del Lega in primis. Tradizionale, invece, e spesso ancorala a sottigliezze ottimistiche è la pittura di paesaggio di Filippo Reggiani (Modena 1838 - Villanova MO 1905), autore di Rive del Panaro del 1876. appartenente alla Raccolta: e tuttavia l'autore, qui come altrove, esperisce modalità alternative nel comporre, costruendo le sue vedute su tagli di derivazione fotografica, e dunque dopo una laboriosa ricostruzione in studio. Intanto. verso l'80 il reggiano Felice Vezzani (Novellara RE 1850 ca. - 7) dipingeva La VÌI Sala della Gallerìa Estense, di proprietà provinciale, che sembra ispirarsi puntualmente a un dipinto di Telemaco Signorini. Aspettando o Nello studio, di collezione privata (ripr. in La pittura in Italia. L'Ottocento. Milano 1990. p. 317). Giungevano dunque nuove linfe all'arte modenese dall'ambiente toscano attorno ai Macchiaioli, nonostante le diffidenze dei circoli accademici- Già Firenze era stata. nel corso del secolo, uno dei poli d'attrazione, con Venezia e Roma, per la cultura figurativa locale. allargandogli orizzonti delle giovani promesse in campo artistico, da Adeodato Malatesta a Bernardino Rossi, a Luigi Asioli. Ora, a partire dal 1872, il Premio Poletti -un pensionato di studi presso le Accademie di Roma e Firenze. istituito dal celebre architetto modenese Luigi Poletti - costituiva un nuovo tramile fra Modena e quelle fecondissime realtà, osservatorii privilegiati sugli sviluppi dell'arie europea. Così accadde per il primo vincitore del Premio, Giovanni Muzzioli (Modena 1854- 1894). che nel 1874 aveva inviato da Roma un saggio di studio, Àbramo e Sara alla corte del Faraone (con replica nella Raccolta Provinciale dovuta ad Arcangelo Salvarani del 1902) che univa il "verismo" alla Morelli con un'orchestrazione scenografica dalla grandiosità per Modena inusitata. Dì lì a poco, nella Danza

Giovanni Muzzioli
Giovanni Muzzioli
Poppea che fa portare la testa di Ottavia
1875
delle spade di proprietà della Provincia, compiuta nel 1878 in Firenze - ove dal '76 aveva aperto l'atelier, visitato dai grandi mercanti internazionali - Muzzioli sintetizza le sue molteplici esperienze a contatto con la più avanzata cultura europea. Tra i primi soggetti antichizzanti dell'artista, che sarà uno dei maggiori interpreti di questo filone, La danza delle spade s'accosta, nel'ambientazione greca, alle opere dei "classicisti accademici" inglesi quali Friederic Leighlon e Lawrence Alma Tadema. le cui opere Muzzioli aveva conosciuto nel precedente soggiorno di studio a Roma, fra il '73 e il '75, presso il circolo anglofilo di Nino Costa. Ma soprattutto, al di là del tema "all'antica", il dipinto palesa l'assimilazione del lessico più aggiornato, quello che s'andava discutendo nei gruppo artistico del Caffè Michelangelo. E' infatti una veduta en plein air, con la città in lontananza pervasa da una limpida, naturalistica luce, mentre la terrazza in cui si svolge l'episodio - con personaggi desunti dalla quotidianità, benché in paludamenti greci - rimane in controluce, secondo una regia chiaroscurale misurata "dal vero" (forse dal piazzale Michelangelo di Firenze?}. E la tecnica con cui è restituita la vegetazione, con effetti che scompongono vari timbri cromatici, rivela l'adozione della "macchia", quella, ad esempio, che si rinviene nelle opere di Silvestre Lega delia fase di Piagentina, ai primi degli anni '60. Altra coeva versione della Dama delle spade - delle quattro documentale - è nota in raccolta privala modenese, con varianti nell'elemento architettonico sulla sinistra, avvolto dal rampicante. La tersa atmosfera di questa composizione avrebbe lasciato luogo a una più coinvolta pittura, seguendo la maniera rutilante e spettacolare affermatasi nei Salons parigini: così in tele quali l'esotica Maddalena del 1880, sull'onda del processo di laicizzazione del soggetto religioso inauguralo dal Morelli (ubicazione ignota: fotografia d'epoca ripr. in Giovanni Muzzioli 199l.p. 17). Al tempio di Bacco del 1881 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna; altra inedita versione in raccolta privata di Modena), i Funerali di Britannico del 1888. spettacolare ricostruzione di marmi e monumenti della Roma antica alla Alma Tadema. ma con brani esecutivi mirabili per gli effetti "impressionistici" (Ferrara, Museo Civico). Mentre ritratti d'allure mondano, come quello delia Signora Palazzine] Museo Civico di Modena, O l'Anziana signora in abito nero di proprietà privata andranno consolidando la fama di Muzzioli pittore del "bel mondo". Anche Gaetano Belle! (Modena 1857 - 1922) dopo il Pensionato Poletti si fermava sino al 1894 a Firenze, egli pure attratto dell'attivissimo circuito mercantile. Di lui la Raccolta Provinciale conserva il Ritratto dell'avvocato Pier Luigi Sandonnino. del 1915. espressivo dì una ritrattistica ufficiale nell'alveo di un ormai consolidato "verismo". Eppure, il cammino artistico di Bellei era stato nei suoi esordi divergente dai percorsi abituali: i due saggi del Premio Poletti. l'Annunciazione del 1880 e la Resfa o Martirio dei fratelli Maccabei dell'81 (Modena. Galleria Polelli del Museo Civico), avevano rivelato, la prima, una sensibilità simbolistica anzi preraffaellita, calala in uno stile desunto da Morelli e da Michetti, la seconda un espressionismo visionario dagli influssi nordici. In seguito. Bellei avrebbe coltivato una brillante pittura "di genere", di cui sarebbe divenuto interprete applaudito in campo internazionale, ispirata all'aneddoto quotidiano: una sorta di involuzione, in senso illustrativo e vignettistico, dei temi domestici già propri della poetica "verista". Le sue tele, spesso con risvolli intimistici, dovettero ispirare Umberto Cavazzuti (Modena 1882 -1927), autore di Occhi grigi della Raccolta d'Arie, databile ai primi anni del "900, ritrailo femminile d'intonazione affettuosamente sentimentale, fra "genere" e "verismo". Al fianco del Bellei, anche Achille Boschi (Modena 1852 - 1930), vincitore del secondo premio Poletti nel 1876, rinveniva nel generismo la tematica più congeniale. Lo palesa anche un dipinto da lui eseguito nell'anno 1900, Le amatrici di antichità, già nella collezione provinciale, ora noto da una stampa fotografica d'epoca; un dipinto che assemblava spunti compositivi variegati, da Favretto a Chierici, da Palizzi ai Macchiaioli, per sortire un esito piacevole e accattivante, d'indubbio successo sul mercato collezionistico. Nell'ambito della ritrattistica di rappresentanza. il Signor Vincenzi di Augusto Valli (Modena 1867 - 1945). in deposito presso la Provincia di Modena dal 1996, è sicuramente uno dei vertici più alti. Vincitore del Premio Poletti nel 1885, Valli s'affermò come pittore africanista,

Gaetano Bellei
Resfa o il martirio dei fratelli Maccabei
dopo spedizioni in Etiopia da cui riportò una ricca serie di tavolette, presso il Museo Civico, con rapide impressioni di vedute e personaggi esotici. In questo ritratto degli anni '90. di vigorosa interpretazione, esibisce un linguaggio "verista" appreso dai dipinti del Morelli, filtrato attraverso lo stile di Giovanni Muzzioli, quello ad esempio del coevo Marchese Fontanelli, di proprietà privata modenese (ripr. in Giovanni Muzzioli, 1993. p. 100). Di formazione ancora ottocentesca, sotto il celebre pittore torinese Andrea Gastaldi, Camillo Verno (Campertogno(Vercelli) 1870- Modena 1942) possiede un linguaggio rigorosamente naturalistico, che s'esprime nel suo notevole Ritratto dell'avvocato Ludovico Vaccari del 1915. di proprietà della Provincia. E proprio la sua sapienza professionale, congiurila alla prassi del costante misurarsi sul vero, costituirà il sostrato del suo insegnamento presso l'Istituto d'Arte di Modena. a partire dagli anni '20 del Novecento, dapprima come docente di Figura e quindi come Direttore. Anche nel settore della scultura modenese già è nolo come le innovazioni "veriste" ricevessero un ulteriore e determinante impulso dall'allargamento della visuale sull'arte offerto dal Premio Poletti. Tanto che Silvestro Barberini {Moderni 1854- 1916) inviava da Firenze nel 1881 come saggio del Pensionalo il gruppo statuario Delirium tremens, che suscitava profonda impressione per il suo crudo realismo. L'opera, raffigurante un alcoolizzato di misera condizione in preda al delirio, assistito da una donna disperata, sviluppava infalli gli assunti naturalistici che avevano animalo la produzione giovanile di Giovanni Duprè. allora caposcuola dell'Accademia fiorentina: in più, sì coglieva in quel soggetto una vibrala denuncia sociale, dai toni analoghi a quelli di episodi di tema pauperistico come Proximus tuus, discussa statua del napoletano Achille D'Orsi (Roma. Galleria Nazionale d'Arie Moderna). Un simile linguaggio dal timbro drammatico e coinvolto avrebbe costituito un precedente non dimenticato, sui primi del '900. da Giuseppe Graziosi scultore, che del Barberini sarebbe divenuto allievo. E tuttavia, in un percorso figurativo che può essere parallelo a quello pittorico di Gaetano Bellei. Silvestro Barberini avrebbe in seguito rigettato i valori innovativi degli esordi per un'arte più "accondiscendente", in linea con i canoni invalsi del "floreale umbertino". L'elegante busto di Ofelia nella Raccolta Provinciale, scolpito attorno al 1895, è prova di un eclettismo stilistico che giunge a esili Liberty, attingendo dai registri del passato, e in particolare dalla statuaria barocca, nella scia di autori come Giulio Monteverde.

