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A Renzo

Arte & Carte N. 4 Estate 2001


La morte di Renzo Vespignani priva l’arte contemporanea di uno dei suoi
migliori protagonisti. Proponiamo in uno stimolante collage, oltre a due
“memorie” personali, i modi in cui la critica italiana ha accolto e commentato
la notizia della sua scomparsa.

A Renzo
di Angelo Calabrese

So che non ti fidavi degli occhiali quando scrutavi il male
di vivere sparso nei giorni di tutti, agglutinato all'intima
sostanza delle storie minime e terrificanti, perpetuamente
feriali, dannate alla dissoluzione che si sconta fino al dissolvimento.
Te la cavavi e, tenendoli all'altezza del petto, vedevi a
labbra serrate, con un fremito impercettibile delle sottili
narici: franava il tempo mentre trasalivi alla spietata legge
primitiva che fa il debole preda del più forte.
Dentro i fatti senza catarsi sgomitolavi i tuoi segni: tramavi,
irretivi, radicavi evidenze, decretavi evanescenze con
una dialettica che dava corpo all'astratto, blandivi la fisicità
con il segreto del minimo guizzo che accentua il raccapriccio,
ma al velo appena lacerato ecco il soccorso dell'alone,
dell'interferenza.
Maya sempre si svela e si ri-vela alla libertà dell'ispirazione
creativa la cui eticità mai cede alle briglie dell'ideologia.
Renzo, le vette tue disegnative, organiche alla tua visione del
mondo, erano conquista di poesia impietosa all'impatto col
vero, la realtà che ci è di fronte, umanissima nel cogliere
corpo ed ombra dell'esistenza in uno Stige intriso di vaporante
chiarità.
In quella bianca caligine la perpetua ferialità dei tuoi
antieroi si fa soglia: si sospende tra l'epifania e la dissolvenza.
L'atmosfera si fa cangiante al minimo sprazzo di colore
che accentua la contraddizione tra ingenuità e violenza:
senza alba e senza tramonto trapassa per la rosa dei venti la
famelica angoscia di un signore di disfatti roseti, mai smemorato
della "mosca verde dei macell che va suggendo la
morte dalle labbra" di vita franta e spezzata.
Mia è l'insufficienza della parola, tua è la poesia che nelle
frane del tempo, pietosa dei "mendicanti di felicità" e degli
angeli dannati tra gli enigmi suburbani, sottrae all'oblio i
segni della vita senza sogni, gli esiti di viaggi fatali, ore di
sole e di luna, abbagli funesti e tenebre insondabili, emarginati
dalla storia, ma intrappolati nel crivello della cronaca
che inesorabilmente li espelle dalla festa barocca del putridume
per consegnarli all'oblio che segue le umane spettrali
vicende.
Tua è la sillaba perfetta, tuo il privilegio del segno senza
rivali, invidiato ad oltranza perché nelle derive della
memoria, nei termitai infernali, nello sperpero dei sogni,
nelle trappole dell'urbana ipocrisia, ha conciliato la lucida
esigenza di una vita morale, negata dall'impietosa legge del
consumismo, con le ragioni della poesia intellettuale ed esistenziale.
Mi giova parlare di te con le parole tue di poeta espero di
bellici orrori, di colori appassiti dell'alba, d'isole omeriche,
are di sabbia dove giace, non incarnato in feci e sangue e
spine, un dio sereno che non ci somiglia!. So la tua nostalgia
di non aver potuto cambiare il mondo e so il confronto
attinto dalla pittura "la strana puerile voluttà d'assopirmi
nei suoi segni come in un bosco …", so il tuo vero "nell'attimo
di ghiaccio che trema sulle palpebre dei monti "mentre
avanza la sera: intendo le ragioni di Botticelli che cristallizzava
la vita ferma al culmine del desiderio. Fera, Hermes
dei viaggi , questo fatale andare, prima che si disperdano
bellezza e meraviglia.
All'annuncio della tua partenza ho preso i libri che mi
hai dedicato e ti ho ritrovato nella tentazione di smarrirti
negli inganni della memoria alla deriva: ho inteso la passione
del dormiveglia, l'intromissione scaltra nei sogni altrui
come nei bui meandri della storia: li t'interrogavi dove si
celasse l'embolo assassino.
"Ho i sogni di un vecchio senza averne l'età …": un virus
generazionale; ci condanna tutti , chi più, chi meno, ma la
tua grandezza non avrà mai posteri smemorati.
Nel trionfo dell'attimo e nel dominio dell'imminenza il
rischio è forte: partire significa anche fretta celebrativa che
varca orizzonti smemorati. È un dramma che non ti tocca
la tua arte fa fede di vita libera di tuffarsi nell'infinito e
nuotare fin dove è profondo il segreto di vivere.

