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Nell'occhio del ciclone

di Arnaldo Romano Brizzi
da Arte In n. 48 - 1997

Un artista lo si riconosce per le libertà che ci dona. La sua arte risiede nel riuscire ad abbattere quei muri culturali che gli uomini erigono in sé stessi. La gratitudine verso un artista si esprime quando egli, con il sapere custodito nel suo lavoro, dissolve come per incanto quelle inibizioni spesso indistinte e irriconoscibili anche ai più attenti. La tecnica con cui riesce in tali esiti si divide in due momenti che convivono l'uno con l'altro. L'artista opera una prima seduzione intellettuale ordinando e trasformando il linguaggio in fatti puramente formali, ossia estetici; ed è questo l'ambito di cui solitamente si occupa la critica d'arte.
Ma quella forma che produce un primo adescamento è solo un impulso che introduce ad un ben più vero godimento dell'opera che proviene dal liberare aspetti poco appariscenti del linguaggio. Si potrebbe essere portati a pensare che solo un grande illusionista, un dominatore delle immagini possa riuscire in un così grande arcano; al contrario il destino dell'artista sembra quello di mettersi a disposizione del linguaggio, del quale, più degli altri, sente l'assillo. Ed è proprio per questa sua debolezza ed insufficienza che trova la forza dell'espressione. Farsi artista significa allungare una mano nel buio, portare a galla i segreti che indugiano nel proprio corpo, congiungersi con ciò che si incontra e fondersi in esso. E' questo a fare si che l'intellettualitá e il corpo siano indissolubilmente uniti. Un artista, quanto c'è di più intimo nei suoi occhi, lo dice con l'opera che è la compagna dei suoi pensieri più segreti.
Cosi anche in Silvano D'Ambrosio si coglie l'inquietudine insopportabile di chi crea in solitudine. In lui e lo si deduce dalla ricchezza dei suo lavoro, la pittura è la traccia di una passione radicata in tempi antichi. C'è da supporre che l'ispirazione, di cui spesso dà abbondante prova, sia lo straripare di immagini che noti vogliono essere accumulate e celate ma esprimersi.
L'opera dei pittore risveglia impressioni antiche e riapre l'accesso a luoghi mentali nei quali già siamo stati e dai quali ci siamo allontanati per quanto di inquietante rappresentavano. A turbare è quell'atmosfera di oscurità che rappresenta iI ricordo e l'esperienza del venire a meno della percezione delle persone care, delle immagini amate, dei riferimenti certi. La percezione della solitudine e del silenzio che si accompagna al buio è una situazione già vissuta con disagio in quella che si suppone essere l'epoca infantile, e dalla quale non ci si libererà mai totalmente. Credo che sia proprio questa dimensione notturna dove il colore diventa un'essenza dell'immagine, a colpire particolarmente e a dare delle indicazioni che potrebbero portare ad una nuova teoria del colore.
Quella di D'Amhrosio è una pittura che riportandoci all'esperienza del buio, ci rinnova la mancanza di qualcosa di amato e nel contempo ci rinnova il desiderio di un appagamento che la pittura pare potere accordare. Le sue immagini ci rimandano anche ai simboli del familiare: al confortevole tavolo e al piatto del cibo ristoratore e della comunione. Nelle sue nature morte, grandi piatti vuoti o tuttalpiù con uno o due frutti paiono indicare l'insaziabilità di un desiderio di tenerezza.
Sono proprio questi piatti bianchi a dilatare la notte che continua a costituire l'atmosfera dei dipinti. Questo accade soprattutto quando l'immagine del piatto è posta su di un tavolo all'aperto e sullo sfondo del paesaggio c'è il nervoso premere della notte. Ed è qui, in una pittura vellutata di luce, che non potrebbe essere dipinta con amore più tenero, che si gioca una conciliazione tra gli opposti. Il buio non rende più i luoghi sospetti ma lo scuro coincide con il familiare, e l'estraneo e il domestico non sono più dei contrari. La pittura di Silvano D'Ambrosio, ristabilendo una felicità perduta, ci riporta al momento originario in cui le immagini coincidevano e non si opponevano tra loro.

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