Il primo Novecento
anche la prima educazione di Giuseppe Graziosi (Savignano sul Panaro, Mo 1879 - Firenze 1942) s'ambienta nell'Istituto d'Arte modenese e. dal 1898, ella Firenze degli ultimi Macchiaioli. Già personalità come Muzzioli in primis avevano introdotto in Modena : novità di poetica e di stile provenienti dalla Toscana; ma ora, a Firenze, Graziosi sperimenta un approccio al ero nello spirito del suo maestro, l'anziano Giovanni Fattori, che è autentica immersione nella natura. vincolata dai retaggi dell'accademia, al fianco di artisti esordienti come Armando Spadini e Giovanni Costetti. Per Graziosi, ancor più che la frequentazione della Biennale di Venezia nel 1901 e della grande Mostra di Roma dell'anno successivo, sarà il soggiorno parigino del 1903. fra l'aprile e il giugno, a rinsaldare le scelte a favore del post impressionismo. Egli elegge Rodin e Millet a modelli, come riferisce in una lettera del 4 maggio, guardando inoltre a Malloil. a Meunier e alla Kollwiz per la scultura, e ad autori come Renoir e Bonnard per la pittura.

Giuseppe Graziosi
La Madre
E Piena estale, olio nella Raccolta Provinciale che Graziosi dipinge appena rientrato da Parigi, è per Modena testo di straordinaria novità. Qui, come nelle tele Afa, esposta nel 1904 alla Galleria Corsini di Firenze, e Sull'aia, di quello stesso anno (ripr. in Petrucci, 1994. pp. 21 e 55), scompare il disegno, assorbito dall'irruenza del colore, steso a lunghe pennellate filanti con tecnica divisionistica. Un colore di luce che dilaga polente, nei timbri del giallo, dell'ocra. delle terre bruciale. La solarità, tipica degli esterni campestri del Graziosi, si carica di un senso di grevità, e diviene calura che incombe su persone e animali. Non più l'aneddoto, il racconto di fatti, la descrizione d'ambiente: sovverte i valori propri dell'accademia e del "verismo" quest'arte intuitiva, che abolisce la struttura) prospettica, il chiaroscuro, i valori plastici, per esprimere la percezione attimale, l'emozione della presa diretta su un momento di vita.
L'alta lezione di Graziosi, che ha nella tela della Provincia uno dei saggi più precoci e perentori. contribuirà ad aprire nuovi varchi per l'arte modenese. Appunto da simili opere si dipanerà il fortunatissimo) e variegato filone del post impressionismo locale, che potrà vantare esponenti come Evaristo Cappelli, Giovanni Forghieri. Casimiro Jodi, Ugo Lucerni, il giovane Mario Vellani Marchi e tanti ancora, sino all'evoluzione nel "chiarismo" di Augusto Zoboli, Leo Masinelli, Tino Polloni. Sulla strada spianata da Graziosi avanza Evaristo Cappelli (Formigine Mo 1868 - Modena 1951). la cui produzione è esemplificala nella Raccolta da due importanti dipinti. Fiordaliso e Aratura in montagna, databili attorno al 1910. A quel giro d'anni. Cappelli ha già condotto a maturazione un processo di dislacco dal "verismo" tardo ottocentesco che. ancora agli esordì del nuovo secolo, era coltivalo con successo da autori quali Eugenio Zampighi. Gaelano Bellei. Eugenio De Giacomi, Filippo Reggiani... Nato nel 1868. Cappelli non potè, tuttavia, che esordire in quell'alveo: un cospicuo Ritratto di gentiluomo in collezione privata modenese, assegnabile attorno al 1890, lo mostra alla ricerca di un linguaggio efficace e abbreviato, dalle pennellate mobili e sciolte, che accennano più che definire. Oltre all'esempio di Graziosi. sarà il soffio del Liberty a far lievitare, ai primi del '900, la pittura di Evaristo Cappelli. Ecco, nel 1910, gli affreschi nella Villa Spezzani Cionini a Magreta di Formigine. dove, in un soffitto, Flora e Zefìro intrecciano voli tra fiori smaglianti e nubi luminose: un esito che attinge a) gusto floreale, attraverso il recupero della grande decorazione sei-settecentesca d'ambito bolognese, nonché della scuola ornatistica carpigiana dell'Ottocento, quella di Andrea Becchi, Albano Lugli, Fermo Forti. Una capacità di innervare le novità di stile sul tronco della tradizione locale che è ben documentata dal bozzetto di quel soffitto, emblematico della cultura Liberty. La propensione di Cappelli per l'affresco d'ampio respiro verrà riconfermala dall'Allegoria della Primavera nella volta dell'atrio del Palazzo Fantini di Modena (corso Vittorio Emanuele II), che documenti datano al 1920, oltre che nei cinque riquadri alle pareti dello scalone del Palazzo già della Banca Popolare di Modena (via Emilia n. 66 - corso Canalgrande n. 46), con le allegorie dei fiumi Secchia e Panaro e le vedute modenesi della Città, del Monte, del Piano, sempre del 1920.
In simili episodi Cappelli partecipa al clima del Simbolismo, come anche in Fiordaliso della Raccolta d'Arte, celebrazione della primavera e della giovinezza, bimana il fascino di una brillante Belle Epoque, vagamente alla Boldini, il Ritratto della contessa Castiglioni a tutta figura, mentre un tono intimistico esprime il ritratto della Madre nel Museo Civico di Modena. notturno domestico dove la luce si scompone in tasselli di colore. Ma è in opere come i due dipinti della Raccolta Provinciale che Cappelli dispiega le sue potenzialità di stile e d'interpretazione. che lo rendono, dopo Graziosi, l'artista modenese più grande di quel primo '900 modenese. E' un post impressionismo, il suo, che si fonde a istanze divisionistiche. nell'annullarsi del segno e nello scomporsi del colore in tessere o in filamenti: così nella Mietitura, pastello di tema agreste nel Museo Civico, dove lunghi tratti di giallo, ocra, verde, bruno fluttuano restituendo l'ondeggiare del grano sotto il lavoro dei contadini.