Vespignani il volto della realtà
di Alberto Sughi

Caro Renzo, è difficile scriverti in
questo momento. Avremmo dovuto
vederci, ma il destino ce lo ha impedito.
Mi rimane questo foglio, da
riempire con parole che tu non leggerai.
Ma è il solo modo per non interrompere
il confronto denso e appassionato
di tutti questi anni. Mi sei
stato amico, da grande artista e complicato.
Sia nei giorni del consenso
che in quelli della solitudine, hai
sempre scelto il linguaggio dell'arte
per conoscerci e capirci, per conoscere
e capire ciò che intorno a noi cambiava.
Eri un ragazzo di vent'anni nel
1944, Renzo, quando il tuo sguardo
si aggirava nei luoghi della periferia
urbana, tra scali ferroviari, gasometri,
case alveare e ne ricavavi disegni
memorabili, significativi di un
profondo malessere mescolato ad un
ostinato vitalismo di un paese che in
qualche modo ricomincia la sua storia.
Già quei tuoi disegni non erano
delle illustrazioni: erano pezzi di
realtà fissati per sempre dentro la loro
forma estetica; non diversamente
devono aver operato artisti come
Goja fio a Grosz.
L'arte ferma in un tempo senza fine
ciò che potrebbe scomparire.
Quando è vera stimola la riflessione;
non è solo memoria.
È anche in grado di offrire come
presente ciò che il tempo ha inghiottito.
Tu Renzo, hai sempre continuato a
lavorare con questa coscienza, diventando
per me, per tanti di noi, un
esempio e un conforto.
Sì, tanta pittura italiana si è confrontata
col tuo lavoro. Sei riuscito
ad essere un Maestro amato. Ma
anche temuto.
È un titolo di merito, per uno
come te, in questi tempi insensati.
Anche se è duro avere a che fare con
certi burocrati dell'arte che, diventati
potenti, hanno creduto di poter fare
a meno di misurarsi con una pittura
come la tua.
Non so se la critica sia più o meno
importante. Credo che domani conterà
meno di quanto sembri contare
oggi: perché del pari conterà meno
tanta pittura cui oggi concede i suoi
favori.
La grandezza non ha niente a che
fare con la moda; quasi sempre è sua
fiera avversaria.
Sono invece, caro Renzo, che niente
e nessuno potrà mai cancellare
l'improta della tua creatività. Così
come sono sicuro che il Paese riuscirà
ad onorare l'opera di uno dei suoi
più grandi artisti.
Questo volevo dirti, senza alcuna
retorica, con la prudenza della nostra
antica amicizia.
Ciao Renzo

