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La
tradizione per Cagli non è museo
a
cura di Fortunato Bellonzi
A
Sulmona, parlando di Ovidio, della interpretazione figurale di temi
ovidiani, e di Corrado Cagli che più volte si è ispirato
ad episodi delle Metamorfosi per ragioni ben più profonde
che non fossero quelle della suggestione illustrativa, ebbi occasione
di dire che a quel crepuscolo della civiltà classica, già
in atto al tempo del poeta latino, assomiglia per molti versi il
nostro; e che difficilmente un altro testo potrebbe meglio delle
Metamorfosi (che han provocato, tra l'altro, il capolavoro della
grafica di Picasso) accendere la fantasia di un artista di oggi,
posto consapevolmente nel vivo della crisi attuale del regnum hominis,
mentre i nuovi miti stentano a nascere per la durezza del tecnicismo,
per la superbia dello scientismo, per la spietata oppressione delle
strutture organizzative, e le favole antiche risorgono, nuovamente
interrogate e interpretate in un ansioso recupero di doni, grazie
e misure smarrite, se non affatto perdute.
L'amore di Cagli per Ovidio è ben altro che un'inclinazione
d'uomo coltivato o un ozio di lettore: esso consegue ad una lezione
attenta e fervida del gran libro della natura. Cagli sa fermare
immagini evanescenti e mutevoli, con corpo diafano e colore smagrito,
già prossime a farsi natura arborea o rupestre: echi di semidei
di un tempo, ai quali ritorna anche l'indagine, tra scientifica
e negromantica, di molti ricercatori illustri, dei nostri anni,
nei quali insorge il sentimento della concretezza, delle idee, dell'esistenza
verace dei valori, della vita autentica della fantasia.
Sono, quelle di Cagli, visioni che ci presentano forse l'inganno
effimero, e nondimeno la certezza consolatrice di una portentosa
evidenza plastica del reale, di tutto il reale, materia e spirito.
Già negli anni gloriosi della cosidetta "Scuola romana",
intorno al '30, Corrado Cagli appare insieme il più lontano
da Scipione e il più vicino a lui per impeto visionario,
per disprezzo del formalismo che si guardi in modo preconcetto dalle
tentazioni letterarie (Scipione e Cagli le provocano e le assorbono),
per il sentimento della storia, il quale esige che la conoscenza
del presente si sostanzi della conoscenza del passato, senza di
cui l'attualità è una muta astrazione del tempo. Onde
la riscoperta della metafisica prospettica e spaziale del primo
Rinascimento (per dirla col Castelfranco) convivente con una furia
decorativa di schietto espressionismo e di larghe adesioni popolaresche.
A ventisei anni, per la Triennale di Milano del 1936, Cagli esegue
la
Battaglia di San Martino: un dipinto a tempera all'uovo, su tavola
lucidata a cera, che misura cinque metri e mezzo di altezza per
sei e mezzo di base e che anche oggi, dopo un quarto di secolo,
si impone come uno dei punti massimi di arrivo della pittura italiana
di allora. Né soltanto per l'arditezza dell'impresa, felicemente
condotta a termine in una stagione in cui fallivano analoghi impegni
celebrativi di maestri in fama a quel tempo; ma anche e sopratutto
per il diverso sigillo di civiltà impresso nella vasta composizione
eloquente, dove le scoperte assunzioni culturali dell'alto rinascimento
confluiscono nella vena popolaresca, schietta, convinta, che dà
al racconto epico una freschezza rara, un piglio di espressione
corale.
Una Battaglia che, ogni volta che accade di riproporla, non si dimostra
affatto invecchiata nella sua traduzione d'un fatto d'armi ottocentesco
nei termini di un'eloquenza di grande coltivatezza e di umorale
ingenuità.
E' ancor oggi questo dipinto, dicevamo, uno dei risultati massimi
cui giungeva la riscoperta degli antichi, ossia la nuova lettura
di testi italiani del Trecento e del Quattrocento, già iniziata
con la "metafisica" di De Chirico e continuata poi, su
un piano meno enigmatico, col neotradizionalismo dei maestri italiani
intorno al '20. Sicché accanto alla Battaglia (ci dilunghiamo
su di essa perché contiene in nuce l'intero cammino dell'artista)
si possono porre unicamente le intraprese monumentali di Arturo
Martini e quelle di Mario Sironi. Anzi del Martini (con cui il Cagli
ebbe allora dimestichezza a Milano) viene da credere che la pittura
risentisse qualcosa dal Cagli giovane. Appunto perché questi
possedeva, poco più che ventenne, una sorprendente maturità
e un'inquietudine avventurosa che lo spingeva a ricerche nuove anche
tecniche.
Cagli è stato figura dominante dell'ambiente artistico italiano,
non soltanto romano, tra il 1932 e il '35: "Non ci furono giovani
romani di qualche talento -scrive Renato Guttuso nel '51- che in
qualche modo non si unissero a lui; Cagli dipinse in quegli anni
centinaia di metri di tele, rimise in ballo la mitologia, la storia
ebraica, i romani; dipinse episodi della vita popolare romana come
lo splendido affresco distrutto dai fascisti La corsa dei Barberi
o come La notte di S. Giovanni; ed episodi della nostra storia nazionale,
del nostro Risorgimento come La Battaglia di S. Martino. Egli saccheggiò
freneticamente le tavole delle nostra tradizione da Piero della
Francesca a Paolo Uccello a Andrea del Castagno... ".
Né si creda ad un facile, ancorché estroso eclettismo
di fonti, ad un ' excursus, sia pure geniale, nella storia della
pittura italiana . In Cagli la tradizione non è mai curiosità
museale, eccitazione conseguente all'erudizione, ma è sentimento
profondo dell'unità vivente della storia. Lo provano le sue
stesse desunzioni dalle arti barbariche, dall'immenso repertorio
dei cosiddetti "primitivi" dei cinque continenti; perché
in lui non è la posizione anticlassica, suggerita dalla solitudine
del soggettivismo romantico, a invocarne l'attualità come
strumento di frattura della secolare eredità dell'umanesimo
greco-latino. L'instancabile arricchimento della semantica, che
caratterizza lo spirito irrequieto di ricerca di Corrado Cagli,
mentre è l'indice di una particolare mobilità e vivacità
del suo spirito creativo, che liberamente ascolta e rivive la lezione
da qualunque parte provenga, signoreggia la pluralità e disparità
delle fonti, le unifica nell'accoglimento e nella scelta personale,
e sopratutto le riconduce ad una non mai tradita misura sotto un
controllo eccezionalmente lucido, che può agevolmente superare
ogni tentazione di stupire, di polemizzare, di esercitare il magistero
o l'ironia, perché non dimentica mai il rapporto tra l'uomo
artista e gli altri uomini.
E' così che la varietà e perfino l'apparente contraddizione
delle molte "maniere" ed esperienza, dal figurativismo
più rischioso, che di proposito sfida vittoriosamente il
museo e l'accademia, alla non figuratività che affida tutta
intera la propria comunicativa alpuro segno, al puro colore, e magari
alla sola materia indagata con risoluto amore artigiano, recano
sempre il sigillo della identica personalità e della medesima
fede nell'uomo; talchè la storia di Cagli si svolge lungo
un percorso rigorosamente unitario ed esplicito, nonostante la necessità,
e perfino i diletti, dei più capricciosi meandri.
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