Evaristo Cappelli
Evaristo Cappelli
Ritratto della madre

Divisionismo dal versante stilistico e Simbolismo da quello interpretativo sono i parametri in cui si muove un altro pittore modenese, non ancora opportunamente valutato dalla storiografia: Alberto Artioli (Modena 1881 - 1917). di cui la Raccolta vanta una tela di grande suggestione. Piazzale S. Giacomo o Lavoro notturno del 1915. Vincendo il Premio Poletti nel 1904, Artioli è condotto nel fertile ambiente romano e può così rielaborare gli assunti divisionistici di un Previati e di un Mentessi con altra consapevolezza. Confluiscono nella sua opera il notturnismo inquieto di Mario De Maria e l'impegno sociale di Previati - significativo in tal senso anche un titolo come Miserie, incisione del Museo Civico del 1915 -, oltre a certi effetti alla Eugène Carriere, con interni in penombra che s'accendono di luci opalescenti e traslucide, come nella Maternità di collezione privala o nell'Autoritratto del 1910 del Museo Civico. Ama l'artista le visioni crepuscolari, come Verso sera, tela nello stesso Museo che riprende il fianco del Duomo di Modena sulla piazza Grande, sotto la luce vespertina che scompone l'immagine in un pulviscolo luminoso dagli accordi azzurrini. Ma soprattutto, è interessante d'Artioli il registro sirnbolistico, di sapore nordico ma anche vicino al Liberty di De Carolis, che anima le silouettes. dei Pini marittimi, acquatinta del Museo Civico situabile al 1910, dallo straordinario fascino evocativo, nonché quel decadentismo sensuale, dannunziano, che s'esprime nella splendida Primavera di collezione modenese. Sovviene, a proposito di Artioli. di un artista modenese che condivise la medesima vena, ugualmente incline alle vedute notturne: Giuseppe Miti Zanetti, noto per le tele e le acqueforti in cui fissa una Venezia immersa in ima struggente decadenza.
La poetica rustica di Graziosi e il suo fraseggio post impressionistico sono raccolti da Giovanni Forghieri (Modena 1898 - 1944). rappresentato nella Raccolta da due importanti olii: Contadina con cesta del 1924 e l'inedita Certami, paesaggio montano che reca la data del 1° giugno 1938. Palese è il debito del giovane Forghieri verso Graziosi già nella tela del Museo Civico Giovan Battista Malagoli nella sua officina, saggio con cui vinse il Premio Poletti nel 1921: la settecentesca bottega del noto fabbro ducale è come "attualizzata" in una contemporanea fucina, e lutto moderno e lo spirito interpretativo della dignità del lavoro. Ma anche il Liberty dai tratti allungati e sinuosi. alla Cappelli, dovette affascinare in questi anni l'artista, che lascia nella Scena di mercato di proprietà Rolo Banca, datata al 1921. un brano di pittura vivace e nel contempo di grande raffinatezza (ripr. in Scolaro. 1992. p. 246). Da Graziosi Forghieri assimila in particolare l'effetto di destabilizzazione dei piani, che impronta opere quali La Rocca dì Savignano del 1921. dallo scivolamento prospettico di remota matrice cézanniana, e la coeva Scena rustica, dove una contadina sparge il becchime per le galline in un interno dalla visione deformata (olii entrambi nel Museo Ci vico); in quest'ultimo saggio, oltre la parete di fondo si spalanca una veduta di Savignano dall'amplissimo respiro, come una sorta di quadro automomo rispetto alla trasparente architettura che lo "incornicia". E', quella di Forghieri, una pittura serena e contemplativa, che sa orchestrare vasti scenari di paesaggio, restituendone la qualità atmosferica mediante la dialettica chiaroscurale e la sensibilità cromatica. Nel suo percorso d'arte, prematuramente interrotto nel 1944, quando morì sotto a un bombardamento, l'adesione al post impressionismo alla Graziosi e alla Cappelli si sarebbe via via decantata in una nuova essenzialità di linguaggio, già sperimentata nel ricco corpus di disegni epastelli. Un'essenzialità che informa l'Autoritratto nel Museo Civico, a cui il taglio in diagonale conferisce una angolare immediatezza, già dichiarata nel Ritratto della madre (Modena, raccolta privata), esposto alla Seconda Biennale Romana del 1923: un'intensa immagine che affiora dallo sfondo costruita con lunghi e incisivi tratti 4pennello, che sembra tendere a effetti espressionistici (altra versione ripr. in Frigieri Leonelli, 1987, p. 124). Un altro nome va aggiunto al novero degli artisti del '900 Modenese, quello di Ugo Lucerni (Parma 1900 - Firenze 1989); nome sino ad ora poco noto, ma che la qualità dei due olii di proprietà della Provincia - Mercato del pesce Le absidi de! Duomo di Modena - impone di non tralasciare. Formatosi presso l'Istituto d'Arte di Modena, "attorno al '20 Lucerni fissava la sua residenza a Savignano sul Panaro, paese da lui ritratto in numerose vedute come i due dipinti presso il Museo Civico. Paese e Scorcio di paese. E la sua pittura, dai tocchi brillanti di gusto bozzettistico, maturò nel dibattito con un gruppo d'artisti che solevano incontrarsi proprio a Savignano: tra questi, Giuseppe Graziosi - che di Lucerni fu maestro -, Giovanni Forghieri, Ivo Soli. Ferdinando Cavicchioli, Mario Vellani Marchi.

Arcangelo Salvarani
Arcangelo Salvarani
Autoritratto

Un cenacolo intellettuale, questo di Savignano, che si accoglieva nello studio di Graziosi o nella casa di Ottorino Vecchiati, che indubbiamente merita di venir delineato, radunando alcune tra le personalità più interessanti dell'arte modenese. Il tema vedulistico, di ampio successo in area locale, è privilegiato da Arcangelo Salvarani (Carpi Mo 1882 -Modena 1953), che rinviene il suo mezzo più congeniale nell'acquerello. Una scelta dovuta al curriculum dell'autore che, dopo una solida formazione fra Modena a Firenze,nel 1908 si trasferiva in Polonia, con soggiorni te Ucraina. In quei luoghi apprendeva le potenzialità dell'acquerello, assai diffuso presso gli artisti dell'Est. Stabilitosi in Modena alla fine del primo conflitto mondiale, dopo una drammatica prigionia in Austria. Salvarani si sarebbe dedicato in prevalenza a questa tecnica, dando vita a fogli di trasparente freschezza, spesso di gusto cronachistico, come Demolizioni in via 5. Agata a Moderni del 1930 circa, nella Raccolta Provinciale. Più rari i suoi olii, come / bernardini, singolare ritratto di due ragazzini che sembrerebbe richiamarsi addirittura ai fauves per la forte espressività cromatica(ripr. in Frigieri I.eonelli 1987, p. 162), o come il malinconico Autoritratto nello studio del Museo Civico, episodio percettivo del battito della luce e dei valori atmosferici, proprio come un acquerello, che lo vede inserirsi nel clima del post impressionismo. Fu questo il registro di stile con cui Salvarani esplicò anche la pittura ad affresco - fu docente presso l'Istitito d'Arte "Venturi" di Modena di Decorazione pittorica murale -, come i più giovani Alfonso Artioli. Giuseppe Mazzoni, Leo Masinelli; rappresentativa dei modi di Salvarani è la volta affrescata con l'Allegoria de! risparmio, del 1920, in una sala della ex sede della Banca Popolare di Modena (corso Canalgrande n. 46). dove ancora aleggiano le piacevolezze del Liberty alla Evaristo Cappelli. Sulla scia di Salvarani, anche Pietro Pagliani (Modena 1901 - I983) rinviene nell'acquerello, nonché nella tempera e nel disegno, il medium adegualo per descrivere angoli urbani e paesaggi. Ne è prova cospicua la serie di vedute di Modena e di luoghi della provincia possedute dalla Raccolta d'Arte, dove sono congiunti l'acuta resa del dato reale e il sentimento evocativo. Possiede le premesse nel post impressionismo anche lo stile brillante di un altro protagonista di quel primo Novecento. Casimiro Jodi (Modena 1886 - Rovigo 1948). che ben presto diventerà un autentico "pittore alla moda". Se in opere come il Ritratto della sorella Camilla nel Museo Civico - affascinante immagine di giovane signora in nero, databile attorno al 1913 - già si dichiara ''pentre de la femme", sulla scia del Veneto Mario Cavaglieri, nella Donna coi lampioncini della Provincia, di quegli stessi anni, sostituisce il piglio mondano a un timbro intimistico: nell'interno in penombra. rischiarato dalle luci colorate delle lanterne di carta, una giovane sorride con espressione accattivante e colloquiale. Può sovvenire di certe atmosfere di Bonnard, di Vuillard. le cui suggestioni torneranno in altre pagine di Jodi. E soprattutto vi si coglie, in quelle lunghe, avvolgenti pennellate, una personale evoluzione dalla tecnica esuberante di Graziosi alle eleganze di un déco europeo. Memorie di Graziosi, di Cappelli, di Artioli e delle loro vedute di piazze, vivacissime di folla e di banchi tra le quinte di vetusti monumenti, si avvertono nell'altro olio della Raccolta. Il mercato delle erbe a Verona che Jodi dipinge nel 1919: una visione en plein-air ove la luce e non meno la penombra si traducono in frammenti di puro colore, denotando affinità con autori bolognesi quali Fioresi e Pizzirani. Esiti che palesano l'influenza della solare pittura di Pio Semeghini, il noto artista di Quistello che fin dal secondo decennio del secolo era stato consueto alla realtà modenese e che allora, verso il 1920. come Jodi risiedeva a Verona; e Semeghini fu il suo tramite con la "scuola di Burano". il gruppo di artisti raccolto attorno alla casa di Anna Moggioli, vedova del pittore Umberto Moggioli. Infatti, // mercato delle erbe si data al ' 19, l'anno cruciale della conoscenza da parie di Jodi dell'ambiente veneziano, propiziato dalla mostra di Ca' Pesaro, a cui - come osservava Diego Arich de Finetti (1996) - parteciparono sia l'artista modenese che Semeghini.
L'esperienza buranese fu fondamentale anche per Mario Vellani Marchi (Modena 1895 - Milano 1979). di cui la Raccolta d'Arte possiede un'opera giovanile, sotto le suggestioni della poetica di Graziosi: Interno di cortile del 1922, vicino per cronologia e per stile al Rustico in Valtellina del Museo Civico, un olio su cartone della stessa data. Oltre al soggetto, è analogo il taglio compositivo, con l'impaginazione prospettica di sott'in su, che lascia un esiguo ritaglio ai monti e al cielo. E già in dipinti di poco successivi, come nel Paesaggio francescano eseguito attorno al 1925, sempre nel Museo Civico, o in Pagliai umbri del 1927 (ripr, in Vellani Marchi, 1994. p. 251 l'artista si muove nel senso di una più salda consistenza formale, di una nuova essenzialità che opta per larghe campiture di colore e nel contempo per esili di forte plasticismo. Tali gli effetti della sempre più assidua consuetudine con il circolo milanese attorno a "Novecento", che raccoglie artisti da Carrà a Malerba, da Sironi a Oppi (così W. Guadagnini in Vellani Marchi. 1994). Si fa strada un'interpretazione assorta e meditativa, che abolisce ogni residuo di gusto pittoresco e che invece inclina verso semplificazioni novecentiste. Nel mentre, attorno al 1924 si rinsaldano i rapporti di Vellani Marchi con la "scuola di Burano" e in particolare con Pio Semeghini. autentico intermediario fra i modenesi e il fecondo ambiente veneziano. Ed ecco che una nuova sensibilità, derivata dalle luci della laguna veneta. brilla negli impasti cromatici di Vellani Marchi, e una concezione atmosferica fluida e avvolgente traspare nei suoi dipinti buranesi: è l'evoluzione in senso "chiarista" di opere quali Burano, orto grande del 1935. e Sandoli buranelli all'approdo del "38 (ripr. in Vellani Marchi, 1994. pp. 40 e 41).