Vespignani e la pittura come menzogna
Corriere della sera
Venerdì 27 aprile 2001

È morto ieri a Roma, all'ospedale
San Camillo, per complicazioni postoperatorie
in seguito a un intervento
al cuore, il pittore Renzo Vespignani.
Aveva 76 anni.
Classico, decadente. Due aggettivi
per il lavoro di Vespignani, che, come
tutte le definizioni -ma per lui in
particolar- lasciano il tempo che trovano.
In realtà, come ebbe accennare
Giovanni Arpino, l'artista era uno
straordinario e non facile personaggio
di Cervantes: "Vetrata, folle creatura
friabile e intoccabile, ma specchio
emblematico del mondo. Un pazzo
che può andare in birciole, ma allora
trascinerebbe con sé le saluti altrui,
stentoree e fasulle".
Era nato a Roma nel 1924. Il
padre? Un grande chirurgo, che aveva
avuto due mogli e sei figli. Quando
era morto (Renzo -ultimo dei sei- era
ancora bambino), la famiglia aveva
dovuto far fronte a molti debiti. Da
qui, un'educazione spartana, all'insegnadi
un moralismo esasperato.
Vespignani esordisce su alcuni giornali:
Mercurio, Realismo, Il contemporaneo,
Città aperta, Europa letteraria,
ecc. Scritti e disegni. Anzi, il pittore
comincia con poesie e racconti.
Il mutamento di rotta avviene dopo
un bombardamento su San Lorenzo,
quando alcuni manoscritti rimangono
sotto le macerie.
E, pur continuando a tracciare
qualche verso -su cartoline per amiche,
che riunirà solo a 60 anni in una
plaquette-, Vespignani descrive la
"Periferia" 1959 - olio su tela
periferia romana, l'occupazione nazista,
il dramma dei reduci, sfollati,
senza casa, senzadio. Soprattutto a
Portonaccio, dove egli vive e dove
scopre una nuova dimensione di vita.
Che rifà minuziosamente con un
segno duro, esasperato, talvolta anche
crudele per cui viene paragonato a
Grosz e a Dix.
Ecco le case bombardate, spaccate
come un cocomero. E i quartieri di
periferia (non di Portonaccio) con
enormi caseggiati e migliaia di finestre
tutte geometricamente eguali.
C'è il vagone abbandonato su un
binario morto e i mendicanti che
s'aggirano in mezzo ai rifiuti, il dimostrante
assassino e il deposito dei rottami,
le nature morte che paiono De
Pisis prosciugati e la spiaggia di Ostia
con bagnanti che si confondono fra
di loro. E così sino al '49.
Poi la periferia si trasforma. E
Vespignani passa la mano. A descriverla
ci penserà Pasolini, coi libri e
col cinema; e a viverla anche. Il suo
lavoro sempre più originale, si precisa,
diventa quasi insostituibile.
Assieme a Calabria, Ferroni,
Guerreschi, Guccione, Giaquinto è il
rappresentante di quel neofigurativo
che nel dopoguerra, ha la stessa
importanza che la Scuola romana
rivestì fra le due guerre.
Diverso il discorso sul raffronto con
Guttuso. L'artista siciliano lavora sulla
densità dei corpi delle cose, del vivere
con veemenza e concitazione e, talvolta,
anche con impeti barocchi.
Vespignani, pur mantenendo il suo
occhio vigile sull'umanità, la scava
nervosamente attraverso un descrittivismo
che è più un'attenzione agli
aspetti morali che alle sembianze fisiche.
Così mentre in Guttuso si coglie
una sensualità calda, quasi tattile, in
Vespignai essa diventa mentale, crepuscolare
e morbosa.
L'attenzione del pittore romano si
estende anche al teatro. Scene per
Giuseppe Patroni Griffi (Anima nera)
per Luchino Visconi e Hans Werner
Henze (Maratona di danza), Bertold
Brecht (I sette peccati capitali). Dopo
il '50,Vespignani scandagli soggetti
nuovi e ne riprende qualcuno datato.
Li analizza, li seziona, con la stessa
freddezza d'un medico sul tavolo
delle autopsie. Volti scavati, scheggiati,
corrosi, Angosciosi e angoscianti.
Il pittore resta imperturbabile. Tinte
freddissime ("Riesco a raffreddare
perfino un rosso" dirà).
Ecco la gioventù di regime e lo studio
per le Fosse Ardeatine, l'erotismo
(di cui Vespignani è un vero e proprio
maestro) e le dive del Potere, la
bellezza e l'eleganza. Ultimamente, i
personaggi di Manhattan: una folla
che diventa paesaggio, sospinta da
uno spietato meccanismo, accomunata
da un senso di fatalità. Una
visione disperata di una città come
New York, apparentemente allegra,
dove tutto diventa corale.Anche il
male di vivere. Si ricordino, in proposito,
i lavori dedicati a Pasolini,
dove l'artista si dimostra un grande
prestigiatore e un sapiente regista.
Periferie, sobborghi, quartieri con
prostitute, ruffiani, omosessuali e tra-
"Guns" 1995 - tecnica mista
vestiti richiamano opere precedenti,
ma qui Vespignani allarga la propria
visione per ribaltare il mondo stesso,
squassare gli anfratti di un'epoca e di
un personaggio e restituirlo in tutto il
suo agghiacciante splendore. Pasolini,
s'è detto. Ma anche Boccaccio, Eliot,
Villon, Kafka, Majakovski, Belli,
Porta, Leopardi, Rilke, ecc.
Letteratura come vita; anzi come
confronto con la vita. E, quindi,
come menzogna. Che cosa vuol dire?
Ha scritto Vespignani: "Il fatto che io
dipingo, segnala una notevole disposizione
alla menzogna, o quanto
meno a quella specie di elusione che
sostituisce ai fatti la loro mitologia".
Sebastiano Grasso

