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Insieme
alle ragazze, sul corso
di
Raffaele de Grada
Da
quando, lo conosco, e sono ormai più di dieci anni, mi ha
sempre impressionato l'arte di raggruppare le figure con sentimento
moderno e con potenza drammatica di espressioni di Domenico Simonini,
nato a Vignola, Modena, 38 anni fa. Confesso che la mia prima simpatia
ebbe origine per la sua "eresia". Simonini è infatti
un "eretico" della pittura in quanto raffigura scene di
caffè e di mercati, di ristoranti e di strade cittadine invece
di alchimie geometriche o informali che usano nell'accademia di
oggigiorno. Simonini nasce come incisore con una tecnica eccellente
che rivela lo studio dei grandi maestri a incominciare dal Dùrer.
Nelle incisioni Simonini, pur senza averne l'intenzione, tocca il
campo del simbolico e le sue apparenti maquettes di donne e di edifici
rispondono a uno stato d'animo dell'artista o meglio a un suo "temperamento"
che appartiene alla illustre categoria del "melanconico"
(la "Melancolia" di Dùrer).
Le incisioni di Simonini non sono di quelle tirate a carretti, come
oggi usa. Egli ne stampa esattamente quante tengono le "barbe"
(cioè poche) e semmai ritocca a mano le ombreggiature e le
linee più scure per correggere l'indebolimento del rame.
E forse per timore di cedere al consumismo che negli ultimi anni
Simonini si è dedicato sempre più alla pittura a olio,
che gli dà la fiducia dell'esemplare unico.
Con la pittura Simonini si sente padrone dei particolari: i capelli
delle ragazze sul corso, i loro calzoni attillati, i nastri che
lasciano i corpetti. Per ognuno di questi particolari Simonini usa
una tecnica, differente da quella dei fondi costellati di luci.
Questo amore dei particolari fa pensare che il pittore adopererebbe
volentieri (come faceva Degas per le sue ballerine) addirittura
le stoffe inserite come un collage. Ma queste scorciatoie non vanno
bene a un pittore come Simonini che vuol realizzare in tutta pittura
la diversità delle materie e dei contenuti. Un quadro come
"La Cà d'Oro, il ristorante La Colomba" (1989)
ha un'impostazione di sghembo: in una perfetta ricostruzione dei
palazzi veneziani, con una scena triangolare, i due protagonisti
in abito da sera attendono l'imbarco mentre nel retroscena a sinistra
i clienti affollano i tavoli sul canale. Il gondoliere in piedi
separa gli eletti dalla folla come in una composizione antica. Le
composizioni di Simonini non sono mai confuse. II pittore sa creare
gli spazi vuoti, come nel "Caffè Camparino" (1989)
dove il bancone in fondo con i camerieri in bianco è reso
più solenne dall'ingombro delle figure ai lati, nel divertimento
mondano, sempre un po' malinconico, delle figure. Non tutte le composizioni
di Simonini sono cosi dolci e ariose. Qualcuna ("La Zingara
che legge la mano", 1989) proprio per non essere confusa, denota
ancora una asprezza giovanile nella commossa dedizione al racconto
di cui Simonini è un devoto.
Ho preso le mosse dagli ultimi quadri di Simonini perchè
trovo giusto, per lui, di non cominciare dalle scuole e dalle influenze
che ci sono, è evidente, perchè Simonini è
un colto, che studia i musei e legge (lo facessero tutti!). Ma a
che scuola, a quale tendenza appartiene il vignolese Simonini? La
tentazione sarebbe di godermi i quadri e lasciare i problemi altrui.
Ma poiché il compito del critico non è soltanto quello
di godere un'opera, ma anche di capirla e farla capire, dirò
semplicemente che Simonini è un pittore di "esistenza"
nel senso del termine coniato da Jacob Burkhardt, il che non vuol
dire esistenzialista bensi pittore dell'esistente. Ma l'esistente
non è poi il vero? Il vero di Simonini non è un proprio
vero atmosferico cosi come noi lo vediamo. I suoi ambienti chiusi,
soffocati corrispondono a ciò che noi sentiamo, più
che viviamo, in una condizione particolare della nostra esistenza
come può essere la cena in un ristorante ("Il ristorante
cinese", 1989). Per ottenere questi effetti esistenziali Simonini
si avvale di trasparenze (vedi il fondo di "Boulevard Saint
Germain") e di esasperate contrapposizioni di chiari e scuri
(°Nadia con fiori", 1989). Quando il fondo è illuminato
artificialmente la fusione pittorica è molto intensa (°Palco",
1989) e si nota un piacere bizzarro di contenuta violenza espressiva.
Tutto sommato la forma di Simonini è ancora romantica, nel
senso che si svolge ai limiti dello spazio reale che non riesce
a rinchiudere tutto l'addobbo colorato, ma non direi festoso, che
gremisce il quadro ("Festa in maschera", 1986). In realtà
in Simonini interessa indagare la storia del costume contemporaneo
palesando i sentimenti dei personaggi. L'attenzione prima rilevata
ai particolari non diminuisce l'intensità dei ritratti che
sono come flagellati da un'incapacità di confessarsi (vedi
il "Restaurant bleu", 1988). Nell'arte di Simonini preme
la volontà di rappresentare la dialettica tra un aspetto
paesano che, preme con la dolcezza del mondo naturale, e una volontà
intellettualistica che cresce con gli anni.
Questa pittura si colloca certamente nella cultura lombardo emiliana
d'oggigiorno. Naturalmente non nel senso comune del "paesaggio"
(tra l'altro i "paesaggi" di Simonini sono piuttosto rari),
piuttosto nell'interna amarezza per una società in decadenza,
com'è quella che si rivela, ma mi permetto di dire meno intensamente,
nell'opera di Sughi e di altri pittori emiliano romagnoli. Sostanzialmente
Simonini è un artista controcorrente. Si avverte in lui un'insofferenza
verso la pittura acclamata di oggi e come un presentimento di ciò
che potrà avvenire dopo queste false feste di vernissages,
di vetrine colme, di buffet ricchi, di carnevali, di bar più
o meno erotici. Qualcuno lo potrà considerare un artista
decadente, ma mi permetto di osservare (e vien freddo alle vene
a scomodare i grandi nomi) che dal Lotto a Degas i pittori controcorrente
sono stati veramente capiti quando i tempi hanno manifestato la
verità della loro intuizione.
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