Casimiro Jodi
Casimiro Jodi
La serra del Giardino Pubblico di Modena

Non a pieno valutata dalla storiografia, ma di notevole fortuna collezionistica è la produzione di Augusto Zoboli (Modena 1894 - Formigine Mo 1991), di cui la Raccolta Provinciale possiede una piccola ma significativa "antologia". Se Anzio, teletta del 1921, evidenzia nel fare veloce e compendiario un post impressionismo ehe volge al déco, in consonanza con lo stile coevo di Jodi e di Corsi. Fioresi e Pìzzirani. la Chiesa della Salute in Venezia del 1925 appare influenzata dall'opera d'identico soggetto dipinta da Giuseppe Graziosi fra il '23 e il "24, E Zoboli vi raccoglie quel messaggio di ripristino dei canoni prospettici, e di acuita sensibilità per l'aspetto metereologico, dove le luci vibrano esaltando le architetture, in un empito di grandiosità neobarocca. Di Zoboli, anche Un canale veneziano e Venezia nella Raccolta d'Arte sembrano echeggiare nella tavolozza smagliante la sontuosa luminosità del Canale dì Venezia che Graziosi aveva eseguilo negli anni '20. Anche per Zoboli. come per altri autori con radici nel post impressionismo, molto dovette valere la conoscenza della "scuola di Burano". In tal senso, fu preziosa per Zoboli la lezione stilistica dell'amico Vellani Marchi, con il quale aveva compiuto un proficuo soggiorno veneziano nel 1919. Dal cenacolo d'arte buranese Zoboli apprende il peculiare sentimento del colore e della luminosità lagunari, che faranno della sua opera una fra le più interessanti espressioni del tonalismo cromatico in ambito locale. Fu quella di Zoboli un'attività fecondissima, divisa tra Modena e Firenze: una svolta determinante nel suo percorso d'arte sarebbe stata impressa dal viaggio a Parigi e a Rouen del 1951, da cui sarebbe derivala una nuova immediatezza espressiva.
Anche per l'itinerario artistico di Leo Masinelli (Modena 1902 - Venezia 1983| l'esperienza veneziana doveva risultare assai incisiva. Negli anni '20 e '30, infatti, i suoi dipinti si orientavano verso il filone post impressionistico, dominante in ambito modenese, con interessanti episodi di un neoseicentismo all'olandese, che si riallacciava alla locale eredità ottocentesca; è il caso della natura morta con Mele del 1926, nella Raccolta Provinciale, dalle tinte lucide e smaltate emergenti dal fondo scuro, in analogia con esili coevi di Tino Pelloni, quali i dipinti con Fragole e Castagne anteriori alla svolta "chiarista" (Modena, proprietà privata). Ma dagli anni '40, i contatti con la "scuola di Burano", mediati dall'amico Vellani Marchi, arricchiscono di nuova e luminosa cromia la tavolozza di Masinelli: le sue vedute lagunari sono evocale da una pennellata morbida e vibrante, che se da un lalo deriva dal linguaggio di Graziosi, di Cappelli, di Jodi, certo acquista più solarità dallo studio del tonalismo atmosferico di Pio Semeghini. E tuttavia, rispetto alle liquide trasparenze del maestro mantovano, Masinelli rimarrà pur sempre fedele a un sostrato "costruttivo" e più materico, come palesa una Marina del 1945 (ripr. in Frigieri Leonelli, 1987. p. 278), fra le sue tante visioni dei dintorni di Venezia. A Vellani Marchi Masinelli sembra rivolgersi nella ricerca di una solidità "novecentista". alla Carrà. alla Funi, in certi suoi episodi ritrattistici come la Fanciulla del 1941 (ripr. in Frigieri Leonelli, 1987. p. 278).

Casimiro Jodi
Ritratto della sorella Camilla

Ma sarà Tino Pelloni (Modena 1895 - 1981) il più originale interprete di quel "chiarismo" modenese, derivato dalla "scuola di Burano". Parte l'artista da premesse novecentiste. quelle che ad esempio sostengono il rigoroso Ritratto di Egle del 1927 (ripr. in Guandalini. 1985. p. 25), testo alla Sironi per plasticismo. sobrietà. gamma cromatica, non distante dalla Testa di donna eseguila da un altro grande maestro conterraneo. Mauro Reggiani, nel 1929-30 (ripr. in Fuoco, 1993. p. 56). All'epoca Felloni va ricercando un'identità espressiva anche nelle riflessioni sul passato, come evidenziano le sue nature morte di gusto neoseicentista come Abbondanza del 1929, sorla di riedizione dei ricchi apparati di Cristoforo Munari e di Pier Francesco Cittadini (ripr. in Guandalini, I985, p. 11). Gli anni trenta lo vedono sempre più coinvolto nella sperimentazione dei colori puri, che vibrano in una luce piena e animale. E' dapprima il soggiorno a Tripoli, nel '29, a rivelargli atmosfere d'inedita luminosità, ben restituite da bozzetti come Mercato tripolino in raccolta privata (ripr. in Frigieri Leonelli. 1987, p. 264). Quindi lo affascina l'incontro con le opere degli impressionisti francesi esposte alla Biennale di Venezia del '48, a cui egli pure partecipa. E' una somma di esperienze che culmina con la conoscenza della "scuola di Burano" e in particolare di Fio Semeghini: una conoscenza che, a ben vedere, doveva risalire a vari anni prima: opere quali la Venezia del 1926 e la tavoletta con La Colonna di S. Marco a Venezia di quello slesso momento (ripr. in Frigieri Leonelli, pp. 262 e 265) paiono documentare una più precoce "simpatia" verso la poetica di Semeghini, E la naturale evoluzione dello stile di Felloni si attuerà nel graduale trasporsi delle istanze impressionistiche nella poetica "chiarista": già in Case di Burano del 1948 si attenua la trama disegnativa. a cui è sotteso un colore come in dissolvenza nella luce bianchissima. Maestro del "chiarismo" modenese, l'autore partecipa della medesima stagione artistica di Semeghini. Guidi. Lillonì, Ferina.... Anche la sua diviene "pittura di luce" - secondo la felice definizione di Francesco Arcangeli - che si manifesta anche nei tre dipinti della Raccolta, fra i quali emerge Fiori, degli anni '60, immagine di delicato lirismo in un'atmosfera intrisa di luminosità. Ancora guarderà a Burano e ai "chiaristi" Mario Gherardini (Verona 1906 - Modena 1956). la cui interessante personalità è stata soltanto di recente rivalutala. Nella sua poco più che decennale attività - dagli inizi degli anni '40 al '55 -. Gherardini elabora un lessico figurativo che ha i presupposti nello stile post impressionistico di Forghieri, per poi rivolgersi con peculiare ricettività ora verso Carni e Sifoni per le semplificazioni del "Novecento", ora verso Semeghini, Vellani Marchi e Masinelli appunto nella correlile "chiarista", ora. come nella Fornace di Vignola del '54 nella Raccolta Provinciale, verso De Pisis per quel tratto disegnativo veloce e disinvolto con cui ferma impressioni di paesi e di scorci urbani.

Le poetiche del "Novecento"
Accanto ai saggi del predominante filone post impressionistico, la Raccolta d'Arte registra puntualmente l'affermarsi in loco delle correnti del "Novecento"- In pittura ne è pagina esemplare la Raccolta della frutta a Vignola, databile attorno al 1935. di Bruno Semprebon (Modena 1906 - 1995), connotata da un gusto formalizzante che conclude le figure in contorni scuri, e al tempo slesso suggerisce "valori plastici", nella scia di Rosai e Marussig. Un plasticismo, una compattezza massiva a cui il giovane autore era consueto, avendo esordito come scultore nella bottega del padre marmista. Con la statua Il lanciatore di giavellotto - in sintonia con la tendenza alla monumentalità e al classicismo celebrativo del tempo - Semprebon s'era aggiudicato il Premio Poletti per la scultura nel 1930: da lì, il pensionato presso le Accademie di Roma e di Firenze. Un itinerario che l'artista nella sua lunga camera avrebbe abbandonato, per privilegiare il medium pittorico, elaborando negli anni "40 - '50 una personale riedizione di assunti post impressionistici, con simpatie per il "chiarismo" di Vellani Marchi e di Masinelli. Infine, attesterà il suo linguaggio su un iperrealismo dal nitore otticistico. quasi sub vitro, alla fiamminga.
Rimasta sinora ai margini della storiografia critica, la figura di Carlo Bazzani (Modena. sec. XX) fu assidua alle rassegne modenesi ed emiliane del quarto e quinto decennio del secolo. La sua Natura menu del '41, di proprietà della Provincia, lo mostra intento a conciliare l'eredità post impressionistica al rigore del "Novecento". con rimandi al plasticismo di Sironi e, soprattutto, di Carena.