La piccola Roma di Vespignani
La Repubblica
Venerdì 27 aprile 2001

[…] Era quello il tempo in cui
Vespignani dava vita al gruppo di
Portonaccio (con il poeta Elio Filippo
Accrocca e con Ugo Attardi, fra gli
altri), e si ritrovava poco dopo ad aderire
al Gruppo Arte Sociale, ancora
con Accrocca e con Perilli, Guerrini,
Dorazio, giovanissimi tutti, e tutti in
cerca d'una "cultura nuova che esprima
una società nuova". "La tematica -
scriverà Perilli - era quella sociale: con
poesie e racconti e disegni esaltavamo
la scoperta della periferia romana, dei
grandi quariteri popolari, delle borgate".
Poi presto, quando i suoi compagni
d'allora prenderanno altre strade
che li condurranno infine ad una pittura
integralmente astratta, Vespignani
sceglierà di restare in quella lingua che
lo aveva visto, da subito "adulto e prodigioso",
come avrebbe detto più tardi
uno dei suoi interpreti più penetranti,
Marcello Venturoli: ma senza che questa
sua scelta comportasse un suo
ripiegamento sui dettami del nascente
realismo socialista. E vennero allora,
scritti d'un segno aspro e notturno,
invaso sempre da una tristezza e da
un'ombra smisurata, paesaggi urbani
privi di ogni consolante dolcezza; strade
di periferie deserte; stanchi convogli
di merci, rimesse ferroviarie, cantieri
spettrali: e case ogni volta troppo
grandi per essere abitate. O, ancora,
animali aggiogati, stremati, uccisi;
donne ingombre di carne troppo
greve; allucinate, simboliche crocifissioni.
Negli stessi anni, Stradone,
memore di Scipione e di Soutine, scriveva
d'affanno i suoi Colossei: ma era
una realtà ancora aulica quella che
aggrediva; Vespignani, la sua realtà,
costruita da una materia data a grumi
e quasi a scaglie, e da un colore sordo
e macerato, o dal nero sporco e luttuoso
delle molte, mirabili incisioni di
quel tempo (per le quali certo egli s'iscrive,
e resterà, fra i maggiori incisori
italiani del suo tempo), la volle fin da
allora diversa, più intimamente, più
disperatamente sua: dimessa e tremenda
insieme, spoglia e vibrante.
Vespignani non si sottrasse del tutto,
dopo quegli anni ancora da dir giovanili
(che furono per tempo riconosciuti
anche all'estero, segnatamente negli
Stati Uniti, e che gli valsero nei primi
anni Cinquanta tre consecutiva partecipazioni
alla Biennale di Venezia) dal
dibattito artistico italiano (fondò tra
l'altro nel '63 il gruppo "Il pro e il contro",
che si avvalse del contributo teorico
di Del Guercio, Micacchi e
Morosini), ma certo se ne tenne più in
disparte, consapevole che il tempo più
felice della sua arte era ormai trascorso.
Fabrizio D'Amico