Bruno Semprebon
Autoritratto,1950

Ma certamente, nel settore della pittura la personalità di maggior risalto per quanto attiene alla corrente del "Novecento" va individuata in Nereo Annovi (Modena 1908-1981).
Il suo Autoritratto nella Raccolta, un vigoroso olio del 1945. invera l'esito di un percorso che dal post impressionismo locale, alla Jodi ad esempio, ha saputo aggiornarsi sui testi di Felice Carena, docente all'Accademia di Firenze ove il giovane Annovi si sarebbe perfezionato, grazie al Premio Poletti vinto nel 1933. E ancora, riflessioni sul linguaggio di Carrà e di Soffici contribuiscono a immettere l'autore nel flusso dell'arte novecentista. E" una ricerca di sinteticità formale che nella veduta di Monterosso al mare della Raccolta, datata al 1957. si traduce in un procedere per stesure omogenee, in una progressiva perdita di spessore della forma e di profondità compositiva. Talora, è abolita la linea nera del profilo, ereditata dal "ritorno all'ordine", sino a ridurre l'immagine all'accostamento di sagome dai colori puri e omogenei, come di smallo: così in Mamma e bimba del 1950. tempera esposta alla XXV Biennale di Venezia (Modena. Collezione Banca Popolare dell'Emilia Romagna: ripr. in Fuoco. 1993. p. 98). In molli dipinti, come il Ritratto dì Jacopo Barozzi del 1958. di proprietà provinciale, s'assiste a un ribaltamento dei piani verso il riguardante, che sfocia in una reinventata prospettiva di stampo post cézanniano. Spesso, come in quest'olio, al centro campeggia una figura, o un brano di natura morta, insomma un elemento che assume il ruolo di perno attorno a cui sembra ruotare, con gusto scenografico, l'ambientazione. Una struttura spaziale che rammenta anche opere di Birolli, ad esempio il Ritratto della madre (Firenze. Raccolta della Ragione). Singolare è il profilo artistico di Elpidio Melchisedek Bertoli (Disvetro di Cavezzo MO 1902-Modcna 1982). i cui esordi sono guidati dall'insegnamento di Gaetano Belici. E l'eredità del "verismo" lardo ottocentesco è raccolta dall'opera che siglò l'ascesa dell'artista alla ribalta nazionale: l'Autoritratto esposto alla XV Biennale di Venezia nel 1926 (ripr. in Fuoco. 1993. p. 61 ). In quella prima fase l'autore condivideva i valori dei novecentisti, come il plasticismo e il rigore della struttura disegnati va. a cui era giunto mediante lo studio appassionato sui grandi modelli della storia dell'arte. Dopo un periodo incline al Simbolismo, attcstato da olii come Il vortice del 1935 circa (ripr. in Frigieri Leonelli, 1987. p. 253). fece seguito un linguaggio dalla pennellata sciolta, stesa con sicurezza, anzi con sprezzatura, riedizione personale del post impressionismo. Ecco dipinti come - per citarne alcuni nel la Raccolta - Paese di montagna e Giardino pubblico, nel ricordo, rispettivamente, di Graziosi e di Jodi; e sempre connotati dalla qualità distintiva di una cromia sontuosa e smagliante, che brilla, ad esempio, nel Cesto di mele dei primi degli anni '50.

La scultura
In tale settore ampia fu l'adesione da parte dei modenesi alle poetiche del "Novecento". Così per Benito Boccolari e Dante Zamboni. entrambi scultori olire che incisori; emblematici sono i loro rilievi nella Loggia al piano terreno del Palazzo Comunale di Modena, del 1938. con figure allegoriche dalle pose enfatizzate, nel recupero di una monumentalità di marca rinascimentale, in una soluzione assai simile a quella di Giovanni Prini nelle lunette dell'Arco della Vittoria a Genova, Cosi ancora Giovanni Bandieri, che nella Testa di giovinetta della Galleria Estense, situabile entro il '40, guarda ai modelli di Arturo Martini come il Busto di giovane del 1927 (Roma. Galleria Nazionale d'Arte Moderna), desumendone il primitivismo tanto congeniale al "ritorno all'ordine". E pure Alfredo Gualdi (Albareto Mo 1885-1958) s'allinea nell'attività scultorea a questa tendenza. In saggi come la Testa femminile del 1939. in gesso dipinto (ripr. in La Saletta degli Amici dell'Arte. 1992. p. 97), esibisce la riproposta dei valori plastici della locale tradizione di Guido Mazzoni, inverando così una personale interpretazione del quattrocentismo proprio del "Novecento", pur caricala di assunti veristi. E' di Gualdi. nella collezione provinciale, la Mucca con il vitellino, gesso patinato a bronzo collocabile al 1934. Influente è l'esempio di Giuseppe Graziosi sin dalla scella stessa del soggetto, fra i prediletti dell'artista savignanese - si veda, di questi. La madre, piccolo bronzo del 1912 raffigurante una mucca, di proprietà privala (ripr. in Fuoco, 1993. p. 29)-. Ma il modello è qui superato nella risentita stilizzazione: e al tocco impressionistico, che pur rimane nel basamento, si sostituisce una compiuta e levigata modellatura, tesa a effetti di plasticismo. Anche Vittorio Magelli (Modena 1911 - I988), pure in una variegata gamma interpretativa, propende in gioventù per il "Novecento", in una produzione che già alterna la scultura alla pittura e alla grafica.

Ivo Soli
Ivo Soli
S. Giovannino

Dopo gli studi modenesi, con il fondamentale magistero pittorico di Arcangelo Salvarani, il Premio Polliti gli apre contalli con il mondo romano, in particolare - come nota Francesca Petrucci (1996) - con autori quali Mafai. Scipione, la Raphael. Sono suggestioni che trapelano nei dipinti di Magelli degli anni '30. come il saggio di studio Adamo ed Eva del 1931 nel Museo Civico, di primigenia essenzialità nelle sagome imponenti e solenni, chiuse entro le forti linee dei profili. E nel '31 cade il suo esordio come scultore alla Prima Quadriennale romana, con Nudo di bimba (ripr. in Petrucci. 1996, pp. 15 e 52).che palesa il superamento della componente "classicistica" della scultura di Graziosi, che pure era slato il primo autorevole modello del giovane artista. Premono ora gli influssi di Martini, e il suo plasticismo sigla anche la Donna seduta della Raccolta Provinciale situabile verso il '39: episodio di assoluta semplicità formale, eppure calda ed espressiva come la terracotta in cui è plasmata. Invece, nel successivo Ritratto dì Cristina Vigarani del '49, piccola cera sempre nella Raccolta, stilisticamente vicina all'altorilievo della Madre nel Museo Civico, ecco che riaffiorano ricordi ottocenteschi dalla plastica di Medardo Rosso, non diversamente che in certi contemporanei ritratti, pure in cera, di Manzù. Ricordi espressi anche nel Volto di bimbo. fusione in bronzo ancora nella Raccolta, all'impronta del recupero di un più morbido post impressionismo. Il "primitivismo" del Martini, ovvero la sua decantazione delle forme, sarà fonte ispirati va per Magelli in una delle sue più importanti commissioni pubbliche, i pannelli ornamentali per l'Istituto Provinciale dell'Infanzia di Modena. del 1953: altorilievi e bassorilievi con fanciulli ignudi, dalle evidenti citazioni dai putii robbieschi nell'Ospedale fiorentino degli Innocenti, in un richiamo al quattrocentismo anche nell'uso dello "stiaccialo" donatelliano, attraverso il congeniale filtro del "Novecento",
Nello spirito del "Novecento" s'ambienta anche la scultura di Ivo Soli (Spilamberto Mo 1898 - Vignola Mo 1976). anch'essa inizialmente ispirata dalla statuaria di Graziosi. E in questo Nudo femminile della Raccolta Provinciale, gesso patinalo a marmo del 1927. già va prendendo fisionomia quello che Tempesti definì, a proposilo dei modi di Arturo Martini, un "formalismo a base naturalistica". L'accostamento al dato naturale, al vero, deriva al giovane Soli appunto dalla sostanza vitale, "carnale" anzi, di certe figure del Graziosi, come Al sole, gesso nella Gipsoteca Graziosi del Museo Civico il cui bronzo fu esposto alla mostra veneziana di Ca' Pesaro nel 1919: la tensione formalizzante è invece sottesa alla levigatezza delle superfici e a quella stilizzazione desunte dal "ritorno all'ordine" alla base del novecentismo. Guardando a opere come questo gesso viene da riferirsi a certi nudi di Malloil, dallo straordinario equilibrio fra natura e "cifra" stilistica. Ivo Soli avrebbe in seguito abbandonato i valori plastici alla Martini per scavare e tormentare la materia, come nella Deposizione del Museo Civico ove recupera i registri più drammatici di Graziosi. sino a giungere, negli anni '50 e oltre, a forme frammentate e come consunte, ferite da ombre profonde. in affinità con il linguaggio vibratamente espressivo di Luciano Minguzzi.
In ambito modenese, accanto alle diverse interpretazioni dell'estetica del "Novecento" coesiste, anche nel versante plastico, una tendenza di matrice post impressionistica che trae alimento, in modo precipuo, dagli autorevoli saggi di Graziosi. Tale filone, spesso di gusto bozzettistico, incline a coloriture aneddotiche, ha fra i suoi esponenti Alessio Quartieri (Modena 1898-1980). che si dedicò anche alla produzione pittorica - la Raccolta conserva due suoi dipinti, Fiume Po e Pavullo -. E il suo Pescatore, piccola terracotta della collezione provinciale, è quanto mai rappresentativo di un'attenzione affettuosa verso i personaggi della quotidianità, fissali con bonaria ironia a rapidi tocchi e colpi di stecca, in una sorta di linguaggio vernacolare.