Gli anni dell'impegno politico
Un trentenne falce e pennello

Un uomo semplice e complesso, carico
dell'onestà della gente per bene che
ricostruì l'Italia distrutta dalla guerra,
un intellettuale di una sinistra ormai
scomparsa con la quale visse un profondo
rapporto conflittuale, d'amore e di
odio. Era questo Renzo Vespignani, pittore,
scrittore, scenografo.
Quando esordì sulla scena artistica a
vent'anni e, come ebbe a ricordare in
uno scritto dedicato a Titina Maselli,
con cui aveva condiviso gli inizi di carriera
insieme a Muccini e Buratti, si
sforzava, come gli altri "non di fare pittura,
ma di usare la pittura per comunicare
un nostro profondo disagi, la passione
della nostra generazione ancora
acerba, ma già provatissima dalla paura
e dalla disperazione". Era in noi -
ricordò- "un non so quale disprezzo per
il buon quadro, per il colore troppo
organizzato e pulito, una grande volontà
di colpire la fantasia e i sentimenti, di
rappresentare comunque gli oggetti e i
personaggi della vita moderna". Sono
parole del 1955 stampate in un catalogo
della galleria La Tartaruga, celebre
galleria della città dove era nato nel
1924. A quel tempo Renzo Vespignani
era ancora un militante del Pci, e c'era
chi ironizzava su questo trentenne tutto
"falce e pennello", forse perché era
figlio della borghesia, bisnipote dell'architetto
che progettò Porta Pia e la
Basilica di San Paolo, figlio di un celebre
chirurgo che morì quando lui era
giovanissimo. Lasciò pochi crediti e
molti debiti tanto che la famiglia si trasferì
nella zona proletaria del Portaccio
dove la madre gli vietò di giocare con i
ragazzi di quartiere. Fu un'adolescenza
difficile, subito bruciata dalla guerra.
Eppure fu in questo periodo che scorpì
"Fra le due guerre" 1978 - olio su tela
omaggiola pittura. Fu negli anni dell'occupazione
tedesca, quando si avvicinò alla resistenza,
che un pomeriggio, su una bancarella
trovò -ha raccontato- un libretto
illustrato da Grosz sfuggito alla censura:
"L'immagine della città battuta
dagli stivali dei caporali tedeschi, attraverso
quei disegni, mi tornava misteriosamente
perfetta". Cominciò a disegnare
per "superare il trauma" di quello
che vedeva. Poi l'incontro con otto
Dix, Gustav Klimt, Egon Schile. Sono
del 1946 La rossa di via Capo Le Case
e Dimostrante ucciso, di accentuato
espressionismo, istantanee i grande
impatto emotivo. Ma in quel 1955 i
maestri tedeschi erano già stati metabolizzati,
Renzo Vespignani già s'era
avviato sulla strada del neorealismo.
Paolo Vagheggi