La grafica
Importantissimo fu il ruolo che sin dai primi del secolo a Modena rivestì la grafica, con esiti qualitativi assai alti e. soprattutto, d'autonomia lessicale nei confronti della slessa pittura. Le varie tecniche incisorie, nella loro molteplicità - l'acquaforte, la litografia, la xilografia... -avevano avuto agli inizi del Novecento un momento di vivo successo, anche per le loro potenzialità illustrative e propagandistiche, nonché per i costi più abbordabili, dato anche il loro carattere di serialità contrapposto all'unicità del prodotto pittorico. Assai contribuì all'affermarsi di queste tecniche Giuseppe Graziosi, autore di un corpus ricchissimo di acquedotti, litografie, puntesecche.
Sulle sue orme, Alberto Artioli avvia una produzione di cui è emblematica l'Abbazia di Nonantola, acquaforte di proprietà provinciale, tutta pervasa da un'inquietudine decadentistica propria della miglior vena dell'autore. Allievi di Graziosi nel terreno della grafica, olire a Viario Vellani Marchi. Augusto Baracchi (Modena 1878 -Milano 1942} - nella Raccolta con un olio, Paesaggio marino del 1929, dal frangente di stile vicino ai modi di Jodi e di Zoboli - e Dante Zamboni (Modena 1905 -Firenze 1981 ). Quest'ultimo, che in scultura si riferisce ad Arturo Martini, si dimostra nell'incisione un illustratore dalle peculiari doti narrative, con rimandi al visionario romanticismo anglosassone fra Scile e Ottocento, quello di Blake e di Runciman. con aggiornamenti sui testi dell'espressionismo nordico, come certe incisioni di Ensor; così ne I re pastori, stampa de! 1935 circa nella collezione provinciale, che s'ispira alle Bucoliche virgiliane, nel solco ideologico della "romanità".
Personalità di grande peso in tale settore figurativo fu Ubaldo Magnavacca, oltre che pittore e scultore anche sapiente acquafortista, che possiede i referenti primari del suo stile nel linguaggio di Graziosi. Ben lo palesa Pozzuoli, stampa databile attorno al 1930 di proprietà privala, sul tema del lavoro quotidiano che distingueva un ampio filone dell'arte del tempo. Nel novero dei seguaci di Magnavacca. Walter Morselli, Iro Malavasi (Modena, vivente) - di lui si è riconosciuto nella Raccolta un dipinto a olio con spatola degli anni '30. Pozzaioli, desunto dalla citata acquaforte del maestro - e Peppino Ascari (Cavezzo Mo. 1911 - Vicenza 1982). Di quest'ultimo la Provincia possiede l'acquaforte a colori Castello di Vergoletta, datata al 1933. debitrice al fare di Magnavacca e in sintonia con prove coeve di Leo Masinelli, ma con effetti di un'imponenza bloccata e massiva da interpretare sotto l'influsso del "Novecento". Anche Gaetano Augusto Bruni (Nonantola Mo 1894 -Modena 1964) si ritaglia una parte importante nella grafica, specie con la realizzazione di vedute di monumenti romani, nel gusto celebrativo del passato imperiale promosso dal regime fascista. Le acqueforti appartenenti alla Raccolta, del 1935. benché dichiarino le suggestioni del milo della Roma imperiale, sono tuttavia pervase da un Umbro di decadentismo melanconico che contrasta con la retorica trionfalistica dell'arte di regime.
Nella grafica modenese il protagonista fu Benito Boccolari (Modena 1888 - 1964), anche scultore nella corrente del "ritorno all'ordine". Umoroso illustratore dei "Classici del ridere", le celebri edizioni di Angelo Fortunato Formiggini. Boccolari si forma sulle stampe xilografiche del bolognese De Carolis. dal quale desume inclinazioni simholistiche nel segno del Liberty, a cui peraltro lo aveva accostato il suo maestro in scultura. Leonardo Bistolfi. La sua xilografia nella Raccolta, dal titolo Il mio torchio, esposta alla XIX Biennale di Venezia del 1934, esprime una tra le più lucide interpretazioni del recupero dei valori prospettico-spaziali del Rinascimenlo. anzi del Quattrocento, distintivi delle tendenze del "Novecento" e del "ritorno all'ordine". E' una ritrovala saldezza strutturale, mentre lo spiovere della luce negli interni in penombra asseconda un vago simbolismo derivalo dalla frequentazione di Bistolfi. Xilografo allievo di Boccolari fu Norino Martinelli. autore di paesaggi e vedute urbane, mentre all'acquaforte, oltre che alla pittura, si dedicavano Edgardo Rota e Leo Masinelli.
Il rilievo che le tecniche a stampa rivestivano nella realtà modenese, con costanti partecipazioni di artisti alle Biennali veneziane, ricevette ulteriore riconoscimento alla "Mostra in bianco e nero" del 1938. Un consolidato prestigio che si ritrova riflesso nella quantità e soprattutto nella qualità degli esemplari che la Raccolta provinciale conserva.

II dopoguerra
Già s'è accennato all'importanza che assunse nella cultura modenese la Saletta degli "Amici dell'Arte", considerata non soltanto come sede espositiva. ma anche come polo d'aggregazione di intellettuali e d'artisti. In quel gruppo, emerge Emilio Tato Bortolucci (Pavullo Mo 1910 -Modena 19861: in un lessico individuale, dalle nelle connotazioni grafiche, sintetizza gli esiti della sua consueludine. anche di lavoro, con Masinelli. Pelloni. Gherardini. Bertoli..., come bene affiora dal suo nucleo pittorico nella Raccolta, scalato negli anni '50 e '60. Anche Ghigo Zanfrognini (S. Prospero Mo 1913 -Modena 1995), maestro fra i più interessanti del '900 modenese, era assiduo della Saletta. La sua lunghissima attività, che attraversa molteplici fasi espressive, è documentata nella Raccolta da una nutrita serie di saggi, pittorici e grafici. La Natura morta del 1948, con cui l'artista partecipò alla XXIV Biennale veneziana, è acquerello che si connette, per scella tecnica, ai magistero di Arcangelo Salvarani; ma la stilizzazione geometrica sovverte le forme e le scompone in sfaccettature cubiste. per poi restituirle in una ricreata nozione spaziale, uno spazio dinamico dai rimandi futuristi. Dovette nascere quest'opera sotto le suggestioni del soggiorno parigino del 1947, condiviso con altri amici modenesi, fra cui Pompeo Vecchiati. E se la Composizione per vetrata è rivisitazione dell'aeropittura di Prampolini e di Balla. Piccola darsena del '58. Costa ligure e Fetta di cocomero del '60 sono frutti di una ricerca post cubista, condotta con la tecnica della spatola, a larghi colpi densi di colore. Mentre la successiva Vetrina mostra un'episodica vicinanza ai modi chiaristi dell'amico Tino Pelloni, II tutto in un'inesausta sperimentazione che attraversa i territori del "Novecento", del cubismo, dell'astrattismo, sino alle ultime riflessioni sul futurismo e sulla pop art con collages e assemblages polimaterici, E si vogliono ancora citare altri autori sempre partecipi del clima attorno agli "Amici dell'Arie", Così Giambattista Cavani. di cui la Provincia possiede il dipinto La rupe di Canossa del 1945: la sua pittura ad acquerello se da un lalo prosegue il filone vedutistico di Arcangelo Salvarani e di Pietro Pagliari, d'altro lalo s'orienta sempre più sul "chiarismo" di Tino Pelloni, dando vita a crea/ioni di trasparente luminosità. A Pelloni guardò anche Gino Scapinelli (Modena 1903 - 1985), dalla tavolozza "chiarista" preziosa di riflessi madreperlati, che si ammirano in Natura morta con melone, del 1983. nella Raccolta d'Arte. E' di radice post espressionistica il lessico di Pompeo Vecchiati (Savignano sul Panaro Mo 1911 - Modena 1985), che elegge a tecnica preferita il monotipo ripassato a olio o a tempera; dunque, una via di mezzo fra l'incisione e la pittura, fra la riproduzione e l'unicum. E così, fogli come la Caffettiera del '59, ispirata a Braque, di proprietà provinciale - squillante nota di rosso generata da uno straordinario sentimento del colore -, diventano in realtà sempre nuove reinterpretazioni di un medesimo tema.