Vespignani il graffio neorealista
Il tempo
Venerdì 27 aprile 2001

Forse sarà pure stato, ma in piccola
parte, un virtuoso talvolta troppo
innamorato della propria straordinaria
capacità tecnica o di un pittore spesso
interessato al putridume della vita
oggi, come ha scritto qualche critico
tristemente fedele ai dogmi del "realismo
socialista", ma, in ogni caso e
fuori di ogni dubbio, Renzo
Vespignani è stato un artista di valore
e coraggioso, capace di scavare nelle
spoglie della realtà visibile per estrarne
le "verità" ultime e più scomode.
Forse il meglio di sé l'ha dato a soli
vent'anni d'età (era nato a Roma nel
1924), intorno al 1944, nella Roma di
Portonaccio e di San Lorenzo, quando
ha colto con un segno aggressivo ed
incisivo la devastante realtà di periferie
distrutte e di una società annichilita
dalla guerra.
C'era, in quelle opere, la memoria
della Nuova Oggettività tedesca, di
Grosz e di Dix, ma c'erano anche la
rabbia e l'ingenua foga del ventenne
che tutto sbeffeggia, pur drammaticamente.
Poco dopo nascerà il Gruppoo
di Portonaccio, che lo vedrà in prima
linea insieme al poeta Elio Filippo
Accrocca, a Buratti, Muccini,
Urbinati, per difendere le ragioni etiche
ed estetiche di un'arte sociale. E
da allora, per quasi sessant'anni,
Vespignani racconterà visivamente la
sua immagine della "Storia" attraverso
la cronaca spicciola e spesso squallida,
tramite singole figure spesso assurte al
ruolo di piccoli eroi negativi.
L'artista romano avrà il coraggio di
non macchiare la sua anatomia realistica
con fastidiosi echi surrealisti o
con un eccesso di retorica (come poi
invece farà Guttuso) ma di preservarla
dalla facile gradevolezza e anche dal
più ipocrita buongusto a costo di
scendere negli abissi della degradazione
e della perdizione che vedeva affiorare
nella società consumistica. In tal
senso Vespignani ha saputo vedere e
denunciare prima di altri l'alienazione
e gli sfasci psicologici causti dala droga
e dal bombardamento televisivo e
pubblicitario.
Il suo costante impegno morale,
prima ancora che ideologico, lo portò
nel 1963 a fondare insieme a vari artisti
(fra cui Calabria, Ferroni,
Guerreschi e Guccione) il gruppo "Il
pro e il contro", collocatosi in prima
linea sul fronte di quella Neo-
Figurazione a sfondo esistenziale che
"Letto sfatto" 1947 - tecnica mista
nel nostro paese ha prodotto coinvolgenti
risultati.
La sua non comune capacità di
introspezione psicologica lo ha portato
a misurarsi, con esiti di assoluta eccellenza,
nel campo del ritratto e dell'autoritratto,
fondendo in un incandescente
crogiolo la penetrazione realistica
con il disincanto della satira. Tra i
suoi cicli di opere più "spietate" degli
anni successivi non possiamo dimenticare
quello intitolato "Tra deu guerre"
(1973-75) e la serie dedicata a Pasolini
e alla sua atroce fine. Poi alcuni viaggi
a New York hanno rivelato a
Vespignani, negli anni Ottanta, una
nuova dimensione vitale, fatta di
velocità parossistica, di caleidoscopica
perdita dell'identità individuale rappresentata
dal turbine metropolitano
di New York, con opere di un virtuosismo
sconcertante, percorse dal fremito
dell'attimo fuggente, del bel
volto che si mescola alla pubblicità più
insulsa o all'edificio più fatiscente,
senza soluzione di continuità.
Vicino politicamente alla sinistra,
Vespignani ne ha saputo anche ritrarre
la cattiva coscienza e non solo gli
eventuali elementi positivi, tanto che
il suo audace anticonformismo, è
risultato spesso scomodo.
Gabriele Simongini

I colori del dolore
Il Manifesto
27 aprile 2001

Vespignani aveva conosciuto i bombardamenti
e la repressione neonazista,
e le pagine del suo diario 1943-44
attestano con vigore, orrore la pietà
per le vittime, sentimenti trasfusi nei
disegni con i quali s'impose all'attenzione
della critica, quando cominciò
ad esporre. È stata questa drammatica
stagione storica che ha condizionato
l'intera vita, l'immaginazione, la concezione
artistica ed il linguaggio
espressivo di Vespignani, che per oltre
cinquant'anni ha disegnato e dipinto
scene desolate, tragiche, degradate,
tentando di tanto in tanto di esorcizzarle
attraverso un'ironia che per la sua
insita amarezza si faceva irriverente nei
confronti degli usi e costumi di una
società che, divenuta opulenta, aveva
dimenticato gli orrori su cui aveva
prosperato. Vespignani ha sempre
avuto un rovello determinato dalla
scelta di darsi all'arte anziché alla scrittura
nella quale era molto versato,
come si può ricavare nel leggere le sue
splendide prose di testi per cataloghi
di amici pittori e per altre occasioni.
Nel suo diario ha scritto anche che
forse avrebbe dovuto fare lo scrittore
anziché il pittore, ma il suo innato
temperamento di attento osservatore
analitico, talvolta troppo abbarbicato
al vero, tanto da rivelare le sue ascendenze
ottocentesche più che seicentesche,
come farebbero sospettare certi
giovanili omaggi al Rembrandt incisore,
lo ha portato all'arte, in cui ha privilegiato
il suo talento più genuino.
Straordinario temperamento grafico
che ha esplicitato in uno sterminato
corpus d'incisioni, riproposto in più
di un'occasione espositiva, anche all'estero,
Vespignani su tale naturale
talento, da cui ha dovuto sempre
guardarsi per non cadere nella faciloneria
esecutiva, tipica di tutti i virtuosi,
ha costruito anche le sue tappe di
avvicinamento alla pittura, dapprima
con il sincopare i contorni e renderli
segni forti nei suoi dipinti in bianco e
nero d'interni, esposti nelle personali
alla Galleria Il fante di Spada, sede del
collettivo "Il Pro e il contro", di cui
faceva parte negli anni Sessanta, poi
con l'acquisizione del colore per raggiungere
quel suo miraggio di divenire
pittore che nei primi mesi del '44 gli
faceva scrivere sul diario: "C'è una sola
cosa per cui non mi vergogno di pregare,
ed è di diventare pittore". Nel
suo procedere per cicli, nei quali non
ha trascurato la passione per l'illustrazione,
attuata con tavole incise, ribadendo
in esse il suo amore per Roma e
per la cultura e storia romana (e mi
riferisco alle illustrazioni per i Sonetti
di Giuseppe Gioacchino Belli), Renzo
ha alternato i quadri in bianco e nero
ai quadri a colori, sempre con una
costante di volontà di fare cronaca e
documentare le situazioni dell'epoca,
che poi diventavano in verità come
documentazione dei propri sentimenti
di disgusto per i misfatti e per la decadenza
dei tempi e dei costumi. Da
imbarco per Citera del 1967/69, tra
due guerre del 1972/76, Come
mosche nel miele…., esposto alla
Biennale del 1984, a Manhattan
Trasfer del 1988/90 la severità del
bianco e nero e l'opulenza cromatica,
spia di una volontà di dominare i colori,
si alternano, ora dando sfogo alla
pietà civile ed al documento di denuncia,
ora la carica di ironia, usata nei
confronti del mondo artistico in cui
viveva, e ne facevano le spese i galleristi
Mario Roncaglia, Sandro Manzo, il
critico Antonio Del Guercio, raffigurato
in abito settecentesco, quasi fosse un
cicisbeo, e la moglie Netta raggelata
nella bellezza del suo viso come fosse
con una maschera di porcellana. In
tanto furor dissacratorio Vespignani
non ha risparmiato neanche se stesso,
ora raffigurandosi nanerottolo, come
Toulouse-Lautrec, ora come re spodestato
ed ora come bendato alle spalle
della moglie, tutte immagini che
danno appieno la misura di un dolore
esistenziale mai sopito interiormente
dai duri e drammatici tempi della giovinezza.
E chissà se non sia un segno
che se ne è andato proprio la notte
dopo una data fondamentale e da lui
intensamente sentita, quale è il 25
aprile.
Giorgio Di Genova