Ghigo Zanfrognini
Composizione Geometrica, 1993

Il post impressionismo di Vecchiali si nutre sulle opere di Matisse. di Rouault. anche di Chagall. come in Pagliacci, monotipo del '53 acquistato dalla Provincia presso la XXVII Biennale di Venezia, nonché traendo spunti dalla drammaticità di Viani, come in Maternità del '58, nella Raccolta del Disegno contemporaneo della Galleria Civica di Modena. sino a spingersi alle soglie dell'astrattismo e dell'informale. Ancora al post espressionismo fa capo la pittura di Alfredo Vanzetti (Mossano Ve 1885 - Modena 1973), di cui la Raccolta annovera due olii. Fiorì e Vaso di fiori, degli anni '60. Vanzetti si affaccia alla ribalta artistica verso il 1950. E di quell'anno è la sua presenza alla XXV Biennale veneziana con Adolescente (ripr. in Fuoco. 1993, p. 108). La sua pittura si evolve tra i richiami al mondo nordico, da Kirchner a Kokoschka a Chagall. e le suggestioni della "scuola romana", di Pirandello, Maccari, Vespignani.
Figura di grande originalità nel panorama modenese è quella di Mario Molinari (Modena 1903 - 1966), che verso il 1931). in piena temperie novecentista, aderiva ai principi del Futurismo in dipinti ispirati all'aeropittura, sulle orme di un grande maestro conterraneo, Enrico Prampolini. Emblematico di tale fase è il cartone Anima va nel cosmo, nel Museo Civico di Modena. Ma, dopo poco più di un decennio, Molinari avrebbe abbandonato l'avanguardia futurista per dedicarsi a una sapida vocazione caricaturale. Un campo, quello della caricatura, che in Modena vantava autori come Graziosi. Jodi, Vellani Marchi, Enzo Manfredini..., cimentatisi anche nelle illustrazioni e nelle vignette della copiosissima produzione locale di riviste umoristiche. per tutto il corso del Novecento. La vena dì Molinari è ben rappresentala nella Raccolta provinciale, oltre che dal disegno acquerellato La scuola - che ora all'artista si vuole attribuire -. soprattutto dall'olio del 1958 La Secchia rapita: un umorismo che non a caso ritrova un tema congeniale proprio nel poema eroicomico del Tassoni. già altrove illustrato dall'artista. Mentre la sapienza nell'impaginare lo sfondo - la "quinta" del Duomo e del Palazzo Comunale di Modena - richiama l'attività dì scenografo teatrale a cui l'autore s'era dedicato. 11 filone vedulistico. tanto ben radicato nell'arte modenese, s'invera negli acquerelli di Gino Molinari. di cui la Provincia possiede Un canale di Burano e un suggestivo scorcio di Via Lanfranco, lungo il lalo settentrionale del Duomo di Modena.

Gli artisti "forestieri"
Dall'excursus relativo agli autori modenesi del Novecento rappresentati nella Raccolta Provinciale emerge nitidamente come il contesto locale non rimanesse affatto isolato dai processi artistici più ampi, bensì fosse partecipe delle esperienze che attraversavano il mondo intellettuale.
Nel secondo dopoguerra, già s'è accennato al ruolo primario svolto anche a livello "informativo" dalla Saletta dogli "Amici dell'Arte", dalla Sala della Cultura, da varie gallerie private che, come si dirà anche oltre, spesso presentavano a Modena opere di alcuni tra i protagonisti ad altezza nazionale e internazionale, sollecitando confronti e dibattiti.
Di questa feconda contingenza sono testimonianza alcuni saggi nella Raccolta, ad essa giunti tramite acquisti, effettuati a scopo di sostegno e di promozione di quegli eventi espositivi.

Tono Zancaro
Vaso, 1952

Dalla personale di Renato Guttuso presso la Galleria "La Sfera" nel 1962 furono acquisiti Revanscismo e Testa d'uomo, entrambi del 196l, quest'ultimo brano neorealismo dal formidabile vigore del segno. Tra gli acquisti di quegli anni, le due opere del padovano Tono Zancanaro, Periferia di Comacchio, china acquerellata del '59, e un vaso in ceramica del '52. che accosta alla matrice classicistica dei nudi graffiti il iurte realismo del volto di giovane uomo dipinto sul fondo, e un timbro d'espressionismo nelle figure abbozzale all'interno dell'imboccatura. Componenti espressionistiche si rinvengono anche nei due saggi di Carlo Mattioli), la Capra, a tecnica mista, e il Paesaggio a carboncino - una veduta del Po tra le canni palustri - entrambi del '57. Nel variegato catalogo del maestro, clic aveva lasciato Modena. sua città natale, per Parma all'età di quattordici anni, è un momento di stile connotato da intensa malinconia, restituita con un tratto rapido ed energico; quello che lo rende eloquente illustratore di opere letterarie come La Certosa di Parma di Slendhal, la cui serie di fogli Mattioli aveva presentato in un'importante mostra allestita alla Saletta nel 1954. Del cesenate Alberto Sughi, che nel 1961 esponeva alla Sala Comunale della Cultura, è la tela Gli impiegati, del 1958; in essa, i ricordi delle interpretazioni di Francis Bacon stemperano il realismo in un'atmosfera sospesa, come bloccata nell'esprimere il grigiore di vicende esistenziali.
Di Giuseppe Zigaina, il nolo maestro friulano del movimento neorealista, è il dipinto Ceppaie in primavera del 1960, testo di straordinaria vitalità, drammatico groviglio di forze naturali.
Particolare è la modalità di acquisizione di un foglio a tecnica mista, un bozzetto progettuale per la sistemazione dell'atrio dell'Istituto Tecnico Professionale "Jacopo Barozzi" di Modena, eseguito nel 1959 dal bolognese Ilario Rossi; l'opera fu compiuta nell'ambito dei lavori d'abbellimento dello stabile di proprietà provinciale, in applicazione della "legge del 2%" del 1949, che destina una percentuale degli investimenti per l'edilizia pubblica al compimento di opere d'arte. Secondo il progetto di Mario Rossi, mai realizzato, l'ampia volta dell'atrio doveva venir qualificala da un affresco di gusto geometrico, in linea con la poetica astratta dell'artista.

I contemporanei
Mario Venturelli, Dopo il temporale. 1975. Raccolta d'Arte Provinciale Claudio Spattini. Natura morta 1995. Raccolta d'Arte Provinciale.
Nel suo settore contemporaneo, la Raccolta della Provincia vanta una larga "antologia" di opere le quali documentino le tendente più interessanti che. a partire dagli anni sessanta, percorsero la realtà modenese. Anni che videro accanto alla "Saletta degli Artisti". di consolidata fama, alcune presenze catalizzatrici di nuove energie rappresentate dalla Sala Comunale della diluirà e da gallerie private come "La Sfera". "Mutina" - affiliala al "Fante di spade" di Roma - e "Alpha", che fu base per alcune tra le maggiori personalità artistiche dei decenni a venire. Come ricordava Casimiro Bettelli nell'introduzione alla cartella Arie Modena 93, curata da Giorgio Cornia, la Galleria "Alpha" "nonostante la sua breve vita, divenne luogo d'incontri e confronti sulle ultime avanguardie e le ricerche giovanili di allora... La galleria rivestirà un suo preciso ruolo culturale, sollevando interessi non precari e interventi di noti artisti anche da fuori d'Italia per le sue sperimentazioni e iniziative, che divennero punto di passaggio e di intersezione con similari esperienze europee.". Grazie all'alacre lavoro di tali centri di cultura, ecco chi giungevano a Modena saggi di Guttuso. De Chirico. Savinio, Pirandello, Mafai.... sino ad allargare l'attenzione a Picasso. Sutherland. Ernst, Magritte... Anni d'intensa elaborazione culturale, destinati a lasciare ampia traccia nel fecondo ambiente modenese. Nella Raccolta Provinciale, di Ermanno Vanni è documentato un momento ancora giovanile: infatti, il Paesaggio del 1958 è riflessione sui testi dell'impressionismo francese, fra le prime tappe di una ricerca che lo condurrà all'astrattismo e a un espressionismo dal forte impatto emotivo. di concerto a una continua sperimentazione anche dal versante della tecnica.

Claudio Spattini
Claudio Spattini
Natura morta
1955

La poetica vibrante, dai toni anche drammatici, di Alberto Cavallari è esemplificata da due paesaggi, immutati in visioni espressionistiche. Dintorni di Massa Finalese e Scorcio di case, e da una Figura maschile in atteggiamento meditativo, tutti dell'inizio degli anni Sessanta. Cospicua per numero olire che per qualità è la serie dei dipinti di Enzo Trevisi nella Raccolta: sono delle importanti opere, che testimoniano ripensamenti dell'espressionismo come Donna con limoni del 1957, o un clima post cubista come Chimica e Geometria del 1959. o un surrealismo ai limili dell'astratto come Natura morta con pesce del 1963. Una campionatura che restituisce momenti di una carriera iniziuta sotto la guida di Arcangelo Salvarani, Renzo Ghiozzi e poi di Felice Carena a Firenze, e cresciuta nell'amicizia con Luigi Spazzapan e con i colleghi modenesi Venturelli e Spaltini, assieme ai quali avrebbe dato vita, nel 1948. a una memorabile mostra presso la Saletta degli "Amici dell'Arte".
Di Mario Venturelli. allievo di Guidi e di Morandi, il Drappo rosso e Dopo il temporale visualizzano la polente eloquenza del colore; un colore che si fa mezzo per esternare la qualità espressionistica della sua arte. Venturelli sviluppa memorie del sentimento tragico di Kirchner. di Kokoschka. di Viani. unitamente alle suggestioni di segno e di cromia della "scuola romana" di Mafai e di Scipione, e allarga i propri orizzonti sino a comprendere le drammatiche profondila esistenziali dì Bacon e di Sutherland. Una complessila interpretati va in buona parie restituita dall'antologica dell'artista realizzala presso le sale della Provincia nel 1995 da Giorgio Cornia. Della pittura di Claudio Spattini, anch'egli discepolo di Morandi e Guidi, offrono saggio tre opere: Natura morta con bottiglie situabile verso il '60. riflessione sulla poetica morandiana. Tramonto, di grande efficacia cromatica, e la recente Natura morta, che coniuga naturalismo e cubismo, in un sentimento del colore che richiama i modi della "scuola romana".
L'arte di Gino Covili è presente con tre vedute ad olio della fine degli anni Cinquanta. Scorcio di paese, Paesaggio e Case di Pavallo', vi si evidenziano le premesse post impressionistiche. poi confluite nel linguaggio stilistico da vari anni consueto al maestro. Un linguaggio solo in apparenza dal tratto naif, ma in realtà meditato e colto nei suoi referenti - pur conservando sempre una primigenia spontaneità -. che vanno da Rousseau il Doganiere e da van Gogh sino all'espressionismo più acceso; qualità peculiare la straordinaria potenzialità narrativa, nel descrivere scenari e personaggi di un'epopea contadina e popolare. La poetica di Giuliano Della Casa è visualizzata nella Raccolta dalle Absidi del Duomo di Modena, testo figurativo di profonda suggestione, che pare riallacciarsi al filone del notturnismo. anche per gli assunti simbolici: è una delle pagine più alte della mostra "Anima mania" che l'artista tenne nel 1996 nel Palazzo della Provincia, curata da Giorgio Cornia. L'opera. assieme a Ramo dì vite del 1996, conferma la particolare sensitività cromatica dell'autore. Freschezza d'ispirazione unita a un gusto collo, che sembrerebbe citare gli antichi erbarii, si percepisce nella Rosa di Luca Leonelli, cosi sorprendentemente lontana dalle tele d'impietoso espressionismo che il catalogo dell'artista accoglie. Suggestiva rielaborazione del celebre quadro di Picasso è Omaggio a Guernica di Nani Tedeschi, episodio centrale della mostra realizzaza nella sede provinciale da Giorgio Cornia nel 1994: mostra di dipinti e disegni dell'artista che istituiva un parallelo concettuale e visivo tra la strage di Guernica e le stragi operale durante la Resistenza.
La tendenza fantastica e ben rappresentata da Presepe con luna, saggio di Domenico Difìlippo. esponente del neo-surrealismo storico modenese con un personale apporto di "astrattismo magico". A De Chirico e a Savinio in particolare sembra ispirarsi Walter Mac Mazzìeri. di cui la Raccolta possiede opere grafiche, raffiguranti "creature" come materializzate da un'inquietante dimensione onirica, metamorfosi misteriose come quelle fissate nei quadri di Bosch.
La corrente realistica possiede nella Raccolta il Tuffatore., olio di Wainer Vaccari dedicato alla memoria dell'amico Giorgio Cornia: una prova quanto mai efficace del "realismo" dell'autore, che produce immagini dai forti effetti emotivi. Appartengono a un visionario mondo nordico, da Cranach a Otto Dix e oltre, i suoi personaggi, di esuberanle vitalità, a volte enigmatici a volte grotteschi, intenti in gesti sospesi e misteriosi. Di Cristina Roncati sono due opere: Limoni, quadro degli anni sessanta - gli anni dell'alunnato presso Tino Pelloni - dove la netta emergenza delle ligure dallo sfondo prelude alla futura scella del linguaggio plastico, e il gesso L'antenata del 1981, autoritratto che assume le forme del busto barocco, allineandosi alle misteriose figure velate care all'artista, racchiuse in manti come in drammi impenetrabili.

Mario Venturelli
Mario Venturelli
Dopo il temporale 1975

Due recenti paesaggi, veri panorami interiori al limite dell'astrattismo, esemplificano i modi di Carlo Barbieri, già allievo di Spazzapan e di Vecchiati, poi in rapporto con Carrà, Crippa, Schifano e consueto alle opere di Pollock e di Gorky, tra i fondatori dell'action painting, La ricerca di Carlo Cremaschi, che in un arco trentennale esprime un concettualismo affidato alla pluralità sperimentale dei materiali più vari, è testimoniata nella collezione provinciale da Repetita juvant, episodio di forte suggestione realizzato nel 1989 in legno e tecniche miste. Qui sembra materializzarsi quel concetto di "misurazione" spazio-temporale perseguito dall'autore fra intuizione poetica e lucida razionalilà. Anche per Gianni Valbonesi il fare artistico si estrinseca , tramite una dialettica con la materia: sono frammenti di. cose quotidiane che confluiscono nei suoi assemblages, filtrati da una poetica individuale che guarda a Dubuffet, a Burri, alla pop art, al new realisar. all'immaginaria cartografia che costituisce "l'arcipelago" delle sue odierne ! ricerche appartiene anche l'opera della Raccolta] provinciale.
Di Erio Carnevali la Raccolta annovera opere grafiche, i come l'acquaforte-acquatinta nella cartella Arte Moderna 93, che offre un interessante saggio della vena coloristica propria dell'autore: soppressa la pur minima traccia di forma, tutto si dissolve nel colore assoluto, "essenziale". Allievo di Trevisi e di Vecchiati, attento all'evolversi del filone d'oltreoceano, da Rothko a Morris Louis, Davide. Benati segue un itinerario che dalla "Nuova Figurazione" lo conduce a un modo espressivo dai complessi rimandi : letterari, oltre che propriamente artistici, mediante la tecnica dell'acquerello. Così in Doni della bassa marea, nella Raccolta Provinciale, dove l'oggetto conchiglia si ; trasfigura in una presenza allusiva, evocatrice, simbolica Franco Vaccari attraversa le tendenze più varie, e graffitismo alla body art, e dal concettualismo approda a un peculiare "realismo concettuale"; e la qualità marcatamente intellettuale della sua attività distingue anche l'opera della Raccolta dal titolo Libertà. Qui la dimensione convenzionale della quotidianità, con i suoi codici e i suoi prototipi, è dall'autore trasposta in un contesto provocatorio-liberatorio. Franco Guerzoni, la cui arte è esemplificata da una tecnica mista su carta del 1979, iconoclasta, e dall'acquaforte-acquatinta della cartella Arte Modena 93, trae l'avvio della sua ricerca dall'opera di maestri quali Spazzapan e Fontana, e quindi s'orienta verso un'"archeologia" rinvenuta negli oggetti del quotidiano. ricreando sulle superfici gli stratificati passaggi di una storia immaginata: e ancora sperimenta la dimensione del libro, della fotografia, del cinema.
L'acquaforte di Davide Scarabelli in Arte Modena 93 supera il bidimensionalismo del foglio per esprimere il senso della materia, motivo conduttore della produzione dell'autore pavullese: un linguaggio artistico che, ancor più nella scultura, è come siglato dal rapporto dialettico. "fabbrile", tra l'artefice e i materiali. Una dialettica che da forma all'importante Composizione in acciaio patinato, pannello del 1995 posto nell'atrio dell'Istituto Tecnico Provinciale "E. Fermi" di Modena. Raffaele Biolchini, l'artista pavullese recentemente scomparso, è rappresentato da due opere grafiche, Foglie e l'acquaforte della cartella Arte Modena 93. E' la sua una poetica affidata a elementi simbolici, come l'orologio solare e la sfera - elementi cari all'autore, che tornano nella sua importante attività scultorea -. in un discorso che pare allusivo ma resta impenetrabile, e che possiede una qualità colta e sottile, e nel contempo di radice primordiale.
Ma. oltre a questi, tanti altri autori, con le loro variegate esperienze, rendono particolarmente vitale e fertile l'ambiente modenese, E la Raccolta Provinciale, grazie alle ininterrotte acquisizioni, continua a registrare correnti, indirizzi, presenze di questa stimolante contingenza artistica.






   




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