Rosso Vespignani
l'Unità
27 aprile 2001

In Vespignani apparve chiara sin
dagli esordi la divergenza netta dalle
scelte compiute da Guttuso. In lui,
non l'esaltazione ottimistica o volontaristica
di forme attinte entro la tradizione
centrale dell'Ottocento francese,
da David a Delacroix e a Courbet e
svolte nel livello d'una ricerca di linguaggio
popolare; non, come ancora in
Guttuso, il ricorso a Picasso nella chiave
d'una riforma popolaresca del cubismo.
Pochi anni dopo quei disegni
giovanili di periferie disperate, espresse
in una dialettica serrata di segni denotativi
e di densi e cupi grumi formali,
la diffusione delle esperienze dell'arte
informale ne chiariva un aspetto essenziale:
insomma un'inclinazione psicologica
assai più segnata da disagio esistenziale,
dai sensi di scacco, che da un
tema di risarcimento umano a portata
di mano. Proseguì dopo dall'allora la
ricerca di Vespignani, nell'incontro con
suggestioni diverse. E fu innanzitutto
un tentativo di avviare un'interlocuzione
con alcuni rami di pittura ottocentesca
italiana. Quasi in parallelo con il
"buonanotte, signor fattori", esclamato
da Roberto Longhi nella prefazione
all'edizione italiana della storia dell'impressionismo
di John Rewald, del
1949, Vespignani si orientava sul livornese,
certo dando segno per quella via
del suo prestigioso possesso della tecnica
dell'incisione, ma anche sconcertando
non pochi tra i suoi amici e estimatori.
E venne una suggestiva stagione,
che fu tra l'altro occupata, per una
parte degli anni Sessanta dall'impegno
che egli riversò nel gruppo detto "Il
pro e il contro" attivo a Roma nella
galleria "Il Fante di Spada", assieme a
carlo Aymonimo, Ugo Attardi, Ennio
Calabria, Alberto Giaquinto, Pietro
Guccione, Dario Micacchi, Dulio
Morosini e il sottoscritto. Una stagione
assai densa anche sotto il profilo degli
sforzi che entro quel gruppo furono
fatti per presentare a Roma e in Italia
fatti d'arte per così dire poco consueti:
quelli ad esempio della Berlino tra
Dada e Nuova oggettività, con
Heartfield, grosz, Dix, Beckmann,
richiamati anche da una particolare
ricerca che entro questo gruppo aveva
luogo sui temi della violenza e dei costi
umani della storia. Quel tema fu anche
l'occasione di un teso dialogo con
Pasolini, del quale resta fra l'altro la
traccia d'una cartella collettiva di disegni
alla quale egli contribuì con un
testo poetico inedito. Fu quella una
fase tra le più feconde del suo lavoro. Il
pacato realismo tratto dall'interlocuzione
con Fattori vi appare receduto,
sostituito da forme febbrili, entro le
quali pensieri a Rembrandt e letture
Kafkiane trascinano corpi e cose in un
mondo d'apparizioni drammatiche, tra
scorticate anatomie e sossature disvelate
sottopelle. Da quei temi di corpi
umani offerti alla violenza, Vespignani
passava poi ad u£na serie di opere che
costituifrono una vera e propria risposta
all'arte pop del ramo americano.
Erano visioni di merci esposte su piani
offerti alla vista su ripiani addobbati
come profani, o profanati, altari, in
composizioni nelle quali comparivono,
a sottolineare l'empietà del regno della
mercificazione generale, forme umane
aureolate.
Antonio Del Guercio

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